La discrezionalità e la forza delle regole: il CSM e la dirigenza giudiziaria

dal Consiglio nazionale

La discrezionalità e la forza delle regole: il CSM e la dirigenza giudiziaria


Consiglio nazionale di Magistratura democratica, 3 febbraio 2024


Il Consiglio nazionale di Magistratura democratica ha espresso preoccupazione per la vistosa tendenza alla gerarchizzazione della magistratura, quale premessa per controllarne e indirizzarne l’azione di controllo della legalità e tutela dei diritti, vanificando il principio costituzionale secondo cui i magistrati si distinguono solo per le funzioni svolte. 


Ha constatato l’esigenza di contrastare il carrierismo attraverso una corretta determinazione delle regole che disciplinano l’esercizio della discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura e la concreta declinazione di tale discrezionalità, che deve essere oggetto di una stringente verifica di cui rendere conto. La natura doverosamente politica del ruolo del Consiglio trova, infatti, la sua dimensione costituzionale nella corretta individuazione delle regole e dei principi che devono disciplinarne l’attività e non nella regola del più forte. Per questa ragione Magistratura democratica ha deciso di avviare una riflessione seminariale aperta a tutti i magistrati, destinata ad individuare il percorso culturale e normativo più idoneo a ripensare i criteri di scelta degli incarichi interni alla magistratura al fine di renderli il più possibile oggettivi e razionali, in vista di una proposta di profondo ripensamento delle regole vigenti. Per determinare quali modelli di dirigente (e dunque di magistratura, e dunque di magistrato) il Consiglio intende conseguire.


Il Consiglio superiore della magistratura è un organo di rilievo costituzionale, chiamato ad assicurare autonomia e indipendenza della magistratura. La sua composizione (che vede, oltre al Presidente della Repubblica e ai membri di diritto, componenti designati dal Parlamento – con maggioranze qualificate – ed eletti dalla magistratura) rende evidente che il disegno costituzionale riconosce l’esistenza – e la necessità – che, nell’assolvimento della sua funzione di garanzia istituzionale, il Consiglio superiore della magistratura effettui delle scelte, all’esito del confronto tra diverse sensibilità. 


In questo si palesa la ineliminabile politicità dell’azione del Consiglio superiore della magistratura, nel perimetro della funzione di garanzia e di governo autonomo della magistratura. Di qui la ineliminabile discrezionalità delle scelte del Consiglio.


La discrezionalità e la politicità dell’azione del Consiglio superiore della magistratura attraversano innumerevoli aspetti della vita dell’organo. Ma è innegabile che, nel dibattito attuale, il tema della discrezionalità della sua azione viene sempre più spesso evocato per parlare della carriera dei magistrati. E parlare della carriera in magistratura, vuol dire parlare della magistratura e dei singoli magistrati. Della percezione che il magistrato ha di sé e della funzione che è chiamato ad esercitare.


Magistratura democratica nella sua storia si è battuta per l’affermazione di una magistratura in cui il rilievo della dirigenza giudiziaria non deve essere enfatizzato: una magistratura orizzontale, in cui le responsabilità funzionali di un dirigente non possono – e non devono – diventare elementi di gerarchia interna.


Non di meno, Magistratura democratica – all’indomani della riforma degli anni 2006-2007 – ha investito con altrettanta convinzione nella riforma della dirigenza giudiziaria. Una riforma che – nell’ambizione di rendere più efficiente il servizio giustizia – ha attribuito al Consiglio superiore della magistratura la responsabilità di designare dirigenti degli uffici giudiziari in possesso di comprovate competenze. Una riforma che – superando il criterio della mera anzianità – ha ampliato inevitabilmente gli spazi di discrezionalità del Consiglio. È una riforma in cui Magistratura democratica ha creduto.


Più di quindici anni di esperienza ci dicono quale sia l’impatto di questa riforma e dell’ampliamento di questi spazi di discrezionalità. La contemporaneità ci impone di prendere atto di alcune conseguenze: è aumentato il carrierismo (sacrificando la promessa costituzionale di una magistratura orizzontale); è aumentato il clientelismo; l’aumento della discrezionalità rende talora le decisioni del Consiglio scarsamente comprensibili e l’opinabilità di molte decisioni alimenta una percezione di delegittimazione del Consiglio nel corpo della magistratura; si ampliano – oltre i tassi fisiologici – gli spazi di intervento del giudice amministrativo: sino al punto che, in alcuni casi, la decisione di nominare un certo dirigente è presa, di fatto, dal giudice amministrativo e non dall’organo costituzionalmente investito di quella funzione.


La proliferazione di indicatori attitudinali variegati, l’assenza di indicazioni chiare e predeterminate sul peso specifico che ciascuno di essi debba avere nelle singole procedure, hanno attribuito al Consiglio superiore della magistratura un tasso di discrezionalità molto elevato. 


L’eccessivo tasso di discrezionalità e il cattivo uso che il Consiglio superiore della magistratura ne ha fatto è, dunque, un problema che la magistratura deve affrontare. Anche perché i contrappesi che si erano immaginati non si sono rivelati incisivi: la temporaneità degli incarichi si è rivelata una finzione; le procedure di conferma quadriennale – quando problematiche – sono risultate spesso tardive e più spesso ancora inefficaci; i contrappesi di responsabilità “politica” sono assenti (tanto che, sempre più spesso, in decisioni controverse, il componente del Consiglio nemmeno sente più il bisogno di spiegare le ragioni della propria astensione o del proprio voto, manifestando il proprio disinteresse a rendere conto di come egli interpreti la funzione).


Il cattivo uso della discrezionalità – talora impropriamente contrabbandato come espressione della politicità del Consiglio superiore della magistratura – consegna sempre più spesso le decisioni alla legge della forza (dei numeri e delle contingenti maggioranze). 


Preso atto di questa deriva, Magistratura democratica ritiene indispensabile contrapporre – alla legge della forza – la forza della legge: la forza delle regole.


La discrezionalità deve necessariamente essere esercitata dal Consiglio superiore della magistratura in coerenza con la missione di garanzia che la Costituzione ad esso affida: garanzia rispetto a un’efficiente organizzazione del servizio giustizia (che postula dirigenti all’altezza del compito) ma anche: garanzia dell’indipendenza esterna ed interna dei singoli magistrati; promozione di una magistratura vissuta come orizzontale.


È necessario sdrammatizzare il tema della dirigenza e, al tempo stesso, tutelare le prerogative – ma anche la legittimazione istituzionale – del Consiglio superiore della magistratura. Riteniamo pertanto necessario che il Consiglio sposti il fuoco di attenzione dalla discrezionalità esercitata in occasione delle singole scelte, all’elaborazione dei criteri che regolano le modalità di esercizio del potere di scelta, esercitando, così, con coraggio, le proprie prerogative di politica giudiziaria.


Nel necessario adeguamento del Testo Unico Dirigenza, il Consiglio superiore della magistratura ha l’occasione per esprimere la sua discrezionalità e la sua politicità, declinando indicatori attitudinali maggiormente vincolanti e maggiormente conformanti la scelta che – in concreto – dovrà poi operare nelle varie procedure.  


La riforma del Testo Unico Dirigenza sarà la sede – con atti di normazione secondaria e nel perimetro delle fonti primarie – per esprimere, all’esito di un confronto plurale tra le varie anime dell’organo, quali modelli di dirigente (e dunque di magistratura, e dunque di magistrato) il Consiglio intende conseguire.


Ciò richiederà un’intensa elaborazione su scelte che non saranno neutre: quale peso dare all’anzianità; quale peso dare ai diversi indicatori attitudinali; quali indicatori attitudinali valorizzare in relazione ai diversi uffici da attribuire; quale peso specifico dare ai diversi indicatori; e via seguitando. Ciò, probabilmente, ridurrà il senso di disorientamento che si registra a fronte di talune decisioni e sposterà la discussione di politica giudiziaria dalle singole decisioni ai criteri da valorizzare. 


È in quel confronto e in quella elaborazione di modelli – non sulle singole scelte – che Magistratura democratica ritiene si debba esprimere il pluralismo del governo autonomo e la politicità intrinseca alla funzione del Consiglio superiore della magistratura, rendendo al tempo stesso più trasparente e meno controversa la sua azione.


È per queste ragioni che Magistratura democratica intende avviare una riflessione – anche per mezzo di seminari in cui discuterne – per proporre alla magistratura e al confronto plurale un nuovo modello di Testo Unico Dirigenza capace di consentire al Consiglio superiore della magistratura di effettuare scelte discrezionali, ma comprensibili e sottratte alla legge della forza.

 

Il Consiglio nazionale di Magistratura democratica

 

06/02/2024

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