Comunicati
Discrezionalità e regole: quale peso per gli indicatori attitudinali specifici?
Riflessioni a margine della nomina del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma.
Nella seduta del 7 febbraio 2024, il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato numerose delibere assunte con una maggioranza che tende a stabilizzarsi (la maggior parte dei componenti laici e i componenti eletti per Magistratura indipendente).
Nulla di patologico, quando il consolidarsi delle maggioranze avviene nel legittimo esercizio del potere discrezionale attribuito al Consiglio Superiore della Magistratura. Il potere discrezionale deve essere però esercitato nel rispetto delle regole vigenti.
Così non è avvenuto il 7 febbraio 2024, nel conferimento dell’incarico di Presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, ufficio caratterizzato da un elevato tasso di specializzazione e connotato da ulteriori specificità; è, infatti, l’unico Tribunale d’Italia che concede le misure alternative ai collaboratori di giustizia e, soprattutto, decide sui reclami contro l’applicazione del regime penitenziario differenziato previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario.
È in ragione della specializzazione che l’art. 19 del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria ha dettato regole ulteriori per questo genere di uffici, individuando puntuali criteri di indirizzo per le scelte discrezionali del CSM, prevedendo che la nomina dei direttivi negli uffici di Sorveglianza avvenga valorizzando lo svolgimento di attività in quel tipo di uffici per almeno “…quattro anni negli ultimi quindici…”.
Ciò nonostante, per il conferimento dell’incarico di Presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, nel voto del 7 febbraio 2024 non è stata data prevalenza all’indicatore attitudinale specifico della professionalità ed esperienza acquisite nel relativo settore, ritenendo che l’esercizio della discrezionalità del Consiglio potesse fare prevalere gli indicatori professionali generici.
La vicenda solleva, ancora una volta, preoccupazione per un certo modo di esercitare la discrezionalità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura e impone di mettere al centro della riflessione il tema delle regole.
Pur essendo evidente che in questo caso è stata disattesa la regola cardine per una nomina in funzioni direttive con specificità così accentuate, è parimenti necessario rilevare che nell’attuale assetto del Testo unico della dirigenza giudiziaria si sovrappongono una pluralità di indicatori eterogenei, che si prestano ad essere combinati in geometrie variabili, condizionabili a seconda dei casi e, purtroppo, delle appartenenze.
Le decisioni del CSM sono quindi esposte all’arbitrio delle maggioranze del momento (sempre meno contingenti); sono sempre meno comprensibili dal corpo della magistratura e, per ciò, sempre meno accettate, con pregiudizio per la credibilità del governo autonomo e con il rischio di rimettere di fatto la designazione dei dirigenti degli uffici giudiziari alla giustizia amministrativa.
Non è questa la strada affinché il CSM recuperi l’autorevolezza necessaria a restituire a tutta la magistratura la dignità e l’affidabilità perdute, dopo le note vicende investigate dalla Procura di Perugia.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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