Morti sul lavoro: la demagogia panpenalistica e le riforme necessarie

Dopo i morti (o forse quando i morti sono più di uno), in materia di sicurezza sul lavoro arrivano puntuali ricette e buoni propositi. E la ricetta è quasi sempre penale, perché la pena ha molti vantaggi per chi propone di introdurla: è popolare (del resto si è lavorato parecchio perché fosse così) e serve a distinguere i cattivi, le mele marce all’interno di un sistema produttivo sano.

Eppure le pene in materia di sicurezza già ci sono, mancano piuttosto i mezzi e le persone per accertare le violazioni, soprattutto prima che il danno (che le misure di protezione mirano a evitare) si realizzi. Non servono altri reati, ma altri, molti altri ispettori e soprattutto sono necessari interventi strutturali. Perché è ormai chiaro che a causare le morti non sono le mele marce. È ormai chiaro che il deficit di sicurezza è strettamente legato ai modi della produzione, quindi in primo luogo alla disarticolazione dei processi produttivi in catene di appalti, che non hanno altra finalità che risparmiare sul costo del lavoro e in cui quindi i margini di profitto dipendono in effetti dallo sfruttamento dei lavoratori. E sfruttamento significa impiegare lavoratori con retribuzioni inferiori anche alla soglia di povertà, precari, quindi anche più inesperti, meno formati anche sui rischi del lavoro, costretti a orari lunghissimi per procurarsi appena quel che serve a sè e alla propria famiglia e perciò più esposti a quei rischi. Sfruttamento significa anche risparmio sulle dotazioni e sulla formazione in materia di sicurezza.

Le cause delle morti sul lavoro hanno radici profonde e strutturali, per questo i rimedi dovrebbero essere strutturali. Strutturali, ma non difficili e neppure particolarmente costosi per il bilancio pubblico. Due tra tutti: introdurre un salario minimo per legge e reintrodurre anche nel lavoro privato il principio di parità di trattamento tra dipendenti degli appaltatori e dei committenti. Due interventi che renderebbero non più convenienti gli appalti parassitari, servirebbero a costruire un mercato di imprese che competono sulla qualità dei servizi che offrono e non sullo sfruttamento del lavoro e restituirebbero alla retribuzione il suo significato costituzionale di mezzo per costruire vite libere e dignitose.

Ed un terzo intervento dovrebbe riguardare limiti legali di pensionamento nei lavori usuranti: dei quattro operai edili morti ieri, tre avevano più di 60 anni, due addirittura 67 e 69 anni e costringere lavoratori di quasi 70 anni a lavorare in un cantiere e su impalcature per accedere ad una pensione significa aumentare in misura esponenziale il rischio che possano rimetterci la vita.

Riforme semplici. Basterebbe volerle fare.

Gruppo lavoro di Magistratura democratica