È morto Stefano Rodotà.
Lo celebriamo con la ripubblicazione di un suo articolo sui beni comuni comparso
sul fascicolo 5 del 2011 di Questione Giustizia. Con la sua
morte, perdiamo un gigante. Del diritto, della cultura, delle
istituzioni.
Difficile anche solo provare a raccontarlo, a poche ore
dalla sua scomparsa.
Possiamo solo dire che si è spento un faro, una
stella polare per chiunque nella vita abbia sentito il dovere e
sperimentato l’entusiasmo di militare dalla parte dei diritti, delle
libertà, dell’uguaglianza.
Anche l’avvio della storia di Magistratura
democratica è stato possibile grazie al suo pensiero e al suo impegno in
favore dello “scongelamento” delle norme costituzionali e della loro
applicazione diretta al banco del giudice.
Così, tra discussioni sulle
limitazioni al “terribile diritto”, sulla vigenza immediata del diritto
ad una esistenza libera e dignitosa e sulla tutela dei diritti sociali e
individuali ha preso le mosse, negli anni ’60 e ’70, la più grande
stagione di trasformazione democratica del Paese.
La storia dell’uomo
non si è fermata a quegli anni e la bussola del suo pensiero ha
continuato a costituire un punto di riferimento fino ad oggi.
Vogliamo
ricordare, in particolare, il suo impegno per la difesa della
Costituzione, traccia di ogni pensiero giuridico e strada maestra di
ogni impegno politico; la sua attività in favore della laicità dello
Stato e del diritto all’autodeterminazione di ogni umano, anche nei
momenti più delicati della sua vita; la modernità di una riflessione che
lo ha reso maestro anche nella stagione dei nuovi diritti individuali e
sociali.
È stato Rodotà a farci scoprire il valore liberatore e
democratico della privacy e a ricordarci, all’Internet Governance Forum,
la necessità di superare il divario informatico e di teorizzare il
diritto di accesso alla rete per tutti.
Come ha scritto un cantautore di
recente premiato con il Nobel, sappiamo che dobbiamo avere cura dei
nostri ricordi, perché non possiamo viverli di nuovo.
Quello che nel
caso di Rodotà dobbiamo fare, però, è sforzarci di tenere acceso il faro
della sua riflessione.
Non ci mancheranno le tante parole che ci ha
lasciato.
Quelle sì, possiamo sempre riviverle.
23 giugno 2017