Documento per il Congresso

Europa

Documento per il Congresso

di Esecutivo di Magistratura Democratica
Il senso di una giurisdizione europea
IL SENSO DI UNA GIURISDIZIONE EUROPEA (e di un Congresso)

a cura di LUIGI MARINI

 

Perché ci riguarda quello che accade fuori

1.  È questo un momento in cui la magistratura appare concentrata su se stessa in modo ossessivo e risulta anche per questo frammentata al proprio interno e particolarmente debole nel contesto sociale e istituzionale. Non intendo qui affrontare i numerosi fattori, interni ed esterni, che rendono problematica la percezione che ogni magistrato ha di sé e del proprio ruolo e mettono a dura prova l'associazionismo. Vorrei, piuttosto, evidenziare che la risposta a questo scivolare progressivo verso la dimensione puramente funzionale della nostra professione può venire soltanto da un progetto di ampio respiro, che rifugga dal pensiero marginale e collochi consapevolmente la giurisdizione e il magistrato nel cuore  dei mutamenti sociali e politici in atto.

 

2.  Quando nel settembre scorso il Capo dello Stato nel proprio intervento di Mestre richiamò con durezza la politica al dovere di riappropriarsi della propria missione, quella di costruire il futuro, utilizzò concetti e sollecitazioni che interpellano  anche la magistratura e che è nostro compito prendere sul serio.

Semplificando molto, possiamo dire che il Presidente mise in evidenza i rischi di una politica che non sa sollevare lo sguardo dalla contingenza e dai piccoli interessi di bottega, tristemente inclusi nell'orizzonte nazionale e nei conflitti interessati. Invitò tutti con forza a confrontarsi con la dimensione sovranazionale dei problemi e delle soluzioni e sollecitò tutti a farsi parte attiva di un progetto per la costruzione di una Europa finalmente e pienamente democratica.

Quelle parole e lo spirito che le animano ci interpellano più di quanto i magistrati sembrano avere compreso.

La lettura delle mailing list offre, da questo punto di vista, un quadro assai poco rassicurante. Se si eccettuano specifiche esperienze di nicchia (penso alla lista Europa, che raccoglie ogni giorno nuovi iscritti, e a specifiche riflessioni presto abbandonate), il dibattito che ha luogo giornalmente risulta appiattito su temi di breve periodo, condannandoci a un provincialismo che rende la categoria professionale scarsamente significativa sul piano culturale e politico e la presenta come rilevante solo nella misura in cui "smaltisce" contenzioso. In qualche modo, siamo noi stessi a rinchiuderci in quella dimensione produttivistica cui dichiariamo di ribellarci.

 

3. Non possiamo, invece, sottrarci a un duplice compito che questa fase storica ci assegna: essere capaci di promuovere una giurisdizione di dimensione internazionale ed europea; essere capaci di sollecitare la politica e le altre istituzioni ad assumere quella dimensione come necessaria.

L'analisi della realtà ci mostra, a ben guardare, come il magistrato rappresenti oggi un terminale qualificato e avanzato all'interno della società, in grado di percepire tempestivamente e con sensibilità specifica i mutamenti che si stanno realizzando e le loro conseguenze. Questo ruolo "di frontiera" ci appartiene, a qualsiasi livello si svolga il nostro lavoro, e deve essere affrontato in modo consapevole.

Del resto, è stato oramai ampiamente evidenziato anche in dottrina quale sia il rilievo crescente che le decisioni giudiziarie assumono rispetto a momenti centrali della vita delle istituzioni e della società, a dispetto di una quotidianità che sembra assorbire i magistrati nel contesto di una diffusa sensazione di frustrante inutilità.

 

 

Princìpi e applicazione quotidiana

4. Quanto accade a livello internazionale e, soprattutto a livello europeo, propone ogni giorno nuovi stimoli e nuovi problemi al sistema giudiziario nel suo complesso e a ciascuno di noi.

La recente sentenza della Corte Edu in tema di condizioni delle carceri italiane ha riconosciuto l'esistenza di una condizione  strutturale che può essere ricondotta al concetto di trattamento contrario al senso di umanità. Questa decisione, che assegna allo Stato un anno di tempo per affrontare i nodi strutturali evidenziati, interpella in primo luogo il legislatore e i governanti, cui spetta il compito di dare risposte efficaci nei tempi indicati. Ma sarebbe miope non ammettere che essa interpella anche la giurisdizione sotto molteplici profili. Non possiamo allora sottrarci a una riflessione che riguarda, innanzitutto, gli aspetti culturali che vengono chiamati in causa da quella decisione.

Soltanto poche settimane fa Magistratura democratica ha espresso una valutazione decisamente negativa dell'approccio critico con cui sia realtà associative locali sia singoli magistrati con specifici incarichi di responsabilità hanno accolto la decisione della Scuola della magistratura di includere un periodo di esperienza in ambiente carcerario all'interno del percorso formativo dei Mot. Così come abbiamo risposto con nettezza al tono e ai contenuti “corporativi” del comunicato con cui Magistratura indipendente prendeva le distanze dal documento delle Camere penali in tema di condizioni di vita all'interno delle carceri.

Entrambi gli esempi dimostrano il deficit culturale che affetta una parte non piccola della magistratura con riguardo al tema della pena, della sua esecuzione e delle responsabilità del magistrato. Ebbene, quel deficit appare ancora più evidente alla luce dei principi ricavabili dalla sentenza della Corte europea sopra ricordata. L'esistenza di condizioni carcerarie qualificate come "trattamento non umano" non è questione che può interessare solo la politica. Dobbiamo chiederci se i giudici possano ancora rifugiarsi all'interno dei confini formali del proprio ruolo e ignorare quali sono le conseguenze effettive delle decisioni che assumono; questo significa interrogarsi con onestà intellettuale su quanto la consapevolezza dello stato delle cose possa e debba influire nei processi decisionali di ciascuno di noi allorché valuta l'emissione di una misura cautelare o determina l'entità della pena e le forme di esecuzione che ricadono sotto la discrezionalità del giudice della cognizione. A questo aggiungendo gli interrogativi che lo stato delle cose pone ai giudici di sorveglianza con riguardo sia ai provvedimenti che sono chiamati ad assumere sia all’effettiva e attenta vigilanza sulle condizioni di custodia sia, infine, ai rapporti con le direzioni delle strutture carcerarie.

 

5. L’esempio rappresentato dalla sentenza Cedu chiama in causa  il tema generale della stagione che i diritti stanno vivendo all'interno dei processi economici, sociali e politici che attraversano il nostro mondo. Processi spesso involutivi, di cui tutti noi avvertiamo i rischi e di cui vediamo le conseguenze sulla vita delle persone, sui servizi pubblici, sulla stessa prospettiva di uguaglianza.

Quando il Capo dello Stato richiama tutti alla dimensione sovranazionale che i problemi e le soluzioni hanno assunto secondo un percorso ormai irreversibile, ci pone davanti alla necessità di comprendere quale ruolo e quali compiti spettino  oggi  alla giurisdizione.

Come molti, credo che alla giurisdizione competa ridefinire innanzitutto la dimensione dei diritti della persona e dei diritti sociali nel contesto di una normazione e di un sistema integrato che trascende i confini nazionali. È stato autorevolmente sostenuto che il magistrato deve saper riconoscere i luoghi e gli spazi di tutela dei diritti, cogliendo le opportunità e rispettando i doveri che la nuova dimensione dell'ordinamento giuridico propone.

 

 

Il magistrato europeo in un’Europa incompiuta

6. Si tratta di un compito non semplice,  in assenza di un sistema costituzionale europeo maturo e di una rappresentanza politica che lo sostenga in modo adeguato. Eppure, sono stati proprio i magistrati, di ogni ordine e grado, a imprimere al complesso percorso di costruzione dell’Europa una svolta decisiva sul cammino della democrazia effettiva, e lo hanno fatto esattamente partendo dal riconoscimento e dalla tutela dei diritti fondamentali.

E dunque, come a partire dagli anni '60 la magistratura italiana seppe individuare nell'impianto costituzionale e in sue specifiche disposizioni la via per aprire la "stagione dei diritti", così oggi esistono gli spazi per valorizzare quella parte dell'ordinamento europeo che trova nella Carta dei diritti princìpi e prospettive suscettibili di immediata applicazione. Questo appare il terreno principale su cui la giurisdizione può dare un contributo alla realizzazione “dal basso” di un edificio europeo effettivamente democratico. E come a partire dagli anni ’60 è stata la magistratura progressista la più sensibile e attiva nella tutela dei diritti dei più deboli e dei diritti sociali, anche oggi appare inevitabile un suo impegno diretto nella dimensione europea dove quei diritti si articolano e si sostanziano.

 

7. Soccorrono qui quelle previsioni della Carta che invitano ogni autorità a superare una lettura formale dei diritti individuali e sociali per salvaguardarne la effettività operando alla luce delle concrete condizioni in cui quei diritti si inseriscono e dei termini fattuali in cui possono essere esercitati.

Lo spostamento di accento che la Carta ha operato dalla dimensione economica delle libertà, propria del Trattato, a quella della dignità delle "persone" che formano l'Unione costituisce una delle linee guida che l'interprete deve adottare anche nella lettura delle disposizioni nazionali.

Tutto questo apre prospettive che la magistratura ha solo in parte compreso e che richiedono di essere approfondite e rese operative.

 

 

Molte cose si possono fare

8. Tornando all'esempio della condizione carceraria, il giudice non può ignorare la circostanza che negli istituti penitenziari del nostro Paese difettano le condizioni minime per una vita "dignitosa" delle persone, così sussistendo un contrasto evidente tra la disciplina effettiva che viene applicata e i principi che fondano la nostra Costituzione (art.27) e l'ordinamento europeo (Preambolo della Carta dei diritti fondamentali e successivo art.34, tra gli altri). Una condizione "effettiva" che diventa parte di quei diritti fondamentali della persona che devono trovare concreta applicazione anche in realtà come il carcere e i luoghi di custodia.

Una volta ritenuto che quella condizione di fatto limiti impropriamente il godimento dei diritti della persona e affetti la sua dignità, il magistrato che agisce nel processo non può arrestarsi di fronte all'assenza di competenze amministrative e deve interrogarsi su quali sono gli strumenti a sua disposizione per modificare la realtà che ha di fronte. Ciò senza rinunciare a priori a considerare che quella condizione è un elemento di fatto rilevante nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme in tema di carcerazione preventiva e di pena.

In che termini e con quali risultati è materia di riflessione e di ricerca di nuove soluzioni. Escluso che il giudice possa disapplicare radicalmente la disciplina nazionale e rifuggere da ogni provvedimento che comporti l'ingresso in carcere di una persona, appare assolutamente ragionevole l'adozione di interpretazioni degli art.273 e seguenti c.p.p. che favoriscano davvero ogni soluzione alternativa alla custodia carceraria, così come l'adozione di decisioni di merito che riducano il ricorso alla pena detentiva ai soli casi in cui essa è inevitabile e nei limiti minimi possibili. Soluzioni, del resto, auspicate nel par.95 della motivazione della sentenza Cedu citata e riprese nella nota circolare adottata dal procuratore della Repubblica di Milano.

 

9. Ragionamenti simili possono essere valutati e discussi con riferimento a tutti i settori della vita delle persone e a tutti i casi i cui vengono in causa beni comuni ai quali occorre assicurare tutela effettiva. Il primo pensiero va a quei beni che, una volta “consumati” per difetto di tutela non sono riproducibili (terra, acqua, aria) e all’esigenza che l’interprete delle norme sovranazionali e nazionali sappia fare propri e applicare i princìpi che ruotano attorno alla vita dignitosa e al benessere della persona. E gli esempi potrebbero continuare a lungo.

Se questa convinzione fosse condivisa, si aprirebbe alla giurisdizione una prospettiva di enorme interesse, che può trovare fondamento nel riconoscimento del ruolo indiscusso che essa già oggi riveste e così svilupparsi in modo finalmente consapevole. Se questa convinzione fosse condivisa, il lavoro quotidiano - spesso ripetitivo, svolto in condizioni difficili e vissuto con frustrazione - si caricherebbe di nuovi significati, stimolerebbe nuove soluzioni e ci chiamerebbe ad una assunzione partecipata di responsabilità.

 

10. Ma non vanno trascurati neppure i temi legati alle strutture e ai processi istituzionali che riguardano l’Europa. Al di là delle grandi questioni sulla nuova dimensione del Parlamento in prospettiva federale e sul superamento delle elezioni nazionali dei suoi componenti, molte cose stanno avvenendo. Il progetto di una nuova figura di pubblico ministero europeo, ad esempio, sta camminando e non appare immune da criticità e da nodi irrisolti. Sono, queste, aree di intervento che ci riguardano da vicino perché attengono al funzionamento in concreto della giustizia a livello sovranazionale e alle soluzioni che riceveranno molti dei problemi che ci poniamo ancora a livello domestico. In fondo, anche occuparci di questi aspetti è costruire democrazia, un compito a cui Magistratura democratica non si è mai sottratta.

 

11. Se la ripresa di una riflessione “alta” sui processi istituzionali e politici in atto rappresenta la base di cui la giurisdizione ha bisogno per operare in modo consapevole ed efficace, ma anche per recuperare autorevolezza esterna e senso del proprio ruolo, nessun progresso sul piano associativo interno è possibile nel permanere di approcci utilitaristici e di breve respiro come quelli cui assistiamo da tempo. In questo la magistratura manifesta nel suo complesso i medesimi limiti culturali che il Capo dello Stato ha stigmatizzato parlando del mondo politico.

La stessa magistratura progressista non ha saputo restare immune dai pericoli che ho appena ricordato. Alla scelta di indicare la strada di un percorso unificante non corrispondono comportamenti coerenti. Questo accade anche perché difetta una riflessione adeguata sulle basi condivise che debbono caratterizzare oggi una giurisdizione all’altezza dei tempi, con conseguente sopravvento di soluzioni tattiche che non modificano l’essenza del nostro associarsi e che tendono a riprodurre l’esistente (o, addirittura, a volgersi al passato) sotto un’apparenza di novità.

 

12. Occorre dunque ripartire dai valori di democrazia, presenti nella nostra Costituzione e ora nella Carta dei diritti, e svilupparli in coerenza coi percorsi storici che si determinano fuori e dentro i confini nazionali. Favorire forme effettive di tutela dei diritti individuali e sociali e comprendere i nuovi scenari in cui quei diritti si collocano e si esprimono costituiscono un obbligo per il  magistrato che voglia svolgere bene il proprio lavoro ed essere parte della costruzione di una società democratica.

 

 

Partecipare è ancora la scelta giusta

13. E’ in questa prospettiva che i lavori del prossimo congresso di Magistratura democratica assumono una grande importanza anche al di fuori dei confini del gruppo.

Per i principi che lo fondano, per la sua evoluzione e per le persone che lo compongono, il nostro gruppo possiede la sensibilità e le competenze per affrontare di petto i temi che ho sinteticamente introdotto e che condizionano tutti gli altri, dal ruolo del pubblico ministero alla formazione dei magistrati, dalla disciplina del lavoro alla dirigenza degli uffici giudiziari, dall’applicazione degli istituti civili alla lotta alla criminalità.

Partecipare di questo dibattito e cercare le radici di un impegno comune mi pare rappresenti “qui e ora” una potenzialità da cogliere, piuttosto che un semplice dovere. Non è immodestia affermare che stiamo vivendo una realtà che ha bisogno anche del nostro contributo, del contributo di ciascuno di noi.

 

23 gennaio 2013

27/01/2013

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