La regressione della Corte Suprema Usa

La regressione della Corte Suprema Usa


Assistiamo con estrema preoccupazione all'inaccettabile regressione in tema di diritti civili imposta,  con una forzatura politica senza precedenti, dalla Corte suprema statunitense che, con la sentenza resa il 24 giugno 2022 nel caso Dobbs v. Jackson Women's Health Organization, ha superato, di fatto abolendone l'efficacia vincolante, la storica sentenza Roe v. Wade con cui, nel 1973, la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto negli Usa.  


"La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto", è il messaggio contenuto nella sentenza che travolge due precedenti sui quali si è basata, per quarantanove anni,  la legalità dell’aborto negli Stati uniti, con la conseguenza di  rimettere ex novo  la questione ai singoli Stati i quali,  in assenza di una legge del Congresso che regoli l’aborto a livello federale, tornano liberi di decidere se e a quali condizioni consentire alle donne l'interruzione della gravidanza. 

È estremamente chiaro il disegno instaurato  sotto la Presidenza Trump, che ha avuto uno dei principali obiettivi di governo proprio  nello smantellamento dell'equilibrio della Corte, sbilanciandone a destra la composizione con la discussa nomina in corner della Giudice Coney Barret, allieva di Antonin Scalia e fautrice della tesi dell'original intent: tesa a neutralizzare ogni evoluzione interpretativa della Costituzione  in tema di diritti civili (ma molto meno, ad esempio, in tema di armi) e a restringerne l'applicazione al significato storico minimo, così bloccando quella che noi definiamo "Costituzione vivente" o "Interpretazione costituzionalmente orientata" in tema di nuovi diritti: dalle tutele dei cittadini migranti e degli apolidi, al restraint della pena di morte, sino alle questioni ambientali e, appunto, ai  diritti delle donne e ai diritti di genere. 

È probabile che fra i prossimi obiettivi di una Corte ormai prigioniera della destra radicale, e che per questo rischia di perdere credibilità,  apparendo ormai come organo giurisdizionale di una parte e non dell'intera cittadinanza, ci saranno il  diritto all'acquisto e all'uso dei contraccettivi e, a seguire, il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Pur nella  sostanziale differenza dei sistemi giuridici e degli ordinamenti giudiziari europei, e di quello italiano in particolare, rispetto al modello americano, non possiamo non vedere che anche in Europa è in atto un tentativo, che apertamente si ispira alla dottrina Trump, di tornare indietro rispetto a diritti di civiltà che tendiamo a considerare ormai acquisiti e indiscussi. 
Sappiamo che è in atto in Europa una crociata fondamentalista contro la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 e ratificata in Italia con Legge 27 giugno 2013, n. 77;  e anche la recente vicenda, tutta italiana, del progetto di legge numero 735, meglio conosciuto come "Decreto Pillon", ispirato al diritto alla "bigenitorialità perfetta" e all'abolizione dei provvedimenti economici correlati alla collocazione prevalente del minore, in senso deliberatamente punitivo verso le donne, dovrebbe farci riflettere. 

Non esistono diritti acquisiti una volta per tutte. Anzi, mentre l'opinione progressista occidentale ha  passato gli ultimi decenni seduta sull'erronea convinzione che i diritti acquisiti  non si possano perdere, un movimento fondamentalista globale, radicalmente  conservatore, bellicista, idolatore delle armi e ferocemente  antifemminista, ha invece lavorato ai margini,  non solo in America ma anche in Europa, riuscendo a trovare l'appoggio della componente  cattolica più ideologica e politicizzata. 
In questo momento più che mai la giurisdizione italiana deve stringersi a baluardo della propria indipendenza e a servizio dei diritti civili, affermandone  strenuamente la non negoziabilità  e la non disponibilità  al consenso politico. 

Più che mai sentiamo la necessità di affermare le ragioni e la necessità di una magistratura autenticamente progressista che, proprio in nome della sua indipendenza  dalla politica, non abbia mai timore di stare  dalla parte dei diritti, e di ergere un recinto giuridico  invalicabile alle spinte populiste, fondamentaliste e regressive che cercano di attaccarli.

27/06/2022

Articoli Correlati

Comunicati

25 Aprile, Costituzione, giurisdizione


Il fascismo fu anche giurisdizione.


Fu il Tribunale speciale per la difesa dello Stato istituito nel 1926 (e ricostituito nella Repubblica sociale italiana) che inflisse agli antifascisti decine di migliaia di anni di reclusione, confino, sorveglianza speciale di polizia.


Fu il “servile e osannante conformismo” (parole di Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente) condiviso da una parte della magistratura e da buona parte delle “alte magistrature” immortalate nella cronaca dell’apertura dell’anno giudiziario del 1940 mentre acclamano il duce che riceve i capi degli uffici giudiziari a Palazzo Venezia.


La democrazia costituzionale esige che il quadro normativo che regola lo svolgimento della funzione giusrisdizionale non diventi lesione del ruolo costituzionale della giurisdizione; e che, nell’intera loro attività, i magistrati riescano a “essere la Costituzione” rifiutando il conformismo, non nelle sue ultime e drammatiche esternazioni ma sin dalle sue prime manifestazioni.

Editoriale

25 Aprile, Costituzione, giurisdizione


Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato fu istituito con legge 25 novembre 1926 n. 2008; venne soppresso con decreto legge 29 luglio 1943 n. 668 dopo avere comminato ventisettemilasettecentocinquantadue anni, cinque mesi e diciannove giorni di reclusione e quarantadue pene di morte; e avere condannato dodicimila antifascisti al confino, sottoponendone oltre centosessantamila a vigilanza speciale; la Repubblica sociale italiana lo ricostituì il 3 dicembre 1943; cessò di operare con la Liberazione. 

Comunicati

La riforma del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria: un’opportunità da cogliere senza esitazioni


Magistratura democratica, ad esito di una elaborazione collettiva del gruppo, maturata nel tempo, offre alla riflessione delle istituzioni, della magistratura associata e di tutti i magistrati e i giuristi, una riflessione sull’attuazione del decreto legislativo n. 44 del 2024.


I compiti che il CSM dovrà svolgere per attuare la riforma della dirigenza giudiziaria consentono, se lo si vorrà, di dare strumenti per la trasparenza e la leggibilità delle scelte, che valorizzando la scelta di criteri generali piuttosto che di criteri sulla singola nomina, può consentire di combattere l’indispensabile battaglia contro il carrierismo e il clientelismo da troppo tempo rimandata.