Milano, 11 ottobre 2024
Le nomine del Csm: la svolta possibile
Buon pomeriggio a tutti
Preliminarmente un grazie a tutti voi partecipanti a questo incontro, un grazie agli organizzatori per l’occasione che c’è stata offerta per illustrare la bozza di proposta di modifica del testo unico sulla dirigenza giudiziaria che io e Michele Forziati presenteremo alla attenzione della quinta commissione, e successivamente all’attenzione del plenum.
Ancora preliminarmente, permettetemi qui un pubblico ringraziamento a Michele: abbiamo lavorato insieme, sinergicamente, a questo progetto, condividendone spirito ideale, principi e valori. Ma è stato Michele a tradurre in forma leggibile ed ostensibile, chiara, e con tecnica redazionale sopraffina, tutto quello che ci siamo detti; e, credetemi, non è stato un lavoro da poco. Di questo io lo ringrazio infinitamente, riconoscendogli quelle brillanti qualità che già avevo modo di saggiare circa 10 anni fa, quando ci trovammo, da correlatori, in un corso di formazione per direttivi organizzato dalla Scuola Superiore, trattando da due diverse prospettive (io come componente del CG di Napoli, Lui come apicale del Ministero) la tematica delle nomine e delle conferme dei direttivi.
Ebbene, perché riformare il testo unico sulla dirigenza giudiziaria? Sappiamo che ce lo impone la riforma Cartabia, la legge 71/2022, che ha introdotto importanti modifiche per quanto riguarda l’ordinamento giudiziario. Ed ora, dopo che ad aprile 2024 sono stati licenziati i decreti attuativi della 71 del 2022, è diventato ancora più impellente procedere alla revisione del testo di normazione secondaria, pena il blocco di tutte le procedure di nomina (già il bando di giugno 2024 è saltato per tale ragione).
E sottolineo “ancora più impellente”, perché l’intervento migliorativo del testo attuale era una necessità già avvertita da tempo, ed è diventata cogente -parlo per me, ma mi sento di poter parlare serenamente anche a nome di Michele- dopo quasi un anno e mezzo di esperienza in questo Consiglio, avendo toccato con mano come sia effettivamente possibile, con la attuale normazione secondaria, poter sostenere tutto ed il contrario di tutto, ritenere prevalente oggi un parametro che domani sarà considerato subvalente, fino ad arrivare a veri e proprie torsioni della normazione secondaria per confezionare, e quasi “cucire il vestito addosso” al candidato che si era scelto di proporre.
Torsioni che certamente, nel recentissimo passato, hanno avuto il loro acme con la vicenda Palamara.
Ma che tuttora trovano spazio nelle larghe maglie dell'attuale Testo Unico, finendo per gettare un’ombra di opacità anche sulle decisioni più lineari (con l’effetto paradosso di ingenerosi sospetti anche su nomine unanimi).
Noi siamo il Consiglio del dopo Palamara: tutti in campagna elettorale abbiamo detto, e ripetiamo tutt’ora, che vi è una diffusa, forte e sentita esigenza che il Consiglio sia una casa di vetro, che le decisioni vengano prese in maniera chiara, trasparente e
leggibile dall’esterno. Che si saremmo fatti portatori di questa esigenza e che ci saremmo impegnati in tal senso.
Era nel programma elettorale di MD -gruppo della magistratura associata al quale sono iscritta e con il quale sono state eletta- e nel mio programma in particolare, la necessità del recupero del modello di magistrato disegnato dal legislatore costituente,
che ci ha consegnato un modello di magistratura orizzontale, all'interno della quale i magistrati si distinguono solo per funzioni. Non certo per grado. Ci siamo detti che era necessario intervenire sulla questione morale, evitando il mercimonio di nomine e prebende, restituendo alla magistratura, e a cascata ai magistrati tutti, quella autorevolezza lacerata. Perché deve riconoscersi che non si è trattato di condotte singole, o comunque ascrivibili in maniera selettiva solo ad alcuni, bensì di un punto di caduta generalizzato che ha coinvolto pesantemente l’Istituzione e la magistratura tutta (indubbiamente anche a causa di una campagna mediatica interamente concentrata a coprire di un discredito indifferenziato, e per certi versi interessato, il potere giudiziario).
Ritengo pertanto doveroso che chi nella magistratura -pur partendo da storie, percorsi e sensibilità diverse (come ad es. io e Michele)- si riconosce in questa esigenza, debba farsi carico di quanto è accaduto -anche se non ne è stato direttamente partecipe, perché, evidentemente, non è stato in grado di ostacolarla o denunciarla efficacemente. E ciò anche per contrastare una narrazione politico-mediatica finalizzata a dipingere l’esercizio della giurisdizione come inquinato da pregiudizi ideologici o di parte, narrazione che ha indubbiamente trovato terreno fertile in prassi generalizzate di autopromozione e indebiti tentativi di influenza sulle decisioni di singole pratiche.
Dobbiamo, quindi, ricostruire un’etica condivisa che rimetta sui giusti binari il rapporto fra “rappresentanti” e “rappresentati” e che sappia superare definitivamente la logica del do ut des e le prassi procedimentali che si sono rivelate più funzionali a realizzarla. E tra queste, certamente l’attuale TU con le sue larghe maglie. Ed allora, quale migliore occasione di attuazione di questi valori anche attraverso la riforma del TU sulla dirigenza giudiziaria? In questi ultimi vent'anni il DNA della Magistratura è profondamente cambiato, soprattutto in ragione della riforma del 2006, che ha spinto al carrierismo più esasperato.
La riforma del 2006. Che nasce con le migliori intenzioni, volte alla ricerca del dirigente più capace e più efficiente per un determinato ufficio -abbandonando così in via definitiva il criterio dell'anzianità senza demerito. Ma che, per converso, ha contribuito ad insinuare lentamente, ma saldamente, nella cultura del magistrato l’idea che sia assolutamente necessario ricoprire un incarico semidirettivo prima e direttivo poi, e forse anche più di uno, nell'arco della propria carriera, dando così il via alla ricerca affannosa e smasmodica delle “medagliette”, che con l’attuale testo unico attuale possono essere valorizzate a piacimento non essendo categorizzate. Il lavoro giudiziario effettivamente svolto, il “come” lo si è svolto, è diventato recessivo, nelle valutazioni per le nomine rispetto ad una asserita capacità organizzativa desunta dalle varie medagliette accumulate sin dall’ingresso in magistratura, rispetto alle quali, nel 90% dei casi, sfugge la possibilità di verifica di come concretamente quegli incarichi siano stati svolti e delle positive ricadute apportate dal loro svolgimento all’organizzazione dell’ufficio. Sin da giovanissimi si entra nel circuito perverso della ricerca delle medagliette, si inizia a rincorrere la nomina per un semirettivo in un ufficio piccolo, caso mai poco ambito, per poi passare ad uno in un ufficio di medie dimensioni, e poi ad un direttivo di un ufficio di piccole dimensioni, che diventa il volano per ambire alla direzione di un ufficio di medie/grandi dimensioni. Rimanendo in ciascun incarico, dunque in ciascun ufficio, spesso solo il tempo strettamente necessitato per legge (4 anni ex art. 198 ord. giud. per il successivo tramutamento), transitando così da incarico direttivo o semidirettivo all’altro, quasi che sia “riprovevole”, o comunque una deminutio, ritornare a fare “il soldato semplice”.
Dunque, la necessità di una riforma dell'attuale testo si impone non solo soltanto per l’obbligato adeguamento alla legge Cartabia, ma, a mio parere, soprattutto per cercare di recuperare quel modello di magistratura orizzontale che il legislatore costituente ha disegnato e che a mio parere va gelosamente custodito. La prevedibilità delle decisioni, attraverso il sistema di pesatura che oggi vi presentiamo, determinerebbe, inoltre, anche un abbassamento dell’eccessiva enfasi che c'è sulla questione “nomine”: i fari dell'opinione pubblica sull'attività consiliare sono tutti puntati sulle nomine dei direttivi. Passa la narrazione che questa sia l'unica attività del consiglio, o cumunque quella preponderante. Recedono sullo sfondo snodi fondamentali dell'attività consiliare, snodi necessari ed essenziali affinché sia preservata l’autonomia e indipendenza della magistratura, tutela della autonomia e dell’indipendenza della magistratura che è il compito principale che il legislatore costituente attribuisce al CSM. Autonomia e indipendenza della magistratura che viene preservata con il lavoro di tutte e di ciascuna articolazione consiliare, con l’esame di questioni cruciali che possono riguardare la prima commissione, o ancora la terza, che deve garantire la copertura degli uffici, e poi la sesta, con i pareri e le risoluzioni ex l.del 58, ed ancora la settima, con l’organizzazione degli uffici giudiziari.
Rendendo più leggibili e prevedibili le decisioni consiliari in tema di nomine, questa bozza di proposta si pone, quindi, anche nell'ottica di riequilibrare e ristabilire, come dire, di ridare “il giusto peso”, all'interno del consiglio, alle attività consiliari stesse, e segnatamente agli affari della quinta commissione rispetto agli altri. Prima di lasciare la parola a Michele, aggiungo brevissime considerazioni: questa proposta prevede i “punteggi” quale sistema di pesatura di ciascuno dei parametri indicati dalla Cartabia e dai decreti attuativi, -pesatura che a volte può essere fissa a volte variabili, ma sempre con dei range molto limitati-. Pesatura degli indicatori, diversi per ciascuno degli uffici a concorso, con recupero, sotto il profilo del merito, del valore dell’esperienza giudiziaria, intesa come positivo esercizio delle funzioni. Non sopprime la discrezionalità del consiglio (come da più voci si è voluto far intendere), ma anzi, al contrario, a mio parere, la valorizza ancora di più. Perché qui, operando scelte a monte, con l'individuazione dei criteri ai quali dare più o meno peso, ed abbandonando il criterio della scelta a valle -calibrata sul singolo aspirante (come purtroppo oggi accade di sovente consentendolo il testo unico attuale) - ci si assume la responsabilità ALTA di operare scelte valoriali di fondo, di sistema.
Certo, non è la panacea di tutti i mali, né ha la pretesa di essere tale. È un tentativo di dare corpo e forma ai valori nei quali crediamo, e per l’attuazione e tutela dei quali io sono, noi siamo, in Consiglio; è un tentativo per rendere chiare, leggibili, prevedebili e soprattutto coerenti le decisioni consiliari. Non vi nascondo che, nel mio contributo a questa bozza, ha inciso anche l'esperienza di un anno e mezzo circa in terza commissione, dove il sistema dei punteggi, sia per i tramutamenti di primo che di secondo grado, che per quelli per i posti di legittimità vige da tempo, con marigini ristrettissimi di discrezionalità a valle (1/2 punti) attribuibili solo con riferimento al concreto esercizio dell’attività giurisdizionale (ed è questa l’opzione culturale, la scelta di fondo che lì è stata fatta), griglie che non solo hanno dato un buon risultato nel corso degli anni, ma hanno garantito trasparenza e leggibilità all'esterno delle decisioni del consiglio. Esigenza di chiarezza e leggibilità all’esterno delle decisioni consiliari che, come ho detto, non significa abdicare alla discrezionalità consiliare, ma portarla su un piano ALTO, anticipando il momento decisionale della scelta a monte, quindi sul criterio, sul parametro da valorizzare, e non a valle, calibrato sul singolo candidato. Discrezionalità consiliare che va gelosamente salvaguardata, ma che deve ritornare ad essere, appunto, scelta, sui valori e non sulle persone. Scelta di valori e non di interessi.
Concludendo, dobbiamo collettivamente riconoscere che la magistratura tutta (rappresentati e rappresentanti) non è stata all’altezza di una riforma così dirompente, come era quella del 2006/7. E che, dopo gli scandali, la priorità è impedire, nei limiti del possibile, e nel rispetto della normazione primaria vigente, un carrierismo così accentuato, le degenerazioni che ne sono conseguite -anche e soprattutto a livello culturale- e dunque recuperare il modello culturale di magistratura orizzontale disegnato dal legislatore costituente. “Sdrammatizzare” le nomine, ed il ruolo centrale che le stesse hanno assunto nell’ambito dei lavori consiliari, valorizzando tra tutti quello precipuo assegnato dalla costituzione al CSM, ossia la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. E soprattutto, rendere il CSM una casa di vetro con la chiarezza, leggibilità e coerenza delle decisioni. Perché la questione morale passa anche attraverso ciò. Nel nostro intendimento, questa circolare risponde a questa esigenza.
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