Documento Congressuale Md Liguria
XIX CONGRESSO NAZIONALE DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA
“Quale giustizia al tempo della crisi. Come cambiano diritti, poteri e giurisdizione”
Roma , 31 gennaio – 3 febbraio 2013
(DOCUMENTO APPROVATO DALL’ASSEMBLEA DELLA SEZIONE LIGURE )
Il tema della dirigenza degli uffici giudiziari ha monopolizzato negli ultimi mesi il dibattito interno alla magistratura associata ed anche la riflessioni della magistratura progressista che si riconosce nel progetto di Area.
Il problema è ineludibile, perché una corretta organizzazione del lavoro giudiziario non è più funzionale soltanto alla tutela dell’indipendenza interna ed esterna della magistratura, è anche condizione dell’efficienza del servizio e - di fronte ad un lavoro giudiziario sempre più difficile per qualità e quantità - l’efficienza è indispensabile per garantire tutela ai diritti violati, tanto più quando si tratta di diritti dei deboli, per i quali (più che per altri) una tutela tardiva equivale a mancata tutela.
L’acquisita consapevolezza della peculiarità della funzione dirigenziale e delle difficoltà organizzative intrinseche al lavoro giudiziario, hanno indotto la magistratura associata a rinunciare alla selezione dei dirigenti sulla base del criterio della anzianità senza demerito sostituendolo con una valutazione di merito.
Questa soluzione è stata prescelta e progressivamente ampliata benché non fosse ancora stato individuato un sistema di valutazione del merito e benché i pareri sulla base dei quali tale valutazione avrebbe dovuto essere compiuta fossero del tutto inidonei allo scopo. Per lungo tempo, l’autogoverno è stato chiamato a indagare sulle attitudini dirigenziali degli aspiranti ad uffici direttivi senza avere a disposizione altri elementi di conoscenza che pareri stereotipati, redatti quando ancora ci si atteneva al criterio della anzianità senza demerito. Pareri che, nel migliore dei casi, davano indicazioni, oltre che sulla produttività, sulle conoscenze giuridiche, sulla diligenza e sull’equilibrio del candidato, ma certamente non dicevano nulla sulle sue capacità organizzative.
Quello che doveva essere un sistema meritocratico si è trasformato così in un sistema nel quale è presente una dimensione clientelare che il progressivo affinarsi delle fonti conoscitive non è riuscita a contrastare pienamente.
E’ oggi opinione comune tra i colleghi che l’assegnazione di un qualunque ruolo direttivo (ed anche l’assegnazione di ruoli semidirettivi, e perfino il trasferimento da una funzione ad un’altra, da una sede ad un’altra) siano determinate da logiche clientelari. Tale diffuso convincimento rischia di minare alla radice il senso stesso dell’associazionismo giudiziario e fa sì che la maggioranza dei colleghi invochi ormai a gran voce, se non il ritorno all’anzianità senza demerito (proposto in termini espliciti dal Segretario di Magistratura Indipendente nelle ultime prese di posizione ufficiali), quanto meno un recupero del criterio dell’anzianità.
Non si può contrastare questo sentimento diffuso negando che il problema esista e limitandosi a rivendicare il ruolo di Alta Amministrazione che il CSM è chiamato a svolgere (ruolo che certamente comporta un’ampia discrezionalità e impone di compiere anche valutazioni di carattere “politico”).
Non lo si può fare perché l’Autogoverno cammina sulle gambe della Magistratura e, se lasciamo che sia travolto, ne pagheremo il prezzo in termini di indipendenza ed autonomia. Sarà quindi l’intero sistema democratico a risentirne.
I componenti della Sezione Ligure pensano che vi sia un modo serio di affrontare questo problema e che Magistratura Democratica lo conosca bene per averlo già esplorato in un passato non troppo remoto.
Secondo la Costituzione, “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”. Con questa frase i Padri costituenti volevano contrastare un’organizzazione burocratica e gerarchica della magistratura e quindi un modello organizzativo al quale è inscindibilmente connesso il concetto di “carriera”.
Crediamo che Magistratura Democratica debba ancora oggi adoperarsi perché il concetto di carriera sia estromesso, per quanto possibile, dall’ordinamento giudiziario.
Non intendiamo con questo fare valutazioni critiche sulle legittime aspirazioni dei singoli. Al contrario, siamo consapevoli che la carriera non è necessariamente un male: premia il merito, a volte mette le persone giuste al posto giusto. Siamo altrettanto consapevoli però che l’esistenza stessa di una carriera espone la magistratura ai ricatti e ai condizionamenti della politica e può esporre il magistrato che abbia aspirazioni dirigenziali alle rivalse del proprio “capo”.
Le vicende di questi anni ci dicono inoltre che occorre in qualche modo ridimensionare il concetto di carriera perché, se continuiamo a consentire che si esasperi e si rafforzi, rischieremo di trovarci sempre più spesso di fronte a dirigenti bravi e capaci, ma ricchi di aspettative personali, e dunque condizionabili, e perciò non abbastanza indipendenti.
Riteniamo che Magistratura Democratica debba impegnarsi a rendere immediatamente intellegibile, già a livello di normazione secondaria, che il conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi non è un premio, ma comporta lo svolgimento di un servizio. Che quel servizio non richiede competenze e attitudini migliori rispetto a quelle che si chiedono ad un magistrato ordinario, ma competenze ed attitudini diverse, e per questo la selezione dei dirigenti non può avvenire per anzianità (ma una certa anzianità è necessaria perché non si può essere bravi dirigenti senza aver prima svolto il lavoro ordinario).
E’ indispensabile pertanto che si richieda ai Consigli Giudiziari di acquisire dati sulla capacità dimostrata dall’aspirante nella concreta gestione del proprio ruolo (e quindi sulle capacità organizzative dimostrate sul campo). Deve essere obbligatorio assumere informazioni dall’avvocatura e dai colleghi che hanno lavorato con chi aspira a svolgere funzioni dirigenziali. Non deve essere sufficiente constatare che l’aspirante ha svolto determinati incarichi (ad es: coordinatore dei MOT, componente della commissione flussi, referente per la formazione decentrata), ma è necessario conoscere in che modo li ha svolti, istituzionalizzando un parere in relazione a ciascuno di questi incarichi e acquisendo informazioni da coloro che ne hanno potuto valutare gli esiti.
Solo così sarà possibile elaborare trasparenti criteri di valutazione delle capacità organizzative e solo così si potrà far capire a ciascuno che fare il dirigente non è “di più”, ma è “diverso” dal fare il giudice o il sostituto, e che un bravissimo magistrato può essere un pessimo dirigente.
A tal fine ci sembra opportuno introdurre nella valutazione dei singoli parametri la tecnica del punteggio che è più idonea ad imbrigliare la discrezionalità e a renderne trasparente l’esercizio.
Si dovrà esigere che il dirigente non confermato (o decaduto per decorso del tempo), sia pienamente reintegrato nel lavoro ordinario e sarà compito del gruppo adottare iniziative affinché questa materia sia disciplinata, e soggetta a controllo da parte del CSM, come avviene per i casi di ultradecennalità.
Siamo persuasi che la Scuola Superiore della Magistratura appena istituita debba favorire un diverso approccio culturale al ruolo di dirigente e diffondere tra tutti i magistrati una cultura dell’organizzazione funzionale al miglioramento del servizio reso ai cittadini.
E’ importante, a tal fine, promuovere metodi collegiali di gestione degli uffici che consentano ai dirigenti di conferire deleghe su singole materie anche ai magistrati che non abbiano funzioni dirigenziali, così che ciascuno possa essere coinvolto nell’organizzazione del servizio e possa concretamente formarsi a dirigere, secondo una concezione della dirigenza “frazionata” e “diffusa”.
De jure condendo pensiamo che Magistratura Democratica, che tanto si è battuta per ottenere la temporaneità degli uffici direttivi, debba riprendere quella battaglia per far sì che si tratti di una temporaneità effettiva e che gli incarichi direttivi non possano essere conferiti alla stessa persona più di una volta. L’obbligatorio ritorno alle funzioni ordinarie, infatti, renderebbe palese che la dirigenza non è un privilegio, ma un servizio, e consentirebbe al dirigente decaduto di trasmettere al suo successore le competenze acquisite.
Il ritorno allo svolgimento di funzioni ordinarie potrebbe essere compensato da un prolungamento della permanenza nell’ufficio direttivo (10 anni invece di 8). In tal caso il dirigente dovrebbe essere soggetto a due conferme: una poco dopo il conferimento delle funzioni direttive (ad esempio 2 anni), per ovviare tempestivamente ad eventuali errori di designazione, l’altra a metà del tempo residuo (4 anni).
Per i semidirettivi (che svolgono anche funzioni ordinarie) potrà essere ammesso il passaggio a funzioni direttive, ma non ad altro incarico semidirettivo.
Non dovrà essere più consentita, insomma, quella che Pino Borré definiva una “carriera separata” di capo-ufficio “eventualmente itinerante”,realizzata attraverso il sistematico passaggio da un ufficio dirigenziale ad un altro.
Le vicende degli ultimi anni dimostrano che anche in magistratura esiste una questione morale, per questo riteniamo ragionevole che Magistratura Democratica si interroghi sull’opportunità di introdurre un illecito disciplinare per i Magistrati che segnalino se stessi o altri al fine di ottenere agevolazioni nel conferimento di un incarico che, per vie ordinarie, sarebbe difficilmente conseguibile o non conseguibile negli stessi tempi e alle medesime condizioni. Un analogo illecito potrebbe essere previsto per i Consiglieri Giudiziari e per i Consiglieri del CSM che ricevano siffatte “raccomandazioni” a sostegno dell’uno o dell’altro candidato ed omettano di denunciarle.
Poiché siamo certi che tra i Valori irrinunciabili di cui Magistratura Democratica è portatrice vi è il rifiuto di un modello di magistrato disposto a barattare il prestigio e la progressione in carriera con la subalternità alla gerarchia, sottoponiamo questo documento all’approvazione del XIX Congresso Nazionale di M.D. che si terrà a Roma dal 31 gennaio al 3 febbraio prossimi.
Auspichiamo che il Congresso faccia proprie le proposte che vi sono contenute e le stesse costituiscano parte delle linee programmatiche cui la corrente si ispirerà nei prossimi anni anche all’interno del percorso di “Area”.
Genova, 11.1.2013
LA SEZIONE LIGURE DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA
(pubblicato il 16/01/2013)
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