L'intervento di Rocco Gustavo Maruotti

Speciale XXI Congresso

L'intervento di Rocco Gustavo Maruotti

di Esecutivo di Magistratura Democratica

DISUGUAGLIANZE “ESTERNE” E (SOPRATTUTTO) “INTERNE” ALLA MAGISTRATURA: L’IMPEGNO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA PER UN “NUOVO PROGETTO DI CAMBIAMENTO DELLA MAGISTRATURA” TRA ERESIA E ICONOCLASTIA.
 
Vorrei innanzitutto rivolgere io il mio sentito GRAZIE ad Anna Canepa per tutto quello che fino ad oggi ha fatto per Magistratura Democratica, e quindi per l’intera Magistratura, e per tutto quello che continuerà a fare.

Un ringraziamento non formale vorrei rivolgere a Carlo De Chiara per l’intelligenza e lo stile con cui ha condotto in questi ultimi due anni la Presidenza di MD. Infine un grazie agli organizzatori di questo Congresso, e in particolare ai componenti il Comitato Esecutivo e il Consiglio Nazionale, nonché alla sezione bolognese di MD che ci ospita.

Ho apprezzato da subito la scelta del tema di questo congresso: in una società nel suo complesso più fragile, le disuguaglianze tendono ad accentuarsi e questo fenomeno non può che interrogare le nostre coscienze, anche perché l’aumento del livello di disuguaglianza sociale, e il connesso fenomeno delle cc.dd. “nuove povertà”, hanno contribuito a riempire i corridoi delle Procure e le aule dei Tribunali italiani di quella “umanità dolente” che alla Giustizia chiede risposte che non riesce a trovare altrove. Con queste donne e questi uomini, pertanto, come magistrati veniamo in contatto quotidianamente, nella frustrante consapevolezza (almeno mia) che troppe volte la nostra è una supplenza impropria: una Politica che non riesce a garantire il rispetto dei diritti produce inevitabilmente una società nella quale la domanda di Giustizia assume dimensioni “patologiche”; con l’inevitabile conseguenza che la risposta di giustizia, per tempi e qualità, non può che diventare essa stessa una ingiustizia.

In questo quadro, è inevitabile poi che le condizioni, non solo di lavoro, ma anche di vita dei magistrati italiani, soprattutto di quelli – spesso i più giovani – che operano negli uffici disagiati, non possono che risentirne. Condizioni sulle quali, io credo, il CSM dovrebbe intervenire con maggiore coraggio, attuando “politiche” dell’autogoverno maggiormente ispirate ad una visione, oserei dire, “dal basso verso l’alto”.

Su tutti questi temi e non solo, credo che Magistratura Democratica abbia ancora molto da dire e debba farlo con rinnovata energia, nella convinzione che una Magistratura Democratica “forte” aumenta anche il suo “peso specifico” in AREA, senza che quest’ultima possa subirne appannamenti, anzi ricavandone essa stessa un indubbio beneficio. Per recuperare energie positive qualcuno proponeva una sorta di “ritorno alle origini”; io sono d’accordo, ma questo tornare alle origini deve significare innanzitutto tornare ad interrogarci su un nuovo “progetto di cambiamento della magistratura”.

In questi giorni sono andato a rileggermi la MOZIONE COSTITUTIVA DI MAGISTRAURA DEMOCRATICA, ossia il documento di presentazione per le elezioni associative del 1964. Si tratta di un documento nel quale venivamo messi in fila gli obiettivi che i fondatori di MD si prefiggevano di raggiungere. Mentre lo leggevo pensavo: questi obiettivi sono stati quasi tutti conseguiti; la Magistratura italiana oggi è grosso modo quella che i padri fondatori di MD immaginavano e auspicavano 52 anni fa. Apparentemente MD ha raggiunto il suo scopo sociale! Ma così non è per due ordini di ragioni:

1. Non tutto in realtà è stato realizzato (vedi, ad esempio, l’obiettivo non ancora conseguito di estromettere completamente dall'ordinamento giudiziario il concetto di carriera): in quest’ottica, io credo che dobbiamo porci il problema che i giudizi di professionalità non funzionano, perché non selezionano, e tuttavia, con le loro sfumature barocche, sono diventati un fattore di carrierismo, che fa venire meno quel carattere per cui il magistrato deve essere, come ci ricordava Luigi Ferrajoli al congresso di Reggio Calabria, sine spe et sine metu. Noi di MD dovremmo porci concretamente come obiettivo quello di combattere questa involuzione in corso basata sul dilagare del carrierismo, per far si che l’ambizione del magistrato torni a risiedere unicamente nel proprio prestigio.

2. Anche se i valori di riferimento di MD non sono mutati nel tempo, il contesto storico, politico e sociale attuale, inutile dirlo, è profondamento diverso da quello della meta degli anni 60 e questo comporta che i bisogni della società e con essi quelli dei magistrati sono cambiati: ne consegue che un’associazione come MD continua ad avere un senso nella misura in cui è in grado di ridefinire la MAPPA DEL CAMBIAMENTO, solo se (per riprendere il titolo di una nota canzone scritta guarda caso proprio nel 1964!!), torna ad essere LIKE A ROLLING STONE, ossia riesce nuovamente ad essere rivoluzionaria e travolgente come “una pietra che rotola”. Un cambiamento che, però, deve essere immaginato, ancora una volta, in una prospettiva, come dicevo, dal “basso verso l’alto”.

In questo senso, le disuguaglianze di cui dobbiamo occuparci sono, perciò, non solo quelle esterne, ma anche quelle “interne” alla magistratura. Certamente chi è di MD non può rimanere indifferente rispetto a norme come quella che consente soltanto ad alcuni magistrati di andare in pensione ad un età diversa rispetto a tutti gli altri; ma chi è di MD dovrebbe avere anche il coraggio di denunciare la profonda disuguaglianza che c’è tra chi lavora in un ufficio giudiziario, magari di grandi dimensioni, e che è quasi sempre ad organico pieno e chi invece lavora in un ufficio giudiziario, magari di piccole dimensioni, dove la scopertura di organico è una “patologia cronica”.

Dobbiamo avere l’onestà di dire che non è giusto che in Italia vi sono uffici giudiziari nei quali ogni singolo magistrato ha sul ruolo 2000 fascicoli, a fronte di uffici nei quali un suo collega ne ha soli 500!! Il primo dei due, oltre a dover lavorare molto di più, difficilmente potrà rendere un servizio che per tempi e qualità sarà come quello reso dal suo più fortunato collega. Sono anche questi i problemi di cui dobbiamo occuparci. Perché non è che si parla di “diritti” e si fa quindi un discorso “alto” solo se si parla, ad esempio, dei diritti violati di quei soggetti che vivono ai margini della società; mentre se si parla di organizzazione degli uffici si fa un discorso “basso”, quasi una sorta di becera rivendicazione sindacale; no, perché quando si parla di organizzazione e funzionamento di un ufficio giudiziario si parla anche e soprattutto dei tempi e dei modi con cui si rende il servizio “giustizia”, si parla cioè di un diritto costituzionalmente tutelato.

Infatti, come ci suggeriva Luigi Ferrajoli nel suo intervento al XX congresso di MD, i soggetti deboli non sono altro che i “titolari di diritti costituzionali non soddisfatti”.

In questo senso, non possiamo continuare a pensare che le nuove generazioni di magistrati non si avvicinano ad MD perché, ad esempio, sono insensibili al tema della tutela dei diritti dei più deboli, perché così non è. I nuovi magistrati sono donne e uomini che spesso entrano in magistratura avendo già una famiglia a carico dalla quale sono costretti a vivere lontano per diversi anni, che lavorano ossessionati da “un’ansia da prestazione” figlia dell’attuale sistema che oscilla tra le statistiche e il rischio di incorre in almeno una delle molteplici responsabilità professionali: civile, disciplinare, contabile. I nuovi magistrati sono, perciò, essi stessi soggetti relativamente “deboli” sui quali hanno inevitabilmente maggiore presa quei gruppi che fanno del corporativismo il loro marchio di fabbrica.

Io credo, però, che ci sia spazio per una soluzione alternativa al corporativismo. Questa soluzione sta nel tornare a proporre, come fecero i padri fondatori di MD, soluzioni concrete per un cambiamento possibile.

Oggi la sfida della magistratura progressista dovrebbe essere quella di combattere il modello burocratico, piramidale e gerarchizzato di magistrato che è insito nella legge e nel costume soprattutto delle ultime generazioni di magistrati. È un modello difficile da combattere perché è evidentemente molto rassicurante.

In questo senso, alcune delle riforme degli ultimi dieci anni, da quella sull’ordinamento giudiziario del 2006 al recentissimo d.l. n. 168/2016, segnano passi indietro rispetto a quel modello di magistratura che MD era riuscita ad imporre, e per il recupero del quale bisognerebbe tornare ad essere ICONOCLASTI come i nostri padri sono stati. Ma è chiaro che dirlo oggi che la gestione del potere è rimessa anche a componenti importanti di MD è più difficile, per quanto invece dovrebbe essere più facile, gestendo il potere, conseguire i nostri obiettivi.

È, però, una sfida che abbiamo il dovere di raccogliere se vogliamo essere all’altezza di chi ci ha preceduto e quindi della nostra Storia. Per cui ben vengano tutte quelle iniziative che saremo in grado di mettere in campo per rilanciare il ruolo di riferimento che MD ricopre non solo per chi dall’esterno guarda al mondo della giustizia, ma anche per tutti quei magistrati che, pur non partecipando alle nostre assemblee, ci osservano e ci ascoltano con interesse, anche solo per confrontarsi con un punto di vista diverso dal loro. Auspico, tuttavia, che ciò si possa fare mantenendo gli impegni assunti ai congressi di Roma e di Reggio Calabria.

Mi annovero, infatti, tra quelli che pensano che Magistratura Democratica non debba rinunciare ad occuparsi anche dei temi dell’autogoverno e dell’associazionismo giudiziario, ma che tali discussioni debbano servire da linfa vitale per l’elaborazione che dentro AREA dovrebbe trovare il suo sviluppo finale.

Ad AREA siamo pervenuti, senza che questo ha comportato l’estinzione di MD, all’esito di un processo lungo e faticoso, rispetto al quale, io penso che non sia saggio decidere ora di fare un passo indietro. Se AREA fino ad oggi non è stata in grado di camminare come avremmo voluto, forse dovremmo innanzitutto chiederci cosa abbiamo fatto noi affinché AREA fosse ciò che desideravamo.

Se un errore è stato fatto, forse, è stato quello di pensare ad AREA come alla somma di MD e Movimenti (qualcuno ha evocato l’immagine della “fusione a freddo”). Ma due entità portatrici di due culture politiche non del tutto coincidenti non possono essere sommate tra loro, perché è chiaro che il risultato non può che essere l’AFASIA, intesa filosoficamente come “astensione dal giudizio”: mi astengo dal prendere una posizione perché non riesco ad averne una sola. In realtà AREA andrebbe vissuta come il luogo di incontro tra queste due culture politiche, nel quale queste due culture si confrontano dialetticamente nell’orizzonte comune del progressismo.

L’unità di un gruppo non è determinata dal condividere gli stessi valori o dall’avere le stesse idee; ciò che dovrebbe unire non sono le risposte ma le domande; l’associazione tra magistrati progressisti ha senso se è lo strumento per interrogarsi collettivamente sul ruolo della giurisdizione, e ciò perché le risposte ci sono già e sono, a livello di principi, contenute nella Costituzione.

Carlo SABATINI allo scorso congresso di MD ha chiuso il suo intervento con una metafora che vorrei rievocare, quella dell’arrampicata: “quando si arrampica ci si lega insieme, il passo dell’uno è vincolato al passo dell’altro, questo rappresenta certamente un limite, ma in realtà contemporaneamente è una risorsa, perché ci si tiene, ci si indica la strada, ci si aiuta a superare i passaggi anche quelli in cui non si vede cosa c’è dopo”.

Di recente a Roma, grazie soprattutto al contributo di MD, AREA ha organizzato eventi importanti a cui hanno partecipato attivamente anche il mondo dell’avvocatura, dell’università e del giornalismo: mi riferisco al convegno sulla riforma costituzionale e alla manifestazione a sostegno dei colleghi turchi.

Tutto ciò è la dimostrazione che sul tema dei diritti fondamentali e sul ruolo che riguardo ad essi svolge la giurisdizione, AREA prende voce da MD. Questo può avvenire, con sempre maggiore forza, anche sui temi dell’autogoverno e dell’associazionismo giudiziario rispetto ai quali non c’è dubbio che la posizione di AREA se non viene sorretta da forti riferimenti culturali rischia di scolorire nella mera emulazione degli altri gruppi associativi.  

Poco più di un anno fa, la sezione romana di MD, cui appartengo, nel documento elaborato in vista del congresso di Reggio Calabria, a proposito dei rapporti tra MD e AREA, si esprimeva in questi termini: “Dobbiamo mettere tutte le nostre migliori energie al servizio di Area, perché senza di noi Area non è in grado di svolgere il suo ruolo di contrasto al corporativismo e alla burocratizzazione.

Area  ha bisogno di essere riempita dei contenuti di MD. Portiamo in Area la nostra attenzione all’esterno della giurisdizione, stimoliamo la magistratura ad interrogarsi sulle dinamiche sociali, politiche, economiche; diamo, insomma, quel riferimento che tanto serve ai colleghi disposti ad alzare la testa dal fascicolo”. Io continuo a pensarla così e credo di non essere il solo.

Concludo ricordando che proprio qui a Bologna nel lontano 1970 alcuni magistrati di MD nel primo numero della rivista QUALE GIUSTIZIA scrivevano: “La rivista nasce ERETICA per dovere morale e sociale; non crediamo al neutralismo del diritto; crediamo invece che la giustizia debba o possa contribuire ad attuare le promesse di eguaglianza non solo formali imposte dalla Costituzione”.

Ecco, io credo che è proprio dal recupero della spinta ideale che era insita in quella ERESIA che anche oggi dobbiamo ripartire.
 
ROCCO GUSTAVO MARUOTTI

05/11/2016

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