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Registrazione e Resoconto secondo seminario - La riforma della giustizia civile

di Esecutivo di Magistratura Democratica

SECONDO SEMINARIO, 18 aprile 2024 ore 15:30

I processi di impugnazione.


Il 18 aprile 2024 ha avuto inizio il secondo ciclo di seminari promosso da Magistratura Democratica sulla riforma della giustizia civile introdotta - in attuazione della legge delega n. 206/2021 - dai decreti legislativi n. 149/2022, n. 151/2022 e successive modifiche (c.d. Riforma Cartabia).


Il secondo seminario ha avuto ad oggetto i processi di impugnazione e, in particolare, il processo di appello e quello di cassazione. L’obiettivo è stato quello di verificare in che modo la riforma abbia funzionato nel primo anno di applicazione, quali questioni abbia suscitato e se queste siano ancora aperte o siano state risolte[1]. 


La registrazione del seminario è accessibile dal link che segue: https://youtu.be/T5gTpJLq-e4

 


1. Le questioni comuni ai processi di impugnazione. 


a) In primo luogo, i principi di «chiarezza», di «specificità» e di «sinteticità» degli atti, già deducibili dal sistema, sono stati affermati, quale regola generale, dall’art. 121 c.p.c. ed espressamente previsti quali requisiti di ammissibilità dell’appello e del ricorso per cassazione dall’art. 342, comma 2 c.p.c., richiamato dall’art. 473-bis.30 c.p.c., e dagli artt. 434 e 366 c.p.c. 


L’esplicita previsione della «chiarezza», della «specificità» e della «sinteticità», quali requisiti di ammissibilità delle impugnazioni aveva suscitato timori per eventuali abusi e per possibili conseguenti contrasti tra avvocatura e magistratura. È stata richiamata la decisione delle Sezioni Unite 30 novembre 2021, n. 37552, per le quali l’atto di impugnazione è ammissibile purché comprensibile; ed è stata prospettata la necessità di nuovi interventi nomofilattici nel nuovo contesto normativo. La questione si è poi intrecciata con l’art. 46, comma 4 disp. att. c.p.c. e con il d.m. 7 agosto 2023, n. 110 relativo alla dimensione degli atti. 


Quei timori, tuttavia, si sono dimostrati infondati, e la discussione nel seminario ne ha dato conferma.


b) Anche in riferimento ai processi di impugnazione, si pongono le questioni relative alla gestione delle udienze, che in base agli artt. 127, 127-bis e 127-ter c.p.c. possono svolgersi in presenza o mediante collegamento audiovisivo oppure essere sostituite dal deposito di note scritte. Per quanto riguarda i procedimenti di appello, poiché l’alternativa indicata opera per tutte le udienze nelle quali non sia richiesta «la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice», è parso utile verificare sul come le disposizioni siano state applicate in secondo grado in relazione alla diversa tipologia delle udienze (per la decisione sulla sospensione dell’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata, le prime udienze di comparizione, le udienze per  la rimessione della causa in decisione e quelle, eventuali, per la discussione della causa); accertare se siano stati adottati criteri diversi in relazione alla natura delle controversie (in materia di persone, minori e famiglie; nell’ambito delle procedure concorsuali; in materia di diritti reali, contrattuali e successorie, etc.) e conoscere se la gestione delle udienze, nelle ventisei corti di appello, sia stata affidata ai poteri discrezionali del singolo giudice, del singolo collegio o della singola sezione o siano stati adottati criteri uniformi, semmai con il contributo degli Ordini degli avvocati, per l’intero ufficio giudiziario. 


Lo schema di decreto correttivo all’esame del Parlamento aggiunge all’art. 127- ter, comma 1 c.p.c., che «l’udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice»; conserva la previsione per la quale «in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti» per lo svolgimento dell’udienza in presenza, il giudice «dispone in conformità», ma aggiunge all’art. 127-ter c.p.c. che «nel caso previsto dall’articolo 128, se una delle parti si oppone il giudice revoca il provvedimento e fissa l’udienza pubblica»; e, nell’art. 128, ribadisce che «il giudice può altresì disporre la sostituzione dell’udienza ai sensi dell’articolo 127-ter, salvo che una delle parti si opponga». 


Resta aperta la questione relativa alle conseguenze dell’immotivato rigetto della istanza di parte: si tratta di stabilire se esso possa determinare la nullità della decisione o se abbia soltanto un rilievo disciplinare, soprattutto nel caso in cui sia reiterato. Cass. 26 giugno 2023, n. 18202, ne aveva rimesso l’esame alle Sezioni Unite; ma queste, con la sentenza 7 febbraio 2024, n. 3453, l’hanno ritenuta assorbita dalla decisione delle altre questioni oggetto della rimessione.  In considerazione della insindacabilità e della mancanza di ogni forma di controllo sulle decisioni della Corte di cassazione, la questione non si pone nel giudizio di legittimità. 


c) Per quanto riguarda il procedimento innanzi alla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., la regola generale è nel senso della trattazione dei ricorsi in camera di consiglio. La trattazione in udienza pubblica è riservata ai casi nei quali «la questione di diritto è di particolare rilevanza».


Non risulta la previsione di criteri predeterminati dalla Corte e dalle singole sezioni per l’interpretazione della nozione di «particolare rilevanza» e, quindi, per la selezione delle ipotesi. Il rinvio alla udienza pubblica può essere disposto vuoi al momento della assegnazione, vuoi all’esito della camera di consiglio, ma non sono neppure chiari i criteri interpretativi della nozione di «particolare rilevanza» delle questioni in questa seconda occasione. Cass., sez. I, 10 ottobre 2023, n. 28310, ha rimesso alla trattazione del ricorso alla udienza pubblica ed ha fissato la data di quest’ultima con il medesimo relatore. Cass., sez. III, 14 dicembre 2023, n. 35114, e 1° febbraio 2024, n. 3034, hanno rinviato la causa a nuovo ruolo e ne hanno disposto la trattazione in pubblica udienza.


Non può escludersi che, alla pubblica udienza, le parti non partecipino o, pur presenti, si rimettano agli atti depositati. Né può escludersi che il procuratore generale, se non ha depositato alcuna memoria prima della camera di consiglio, non la depositi neppure prima della pubblica udienza e non offra, in questa occasione, alcun contributo significativo.


Sembra ragionevole ritenere che la trattazione in pubblica udienza debba essere fissata, anche innanzi alla Corte di cassazione, ogni qual volta almeno una parte o il procuratore generale la chieda. Ed appare anche utile che, come previsto dall’art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel provvedimento di assegnazione alla udienza pubblica, siano formulati «specifici quesiti», ai quali le parti ed il procuratore generale sono invitati a rispondere nella discussione orale. Il provvedimento con il quale il ricorso, all’esito della camera di consiglio, è rinviato a nuovo ruolo ed è rimesso alla udienza pubblica, senza indicare le specifiche questioni, che, secondo la corte, meritano approfondimento, suscita il sospetto che esso sia emanato non per la «particolare rilevanza» delle questioni, ma per la impreparazione del relatore.


Si pone il quesito, posto da Cass. 18202/2023 e disatteso dal più autorevole collegio della Corte, se la richiesta di discutere oralmente la causa, formulata anche da una sola delle parti, imponga la discussione orale in presenza e quali siano le conseguenze dell’immotivato rifiuto.


2. Le questioni relative ai procedimenti innanzi alla Corte di appello.


a) Pluralità di procedimenti.
All’esito della riforma, il processo ordinario di secondo grado è regolato dagli artt. 342 – 359 c.p.c., ma regole diverse sono stabilite per la Corte di appello e per il tribunale, nelle impugnazioni contro le decisioni del giudice di pace. Gli artt. 434 – 439 c.p.c. regolano l’appello nel processo che si continua a definire «del lavoro», nonostante la sua estensione ad altre controversie. A questi modelli, la riforma, con gli artt. 473-bis.30 – 473-bis.35 c.p.c., ha aggiunto un’autonoma e distinta disciplina del processo di appello in materia di persone, minori e famiglie. Occorre inoltre considerare i procedimenti previsti per il «reclamo» nei procedimenti camerali contenziosi, ai sensi degli artt. 739 e 740 c.p.c., nelle procedure concorsuali ai sensi dell’art. 51 c.c.i. e nelle controversie in materia di persone, minori e famiglie ai sensi dell’art. 473-bis.24 c.p.c., oggetto delle modifiche proposte dallo schema di decreto correttivo all’esame del Parlamento. Né possono essere ignorati i casi nei quali la corte opera quale giudice di unico grado: le controversie in materia di «opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità», previste dall’art. 29 d.lgs. n. 150/2011, quelle in materia di «attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento», previste dall’art. 30 dello stesso decreto, nonché i procedimenti in materia di «efficacia di decisioni straniere previsti dal diritto dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali», di cui al successivo art. 30-bis, aggiunto dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 149/2022, così come non può prescindersi dalla impugnazione dei lodi arbitrali di cui all’art. 830 c.p.c. 

b) I termini e le forme per la costituzione in giudizio.

L’art. 347 c.p.c. stabilisce che «la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale». Alle «norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale», se non incompatibili, rinvia l’art. 359 c.p.c. Ma, per un verso, l’art. 342, comma 2, dispone che «tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e centocinquanta giorni se si trova all’estero»; per altro verso, l’art. 343, comma 1, c.p.c. stabilisce che «l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o dell’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma»; quest’ultimo prevede che «il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni». Una ragionevole interpretazione è nel senso che i termini di comparizione, in deroga all’art. 163-bis c.p.c., non possono essere inferiori a novanta o a centocinquanta giorni; che l’appellante, ai sensi dell’art. 165 c.p.c., deve costituirsi entro dieci giorni dalla notificazione dell’atto introduttivo; che l’appellato, in deroga all’art. 166 c.p.c., per non incorrere in decadenze, debba costituirsi venti giorni prima dell’udienza.


Ma le contraddizioni hanno suscitato incertezze, che lo schema di decreto correttivo all’esame del Parlamento intende fugare con la modifica dell’art. 347, comma 1, prevista dall’art. 3, lett. d), nel senso che «l’appellante si costituisce in giudizio secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale. Le altre parti si costituiscono in appello almeno venti giorni prima dell’udienza indicata nell’atto di citazione o di quella fissata ai sensi dell’articolo 349-bis, secondo le forme per i procedimenti davanti al tribunale».


Nelle impugnazioni introdotte con ricorso da depositare, non sono previsti termini per la costituzione dell’appellante o del reclamante, che si costituiscono con il deposito dell’atto introduttivo. Nel processo «del lavoro», ai sensi dell’art. 436, comma 1, c.p.c., l’appellato deve costituirsi dieci giorni prima dell’udienza; nel processo di appello in materia di persone, minori e famiglie, ai sensi dell’art. 473-bis.32 c.p.c., trenta giorni prima dell’udienza; nel procedimento di reclamo di cui all’art. 51 c.c.i., il resistente deve costituirsi dieci giorni prima dell’udienza, ai sensi del comma ottavo della disposizione.


Ai sensi dell’art. 281-undecies, comma 2, c.p.c., nel processo semplificato, che si applica ai casi nei quali la corte di appello giudica quale giudice di unico grado, il resistente deve costituirsi dieci giorni prima dell’udienza. Resta affidata all’interprete l’individuazione dei termini di costituzione nel reclamo nei procedimenti camerali contenziosi e nella impugnazione dei lodi arbitrali. Nonostante il puzzle normativo, non sembra che al riguardo siano insorti conflitti interpretativi, il che induce a pensare che le questioni eventualmente insorte siano state risolte con equilibrio e buon senso.


c) Il procedimento per la decisione sulla sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.


La sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata poteva e può essere disposta con decreto inaudita altera parte dal presidente, dal giudice relatore o dal giudice istruttore; il decreto, poi, poteva e può essere confermato, modificato e revocato dall’organo giudicante con ordinanza; la sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata poteva e può, inoltre, essere disposta alla prima udienza di comparizione o in un’udienza anticipata, chiesta dalla parte interessata.


Lo schema di decreto correttivo, all’esame delle commissioni giustizia della Camera e del Senato, propone, all’art. 3, lett. b), di modificare come segue l’art. 351, comma 3, c.p.c.: «Il presidente del collegio ordina con decreto la comparizione delle parti in camera di consiglio davanti all’istruttore, se nominato, o davanti al collegio. Quando l’appello è proposto al tribunale, il giudice fissa l’udienza davanti a sé. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può essere provvisoriamente disposta l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; in tal caso, con l’ordinanza non impugnabile pronunciata all’esito dell’udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto».


Non sembra che la riforma e le proposte correzioni abbiano apportato o siano destinate ad apportare significative modifiche alle prassi applicative. 


Piuttosto è da rilevare come l'interpretazione delle diverse formule adoperate dal legislatore[2] non può prescindere dalla circostanza che non è prevista alcuna forma di controllo sul provvedimento che concede o che nega l’inibitoria. Contro i provvedimenti sulla sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo o della esecuzione, per «gravi motivi», del giudice della esecuzione, ai sensi degli artt. 624 e 615, comma 2, c.p.c., è previsto il reclamo; la reclamabilità dei provvedimenti sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo emessi dal giudice della opposizione al precetto è stata affermata, nell’interesse della legge, da Cass., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889; quella dell’ordinanza di diniego della sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ex art. 649 c.p.c. da Trib. Roma, 29 dicembre 2023.


In mancanza di forme di controllo, espressamente previste dalla legge o riconosciute dalla giurisprudenza, nei confronti dei provvedimenti sulla sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata, il dibattito su questo aspetto appare sterile ed appare invece doveroso, per elementari esigenze di trasparenza, che questi provvedimenti, almeno con l’indicazione dei giudici e dei difensori, siano resi pubblici nel sito dell’ufficio giudiziario.


d) La nomina del consigliere istruttore.


Ai sensi dell’art. 349-bis, comma 1, c.p.c., innanzi alla corte di appello, un componente del collegio può essere designato «per la trattazione e l’istruzione della causa»; in tal caso, ai sensi del novellato art. 350, comma 1, la trattazione «è affidata all’istruttore». La novità è stata dirompente, perché il consigliere istruttore, previsto dalla disciplina anteriore alla riforma del 1990, aveva il potere di assumere le prove, non anche di ammetterle; la decisione sulla ammissione dei mezzi istruttori era comunque affidata al collegio. Il ruolo del consigliere istruttore in appello disegnato dalla riforma corrisponde a quello del giudice istruttore nel processo di primo grado nei casi nei quali opera la riserva di collegialità.


Sennonché l’art. 349-bis, comma 1, c.p.c. prevede la designazione dell’istruttore, qualora il presidente non ritenga di «disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale». E l’art. 350, comma 1, c.p.c. stabilisce che la trattazione «è affidata all’istruttore», se questi è stato nominato.


La nuova disciplina affida la nomina dell’istruttore all’esercizio dei poteri discrezionali del presidente del collegio, ma non ne indica i criteri.


Se l’unica attività richiesta per la trattazione del giudizio di appello consiste nella fissazione dell’udienza di «rimessione in decisione», che sostituisce quella di precisazione delle conclusioni, la designazione dell’istruttore si manifesta inutile; la causa può essere rimessa in decisione in una udienza collegiale, come avveniva prima della riforma; le parti potevano e possono precisare le conclusioni innanzi al collegio, anche con il deposito di note scritte, ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c. L’esercizio dei poteri di direzione del processo in funzione del suo svolgimento «più leale e sollecito», ai sensi dell’art. 175 c.p.c. coordinato con i poteri del presidente di sezione di cui all’art. 47 quater o.g., ha portato in alcune corti ad  adottare un modello organizzativo fondato su un uso limitato della designazione dell’istruttore 


e) Le forme della decisione.


In appello, nel processo ordinario, la causa può essere decisa dopo lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi dell’art. 352 c.p.c., oppure, se l’impugnazione è ritenuta inammissibile o manifestamente infondata o manifestamente fondata, o quando il giudice lo creda opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa, ai sensi degli artt. 348-bis e 350-bis, all’esito della discussione orale, preceduta dallo scambio di «note conclusionali», ai sensi dell’art. 350 c.p.c. Nel processo «del lavoro», ai sensi dell’art. 437 c.p.c., la discussione orale costituisce la regola. Nel processo di appello in materia di persone, minori e famiglie, il percorso per la decisione, ai sensi dell’art. 473-bis.28 c.p.c., coincide con quello previsto per il processo ordinario, ma non sono considerate le deroghe. Ai sensi dell’art. 51, comma 11, c.c.i, «la corte, esaurita la trattazione, provvede sul ricorso con sentenza entro il termine di trenta giorni».


Nei casi previsti dagli artt. 29, 30 e 30-bis d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, nei quali la corte di appello tratta la causa nelle forme del procedimento semplificato, la decisione è pronunciata all’esito della discussione orale ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.


Nello schema di decreto correttivo all’esame del Parlamento, si prevede che la discussione orale si svolga innanzi all’istruttore, a meno che una delle parti chieda che essa si svolga innanzi al collegio.


La scelta tra le diverse forme previste per la pronuncia della decisione e per la integrazione delle normative lacunose è affidata ai poteri discrezionali dell’organo giudicante.


In ogni caso, anche nel processo «del lavoro» e nelle ipotesi nelle quali si applica l’art. 281-sexies c.p.c., non appare preclusa, se le parti lo chiedono, la possibilità che sia disposto lo scambio di memorie scritte. Né sembra preclusa la possibilità di disporre la discussione orale nel processo di appello in materia di persone, minori e famiglie. Anche in riferimento a questo aspetto, ciò che appare fondamentale è l’esigenza di trasparenza e la previsione di criteri predeterminati all’interno di ciascun ufficio, affinché la scelta delle forme della decisione non sia affidata, di volta in volta, all’estro momentaneo del giudicante.


3. Il procedimento in cassazione.

In relazione al procedimento innanzi alla Corte di cassazione, l’esigenza di predeterminazione di criteri organizzativi, ribadita in riferimento ai processi innanzi alla corte di appello, è meno pressante.


La Corte ha provveduto ad auto organizzarsi in trasparenza già prima della entrata in vigore della riforma. Tutti i provvedimenti sono accessibili al pubblico nel sito della Corte. Ciò ha contribuito a risolvere questioni apparentemente complesse, quali, ad esempio, quelle relative alla disciplina transitoria ed alla anticipazione della entrata in vigore della riforma, sulle quali è intervenuto tempestivamente il provvedimento del Primo Presidente del 3 gennaio 2023.


Restano altre questioni, come quelle relative alla «decisione accelerata e al «rinvio pregiudiziale». 


a) La decisione accelerata. Il novellato art. 380-bis c.p.c. attribuisce al «presidente della sezione» o ad un «consigliere delegato» il potere di formulare una «proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale».


La previsione non coincide con quanto previsto nel procedimento innanzi alla soppressa sezione «filtro». Questa comprendeva anche il caso della «manifesta fondatezza» del ricorso ed era diretta al collegio giudicante. Nel nuovo contesto normativo, destinatari della proposta sono le parti, che possono rinunciare al ricorso o chiederne la trattazione, con effetti sulle spese.


Per chiedere la decisione del ricorso «ravvisato» inammissibile, improcedibile o manifestamente infondato occorre una nuova specifica procura alle liti. La richiesta, anche in base a quanto stabilito da Cass, sez. un., 19 gennaio 2024, n. 2075, dovrebbe contenere l’indicazione del ricorso già proposto, del provvedimento che ne ha «ravvisato» l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza e dovrebbe risultare a questo successiva.


La proposta del relatore alla sezione «filtro» poteva anche essere il risultato di una superficiale valutazione dell’impugnazione proposta; comunque, il collegio aveva il potere – dovere di giudicare.


Non sono stati infrequenti i casi nei quali la relazione non sia stata condivisa dalla decisione e lo stesso relatore abbia rivisto l’opinione espressa.


La proposta del «presidente della sezione» o del «consigliere delegato», se non contestata dalle parti, può definire il giudizio. È stata paventata la possibilità che l’applicazione dell’art. 380-bis c.p.c. sia lo strumento per trasformare in monocratico il giudizio collegiale di legittimità. 


In relazione ai dubbi espressi sulla possibilità che il proponente faccia parte del collegio, la Prima presidente, con il provvedimento del 19 settembre 2023, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.  Queste, con la sentenza del 10 aprile 2024, n. 9611, hanno delineato l’operatività del nuovo istituto ed hanno ritenuto che «il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore».


b) Il rinvio pregiudiziale. Il novellato art. 363-bis c.p.c. ha introdotto il «rinvio pregiudiziale», salutato con favore da alcuni commentatori e negativamente da quanti hanno osservato tra l'altro che la norma, la quale comporta la sospensione automatica del processo, ignora le ragioni che avevano condotto alla modifica dell’art. 367 c.p.c., non considera lo scarso successo dell’accertamento pregiudiziale di cui all’art. 420-bis c.p.c. ed espone i giudici di merito alla tentazione di liberarsi del fascicolo, laddove i risultati cui aspira l'istituto  avrebbero potuto essere realizzati con un potenziamento, sul piano organizzativo, del ricorso nell’interesse della legge di cui all’art. 363 c.p.c.  


Diverse sono le questioni che il nuovo istituto pone negli uffici di merito e innanzi alla Corte. Nei primi, appare doveroso invocare gli artt. 47-quater o.g. e 175 c.p.c. e ritenere che il rinvio pregiudiziale debba presupporre «lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione» e debba essere funzionale al «più sollecito e leale svolgimento del processo», non a liberarsi di una causa che implica questioni difficili.


In sede di legittimità, l’8 febbraio 2023 è stato costituito l’«Ufficio delle questioni pregiudiziali» (UQP), composto dal Direttore del Massimario, dal Coordinatore delle sezioni civili e dal Direttore del CED, con facoltà di delega, e coadiuvato dai funzionari della cancelleria e dall’Ufficio per il processo delle Sezioni Unite civili. All’UQP è stato assegnato il compito di verificare i requisiti di ammissibilità e, in caso positivo, di indicare se la questione debba essere risolta dalle Sezioni Unite o da una sezione semplice. Il provvedimento ha anche stabilito che le ordinanze di rinvio, i decreti di ammissibilità e quelli di inammissibilità siano pubblicati nel sito della Corte. La varietà e la complessità delle questioni oggetto degli ormai numerosi rinvii pregiudiziali impedisce che esse possano essere esaminate e discusse nel corso del seminario destinato a verificare, almeno con riguardo ad alcuni degli aspetti evidenziati, l’impatto della riforma sui processi di appello e di cassazione. Esse, tuttavia, avrebbero potuto e potrebbero consentire, come in riferimento alla decisione «accelerata» di cui all’art. 380-bis c.p.c., di rinverdire l’esperienza dei «Διαλογοι sulla giustizia civile»1, affinché tanto le valutazioni dell’UQP, quanto le decisioni della Corte siano il frutto di un confronto con il pubblico degli operatori e, nel centenario della Cassazione unica, confermare il suo ruolo quale fondamentale interlocutore nella evoluzione della esperienza giuridica, secondo la frase riprodotta nelle locandine dei Διαλογοι: «La speranza è come una strada nei campi. Non c’è mai stata una strada ma quando molte persone vi camminano la strada prende forma» (LIN YUTANG).


GLI ESITI DEL SEMINARIO

A) Chiarezza e sinteticità degli atti di impugnazione e specificità dei motivi.


Come anticipato, le preoccupazioni di possibili interpretazioni restrittive che avevano accompagnatole norme della novella relative ai requisiti di chiarezza, sinteticità e specificità dei motivi di impugnazione si sono dimostrate infondate, essendo unanime l’interpretazione secondo cui l’eccessiva lunghezza e l’eventuale farraginosità dell’atto di impugnazione possano tradursi in ragione di inammissibilità solo quando si risolvano in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa e siano tali da pregiudicare la intellegibilità delle censure mosse alla sentenza gravata; e ciò, conformemente all’insegnamento espresso dalla Corte di cassazione con la richiamata sentenza n. 37522 del 2021, pronunciata quando il principio di chiarezza e sinteticità era ritenuto immanente al sistema già prima della riforma, era ritenuto immanente al sistema. Non contrasta con tale conclusione l’art. 46, comma 4, disp. att. c.p.c., per il quale «il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo», giacché la norma - come risulta dal suo stesso tenore letterale - opera su un piano (le spese processuali) diverso da quello attinente ai requisiti dell’ammissibilità dell’impugnazione. Quanto al d.m. 7 agosto 2023, n. 110 relativo alla dimensione degli atti ai sensi dell’art. 46 disp. att. c.p.c., l’art. 5 prevede una deroga ogni qual volta «la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti» sicché, per sottrarsi a conseguenze sulle spese giudiziali, è sufficiente invocare la particolare complessità della controversia, la tipologia, il valore, il numero delle parti o la natura degli interessi coinvolti. d.m. 9 febbraio 2016. 


In applicazione dell’art. 46 disp. att. c.p.c., il d.m. 29 marzo 2024 ha istituito l’«Osservatorio permanente sulla funzionalità dei criteri redazionali e dei limiti dimensionali stabiliti dal decreto del Ministro della giustizia 7 agosto 2023, n. 110, al rispetto del principio di chiarezza e sinteticità degli atti del processo». Il nuovo organismo potrà fare tesoro degli studi e delle proposte elaborate dal «Gruppo di lavoro sulla sinteticità degli atti», istituito con d.m. 9 febbraio 2016.  Né va in senso contrario il preannunciato correttivo all’art. 342 c.p.c. («l'appello… deve essere motivato in modo chiaro, sintetico e specifico. Per ciascuno dei motivi, a pena di inammissibilità, l’appello deve individuare lo specifico capo della decisione impugnato e in relazione a questo deve indicare: 1) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 2) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata» - cfr. in senso analogo, l’art.  434 c.p.c. per le controversie di lavoro), le cui modifiche valgono semmai a rendere più esplicito come, mentre chiarezza e sinteticità esprimono principi generali privi di per sé di sanzione, ciascuno dei motivi deve individuare a pena di inammissibilità lo specifico capo della sentenza impugnata e le specifiche censure che riguardo ad essa vengono sollevate. 


B) Reintroduzione della figura del consigliere istruttore; rito applicato; forme della decisione. 


Con riguardo alla reintroduzione della figura del consigliere istruttore attuata dal novellato art. 349 - bis c.p.c. (peraltro con scelta discrezionale demandata ai presidenti di sezione), il seminario ha registrato le analoghe diversità di posizioni interpretative emerse nel primo ciclo di incontri. 


Nella Corte d’appello di Roma è infatti generalizzata la trattazione collegiale dell’appello, fondata sullo studio preventivo dei fascicoli e le precamere di consiglio in cui vengono esaminate le questioni controverse, si mira a favorire quanto più possibile le udienze di discussione e si tende a definire i processi mediante sentenze con motivazione contestuale. La nomina del consigliere istruttore è ritenuta residuale, ed ha luogo solo in presenza di ipotesi particolarmente complesse che non potrebbero essere delegate al singolo relatore, per cui la nomina secondi i criteri di assegnazione automatica vigenti in base alle tabelle di organizzazione dell'ufficio  non è per il consigliere istruttore, ma per il consigliere relatore, fatti salvi specifici provvedimenti del presidente di sezione che evidenzino la necessità di nominare un consigliere istruttore.


Si tratta di una scelta organizzativa comune a tutte le sezioni civili, che è stata previamente discussa con i presidenti, i magistrati delle sezioni e l’avvocatura (ciò che ha contribuito a favorirne l’accettazione e l’efficace funzionamento) e adottata anche in funzione di un largo utilizzo della sentenza con motivazione contestuale e della eventualità - evidenziata nel decreto di trattazione scritta -  di poter decidere anche in prima comparizione le cause che meritano di essere immediatamente trattate anche per la loro urgenza. 


La scelta di tale modello (che ha permesso tra l'altro di constatare come  il foro è maggiormente indotto alle conciliazioni quando i ruoli si muovono più velocemente) è da correlare anche alla grande mole di processi pendenti, con la connessa necessità di esaurire l’arretrato ed accelerare la definizione dei giudizi, evitando la dispersione di tempi che sarebbe derivata dalla fase processuale innanzi al consigliere istruttore: ciò, tuttavia, senza trascurare l’obiettivo di rendimento e l’esigenza di trattazione dei processi più urgenti, obiettivo esso pure presente nei programmi di gestione ed oggetto di specifico rilevamento al pari di quello relativo all’esaurimento dei processi più risalenti. Ed è proprio un’oculata e responsabile gestione di tali programmi, fondata su una logica di partecipazione diffusa e su criteri di forte specializzazione delle sezioni, che ha consentito di ottenere risultati positivi, tralasciando soluzioni organizzative diverse (come quella di  istituire una sezione, o più sezioni, stralcio che si occupassero del vecchio rito e di sezioni che invece trattassero il contenzioso  ricadente nella sfera di 'applicazione del rito Cartabia), che del resto sarebbero state difficilmente praticabili.


Per quanto concerne il rito applicato, l’arretrato viene esaurito mediante trattazione scritta, con note di trattazione cartolare anticipate fino alle h. 9,00 del giorno stesso dell'udienza in tal modo sostituita, ma sempre comunque precedute 15 giorni prima da memorie conclusionali anticipate.


Ciò comporta che nella precamera di consiglio è possibile disporre dell'intero quadro della situazione, fermo restando che il giorno dell’udienza la decisione non costituisce frutto esclusivo della precamera, ma anche degli approfondimenti conseguenti alle note che i difensori avessero depositato entro le h. 9,00 del giorno stesso.


Per quanto riguarda il nuovo rito, si ritiene sulla base degli artt.  350 - bis e 359 c.p.c. di poter fissare un'udienza di precisazione delle conclusioni e decisione ai sensi dell'art.  281 - sexies c.p.c. (il cui novellato terzo comma consente di depositare la sentenza nei trenta giorni dalla discussione orale), fermo restando che, in caso di trattazione scritta, vengono assegnati termini anticipati per memorie conclusionali, salvo non vi siano istanze congiunte per note ulteriori. 


In altre corti d’appello è stato adottato un modulo organizzativo diverso e, anzi, opposto, come nel caso della Corte d’appello di Milano dove - alla stregua di un protocollo condiviso da tutti i presidenti di sezione - anziché rimettere ai presidenti di sezione la scelta  di stabilire di volta, sulla base dell’esame del ricorso, una forma di trattazione piuttosto che l'altra, viene  nominato in ogni caso il consigliere istruttore, con la precisazione che la prima udienza si tiene sempre in presenza (anche quando non vi sia da decidere su istanze di sospensione), ciò  che tra l’altro consente di richiedere eventuali chiarimenti alle parti e può favorire tentativi di conciliazione. Quindi il consigliere istruttore decide le modalità con cui trattenere in decisione, o fissando un’udienza (in forma cartolare) ai sensi dell’art.  352 c.p.c., oppure un’udienza in presenza per la discussione ai sensi del 350 - bis c.p.c., udienza in cui le parti a volte si limitano a riportarsi agli atti avendo già depositato note scritte, altre volte discutono la causa. Quasi mai viene emessa la sentenza contestuale con dispositivo, ma il collegio si riserva la decisione nel termine dei 30 giorni di cui al novellato art. 281-sexies, terzo comma c.p.c.


Il modulo organizzativo appena descritto non ha determinato particolari allungamenti dei tempi processuali, dal momento che la fissazione dell’udienza per la rimessione in decisione ai sensi del 352 c.p.c. viene effettuata nella maggior parte dei casi a non più di 6-7-8 mesi, anche se da tale impostazione monocratica consegue l’inconveniente che la discussione sulla sospensiva ex art. 351 c.p.c.  si svolge non davanti al collegio (come era stato proposto all'interno dell'ufficio in base ad un’opinione rimasta minoritaria), ma davanti al consigliere istruttore, il quale riferirà al collegio limitatamente a questa parte, con successiva fissazione della prima udienza innanzi allo stesso consigliere istruttore che, poi, effettuerà la scelta ai sensi dell’art. 350 - bis c.p.c. o 352 c.p.c. 


Ci si è posto il problema se il collegio, provvedendo sulla inibitoria, possa decidere anche sulle eventuali istanze oppure debba rimettere al consigliere istruttore la relativa decisione. Al riguardo non vi sono orientamenti uniformi tra le diverse sezioni. Tendenzialmente, se il provvedimento è di rigetto delle istanze istruttorie, si fa un unico provvedimento con il quale il collegio fissa poi l’udienza davanti al consigliere istruttore. 


Quanto alla decisione sulla sospensiva, l’esigenza di vaglio congiunto dei requisiti del fumus e del periculum, imposto dal novellato art. 283 c.p.c., ha determinato un incremento delle istanze di sospensiva, oltre che  l’esigenza di uno studio più approfondito della causa, per cui - si è osservato - sotto questo profilo il modulo organizzativo collegiale adottato dalla corte d’appello di Roma può giovare ad una concentrazione dei tempi, non più divisi tra una prima fase di studio per la sospensiva ed una seconda fase di studio per la decisione.


Con riferimento alla Corte d’appello di Napoli, dove la vacanza del posto di Presidente dell’ufficio non ha consentito la formazione di protocolli circa i modelli da adottare nella decisione delle controversie ricadenti sotto la riforma «Cartabia», e dove tuttavia non è mancata una serie di confronti informali tra i presidenti e i componenti delle diverse sezioni, ogni sezione va per conto proprio ed adotta l’una o l'altra delle alternative ritenute praticabili (fissazione dell'udienza collegiale in maniera generalizzata, salvo eccezioni; nomina generalizzata dell'istruttore, che si accompagna alla trattazione scritta generalizzata), non ravvisandosi la percorribilità della terza via, prospettata in dottrina, per cui, fissata l'udienza collegiale innanzi al collegio, sarebbe poi possibile adottare il modello decisorio di cui all'articolo 352 c.p.c.[3]


Sulla scelta hanno influito in maniera significativa le materie di cui si occupano le diverse sezioni. Con riguardo alla sezione imprese (cui peraltro è devoluto anche un ruolo «ordinario» comprendente una serie di materie assoggettate ai riti più disparati: i reclami fallimentari da trattare con il rito camerale; cause soggette al rito del lavoro, come l'opposizione a ordinanza- ingiunzione; cause cui si applica il vecchio rito della corte d'appello; gli espropri assoggettati al rito semplificato e prima a quello dell'art. 702 bis c.p.c.), in ragione della delicatezza e delle ragioni d’urgenza solitamente coinvolte in alcune materie, come i reclami fallimentari che tra l’altro richiedono normalmente la presenza delle parti che vogliono discuterle, si è optato per modalità analoghe a quelle  della corte d’appello di Roma, con discussione orale in maniera generalizzata, salvo casi particolari di volta in volta individuati. 


Tale scelta ha tuttavia sollevato interrogativi circa le conseguenze che potrebbero derivarne con riguardo alla legge «Pinto», modificata dalla riforma "Cartabia" mediante l’introduzione tra i rimedi preventivi (novellato art. 1-ter l. n. 89/2001) della richiesta di trattazione con le modalità di cui all'articolo 281- sexies c.p.c., dal momento che, ove non fossero rispettati i termini della legge "Pinto", si darebbe comunque via libera - anche in assenza dell'iniziativa delle parti per la produzione di questi rimedi preventivi - alla possibilità di ottenere l'equo compenso per l'eccessiva durata del processo. 


Le cause fissate davanti al collegio vengono trattate e poi decise con le modalità di cui all'art.  281 - sexies c.p.c., mentre quelle ricadenti sotto la vecchia disciplina vengono trattate con le modalità ordinarie.


Nella Corte d’appello di Bari, ad esito di riunioni preliminari tra i presidenti delle tre sezioni civili e con gli avvocati, si era deciso di adottare un modulo organizzativo analogo a quello utilizzato dalla Corte d'appello di Roma, senza nomina dunque del consigliere istruttore, salvo casi che dovessero richiedere un'istruttoria più complessa. Una delle sezioni, tuttavia, ritenendo che le materie trattate non fossero compatibili con il rito semplificato, si è discostata da tale decisione utilizzando invece la nomina generalizzata del consigliere istruttore. In altra sezione, cui sono devolute materie simili a quelle appena indicate per la corte d'appello di Napoli (con la materia della famiglia in luogo delle imprese), e con la molteplicità di riti diversi che ne deriva, ferma l’obbligatorietà ex lege della nomina dell’istruttore nelle controversie di espropriazione, ci si avvale dei funzionari dell’ufficio per il processo, che provvedono prima dell'udienza a un esame preliminare dei fascicoli, a predisporre una bozza di ruolo ed a inviarla  al presidente della sezione, il quale indicate  le date dei vari  adempimenti la trasmette poi ai consiglieri  ai colleghi che la  riesaminano e quindi segnalano se vi sono a loro giudizio cause che necessitano della nomina del consigliere istruttore. 


Le cause da decidere con il rito vecchio, cioè con i termini di cui all’art. 190 c.p.c., verranno definite quasi tutte entro la fine dell’anno in corso, mente le cause da definire con il novellato art. 281 - sexies c.p.c.  sono state già fissate a partire dal mese di febbraio 2025 e tutte entro aprile/maggio 2025 I giudizi di rinvio vengono definiti con il rito anteriore alla riforma.


Per le udienze viene adottata la trattazione scritta in via generalizzata, peraltro preferita dagli avvocati, ma è sufficiente la richiesta di una sola delle parti affinché l’udienza si svolga in presenza. Per quanto riguarda le questioni sulla sospensiva, anche presso la corte d'appello di Bari il fumus viene valutato comparativamente con il periculum e la decisione viene assunta normalmente alla prima udienza fissata ovvero, se vi è richiesta, con previa assunzione di riserva e successiva decisione. 


Si ritiene che la costituzione dell'appellato debba avvenire nei venti giorni prima dell'udienza


Per la Corte d’appello di Ancona (una corte medio-piccola dove, anche col nuovo rito «Cartabia», l'udienza di decisione viene fissata a otto mesi rispetto alla prima udienza), si è deciso - previe riunioni tra i presidenti di sezione - di adottare in via generalizzata la nomina del consigliere istruttore, sul presupposto che ciò conferisca maggiore snellezza alle  verifiche preliminari e perché si è ritenuto che la scelta in ordine alle modalità procedimentali da adottare possa essere più consapevolmente effettuata solo all'esito della costituzione di tutte le parti, quando si  è in grado di comprendere se si tratta di una causa che può essere facilmente decisa o che sia addirittura suscettibile addirittura di una definizione transattiva, rendendo quindi opportuna la comparizione delle parti, ovvero  se si tratta di una causa richiedente lo svolgimento di attività istruttorie, o per le quale si renda necessaria l'integrazione del  contraddittorio, o ancora sussista la necessità  di chiedere chiarimenti alle parti.


Tendenzialmente non viene mai usata l’udienza cartolare ma quella ex art.  127 - ter c.p.c., e ciò anche quando si tratta di decidere sulle istanze di sospensione, a meno che non vii siano questioni di particolare rilievo. In tal caso, tuttavia, almeno una delle parti fa richiesta dell’udienza in presenza, udienza che viene frequentemente utilizzata, in particolare, nella materia delle persone e della famiglia.


Per quanto riguarda la sospensiva, il criterio è sempre quello dei vasi comunicanti, cioè la valutazione congiunta del «fumus» e del «periculum in mora». L'appello deve essere serio e il pregiudizio non banale, ma di fronte a una particolare consistenza del primo elemento, l'altro può attenuarsi. Sono stati assai pochi i casi di reiterazione dell’istanza, casi nei quali peraltro la mancata prospettazione di elementi nuovi ha portato a conseguenti dichiarazione di inammissibilità dell'istanza. 


Quando si decide sulla sospensiva, la prassi dal punto di vista organizzativo è tendenzialmente quella di unificare in un unico provvedimento anche il provvedimento sulla ammissione prova e sulla fissazione dell'udienza.


Quanto al giudizio di rinvio dalla Cassazione, applichiamo alla riassunzione il vecchio rito, in conformità al principio generale fissato nelle disposizioni transitorie di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 149/2022.  


Quanto alla costituzione delle parti, anche prima del correttivo non si dubitava che i termini di comparizione per l'appellato dovessero essere mai inferiori ai 90-150 giorni; che l'appellante dovesse e costituirsi ai sensi dell'articolo 165 c.p.c. entro dieci giorni dalla notificazione dell'atto introduttivo e   che l'appellato dovesse costituirsi almeno 20 giorni prima dell'udienza a pena di decadenza per la proposizione dell'appello incidentale.


Anche nella Corte d’appello di Firenze, dove non si sono tenute riunioni organizzative, risulta che sia stata fatta una scelta analoga a quella di Ancona, con la nomina del consigliere istruttore anziché quella del consigliere relatore. 


Peraltro (almeno nella prima sezione - una sezione mista dove si fa ordinario e tutto il rito «unitario» di famiglia) la prima udienza davanti al consigliere istruttore viene normalmente tenuta in presenza, per le medesime ragioni tenute presenti nella corte d'appello Milano; e ciò ha favorito il numero di conciliazioni grazie anche all’ausilio dei funzionari dell’UPP che preparano una scheda del processo molto dettagliata, scheda  sulla cui base vengono poi interrogate le parti e richiesti chiarimenti,  all'esito dei quali è frequente  la scelta  di fare una lettura di sentenza contestuale.


Sempre nella sezione prima vengono tenute in presenza anche le udienze per le sospensive collegiali e quelle tenute ai sensi dell'art. 281 - sexies c.p.c. che a Firenze sono di una certa entità, specialmente dopo l'introduzione del termine di 30 giorni in cui è possibile depositare la sentenza.


La nomina del consigliere istruttore, come modalità organizzativa generale (salvo poi passare al modello di definizione veloce con decisione a seguito di discussione orale nell'ipotesi del 350, comma 3 c.p.c.), ha caratterizzato anche le prime esperienze applicative della Corte d'appello di Catanzaro. Designato l'istruttore, il collegio conosce della causa soltanto prima della decisione o quando vi sia richiesta di sospensione della sentenza impugnata; ed anche in questo caso il collegio, investito dell’inibitoria, si limita a prendere provvedimenti sulla relativa istanza rimettendo poi la causa al consigliere istruttore, senza prendere in considerazione la possibilità di fissare l'udienza per la decisione a seguito di discussione orale.


Con riguardo alla Corte d'appello dell'Aquila è stato riferito che vi è l'adozione generalizzata della trattazione scritta, salvo che nel contenzioso di famiglia e minorenni. La scelta del collegio ai sensi del 350 - bis c.p.c. non viene ritenuta preclusiva quanto alla possibilità di attuare il modulo di decisione dell'articolo 352 c.p.c., possibilità che il correttivo sembra adesso confermare.


L'esperienza pratica ha consentito dunque di evidenziare che la diversità di modelli organizzativi adottati nelle diverse corti, anche in funzione delle dimensioni dell'ufficio e delle materie trattate dalle singole sezioni, non è andata a discapito delle esigenze di funzionalità del servizio. Al riguardo  non si è mancato di osservare come il novellato art. 349 - bis c.p.c., nella sua formulazione finale, abbia introdotto un ulteriore elemento di duttilità del processo, nel senso di lasciare al Presidente della corte d'appello la possibilità, secondo quelle che sono le esigenze  del proprio ufficio, di modulare il processo d'appello, valutando la possibilità di designare il consigliere istruttore e, quindi, di procedere secondo il modello disciplinato nell'articolo 350 c.p.c. o, in alternativa, quella di optare per una trattazione collegiale con la designazione del consigliere relatore, nell'uno e nell'altro caso sempre in funzione di un «filtro» preliminare, di una conoscenza  anticipata della causa e della celerità della decisione. Obiettivo tanto più facilmente conseguibile, quanto più le modalità organizzative adottate siano il frutto non di decisioni individuali, ma di scelte discusse e partecipate all'interno dell'ufficio.


C) Corte di cassazione.


C1) Con riferimento alla gestione delle udienze, è stato istituito un apposito gruppo di lavoro, cui ha preso parte anche la Procura Generale) per fissare linee guida condivise in tema di scelta sul come instradare i ricorsi, se alla pubblica udienza o alla camera di consiglio. Gli esiti di questo lavoro sono stati riassunti dalla Prima Presidente in un provvedimento del 15 marzo 24 (un atto per ora solo interno), con l’indicazione secondo che debbano costituire oggetto di fissazione in udienza pubblica:

-  i ricorsi prospettanti questioni nomofilattiche per la soluzione delle quali appare utile il contributo della Procura Generale e del Foro in sede di discussione, in considerazione delle difficoltà interpretative o della ricaduta applicativa ampia che possono avere le questioni trattate; 

- i ricorsi che introducono questioni nuove per effetto di interventi normativi o che pongono questioni di legittimità costituzionale apparse già allo scrutinio dello spoglio non manifestamente infondate e che quindi debbano essere valutate da un collegio in pubblica udienza prima che la Corte si assuma il responsabile compito di rimetterle alla Corte costituzionale; 

- i ricorsi che sollecitano il rinvio pregiudiziale alla Corte europea di giustizia, allorché in sede di spoglio se ne configurino i presupposti e l’ufficio spoglio suggerisca quindi ai Presidenti di fissare per essi la pubblica udienza; 

-  quelli che devono invece fare applicazione di sentenze della Corte costituzionale, della Corte di Giustizia e della CEDU aventi portata innovativa e che debbono trovare applicazione per la prima volta. 


Anche le questioni nuove di diritto sostanziale mai trattate in precedenza indirizzano verso la pubblica udienza, così come le questioni rispetto alle quali si ravvisi l'opportunità di una rimeditazione degli orientamenti maturati in precedenza ovvero quando si registri un contrasto tra le varie sezioni che rende opportuna una sede più appropriata avvalendosi altresì del contributo del pubblico ministero. Naturalmente resta salva la possibilità delle sezioni di rivedere i propri precedenti orientamenti; e anche questo è opportuno che avvenga in pubblico udienza, salva la rimessione in tutti i casi di ripensamento anche alle sezioni unite perché vi siano direttamente interpellate.


C2) Fino all'entrata in vigore della riforma Cartabia ed all'introduzione del novellato art. 360 - bis c.p.c., esisteva in corte di cassazione la sesta sezione, costituita una quindicina d'anni prima della riforma, finalizzata a decidere ricorsi inammissibili, manifestamente fondati o infondati. La sezione era composta da sottosezioni delle cinque sezioni cardinali (le tre generali civiliste, quella di lavoro e la sezione tributaria). Ognuna di queste sottosezioni poteva essere composta o da tutti i consiglieri della sezione corrispondente o da gruppi super specializzati (ciò avveniva soprattutto in materia tributaria o di lavoro) o da gran parte dei consiglieri della sezione. Era comunque richiesto un minimo di presenza nella sezione semplice per poter essere nominati anche consiglieri della sesta. Questo modulo organizzativo aveva il merito di diffondere tra tutti la doppia esperienza selettiva dei ricorsi «semplici» e di quelli più impegnativi da esaminare in sezione semplice, anche lì in camera di Consiglio o in pubblica udienza. 


Le modifiche intervenute negli anni dal 2016 in poi avevano disposto l'inversione della regola esistente in passato tra pubblica udienza e camerale, nel senso che il camerale era diventata la forma generale, sicché è parso superfluo mantenere due riti camerali, quello della sesta e quello della sezione semplice. Da qui l'idea, fatta propria dalla riforma «Cartabia», di accentrare tutto in sezione e di sopprimere la sesta.


Tale accentramento ha ovviamente moltiplicato i compiti di selezione, che prima veniva effettuata da tutti o quasi tutti i consiglieri, tra cui venivano suddivisi dal coordinatore della sezione sesta i vari ricorsi, ed ha imposto un diverso modulo organizzativo fondato su una intensa specializzazione. Il lavoro delle sezioni semplici è stato, cioè, suddivido in aree per quanto possibile omogenee (per lo più tre o quattro aree per ciascuna sezione) con individuazione per ciascuna di esse dei responsabili dello spoglio.


È stato così possibile (imprimendo una forte accelerazione a un'opera che era già cominciata dal 2021) effettuare lo spoglio di tutti i ricorsi giacenti dal 2018 al 2023 in modo da avere una conoscenza completa delle pendenze e consentire la formazione dei ruoli in base alla classificazione dei ricorsi per materia, sotto materia, argomento e così via. Lo spoglio è stato completato per tutti i ricorsi pendenti fino al 2023, tranne per quelli della sezione tributaria, a causa della loro entità corrispondente a oltre il 40% dei ricorsi pendenti. Con riguardo ai ricorsi nuovi, man mano che arrivano, vengono esaminati dai magistrati che effettuano lo spoglio (per lo più due e a volte anche più di due per area), i quali selezionano i ricorsi prognosticati inammissibili o manifestamente infondati e ne fanno oggetto di proposta, ad esempio ex art. 380 - bis c.p.c., da comunicare alle parti. Quanto ai ricorsi manifestamente fondati, che la riforma Cartabia non contempla, è ugualmente possibile nell'organizzazione sistematica delle varie sezioni selezionarli in sede di spoglio e fissarli quindi nei ruoli di udienza in tempi più rapidi di quelli che spetterebbero loro cronologicamente, con conseguente riduzione dei tempi medi di decisione. Questo lavoro «a tenaglia», oltre che una finalità statistica, ne persegue anche una perequativa dei carichi, dal momento che un ruolo di udienza - anche perché possa essere adeguatamente studiato dai presidenti - deve essere composto da un mix di ricorsi più difficili e di ricorsi facili, che tali possono essere prognosticamene qualificati sulla base dei valori ponderali che gli spogliatori attribuiscono a ogni ricorso esaminato. Quindi anche i ricorsi manifestamente infondati, insieme a quelli che risultano da istanze di decisione a seguito della proposta di manifesta infondatezza o inammissibilità, possono concorrere a formare un ruolo equilibrato risultante di ricorsi antichi di valore ponderale medio alto e ricorsi più recenti di valore ponderale che si ritiene minore.


Come in tutte le fasi di avvio, il meccanismo relativo alla proposta di decisione accelerata (PDA) ha funzionato in modo differenziato tra le diverse sezioni, alcune delle quali sono partite più lentamente ed altre in modo più celere; ma il divario si va progressivamente attenuando.


La questione relativa alla possibilità che il magistrato delegato dal Presidente per la formulazione della PDA possa essere sia anche relatore in camera di consiglio, è stata risolta affermativamente dalla Sezioni Unite della cassazione le quali, con la ricordata sentenza 10 aprile 2024, n. 9611, hanno affermato il  principio di diritto secondo cui «nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa».


Spetta peraltro alle singole sezioni della Corte, nella loro autonomia organizzativa, valutare se mantenere o no la coincidenza tra presidente della sezione o consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, e consigliere relatore. 


Sempre con riguardo al rinvio pregiudiziale si è potuto constatare che, laddove i numeri delle proposte di ritenuta inammissibilità o manifesta infondatezza sono più elevati, più numerose sono le istanze di decisione volte a provocare una valutazione più meditata e collegiale; ed è stato rilevato come la prescrizione normativa che impone il rilascio allo stesso difensore di una nuova procura per formulare istanze di decisione, mira a far sì che la scelta di insistere nel ricorso formi oggetto di una riflessione comune del difensore e della parte anche in considerazione delle conseguenze che da tale scelta possono derivare sotto il profilo della condanna alle spese.


Nel corso del seminario, mentre è stata evidenziata l'efficacia deflattiva del novellato art. 360 - bis c.p.c.[4], non è mancata una voce critica sotto il profilo che quando la proposta non sia stata accettate e sia stata richiesta la decisione, ciò che consegue non è il contraddittorio delle parti tra loro, ma una contrapposizione dialettica fra ricorrente (o controricorrente) e colui che potenzialmente diventa il relatore della decisione; e sarebbe irrealistico non considerare che, allorché la proposta viene criticata, si  tende (più che a discostarsene), a rafforzarla ed a corroborarla con nuovi elementi; ed è stato altresì lamentato che - contrariamente alla raccomandazione contenuta nella sentenza di evitare interpretazioni della norma tali da condurre «ad un indifferenziato automatismo sanzionatorio», nella concreta applicazione dell'istituto tale raccomandazione non sempre è stata rispettata.


C3) Per ciò che concerne l’art. 363 - bis c.p.c., sono pervenuti al 18 aprile n. 42 rinvii pregiudiziali, il che significa che vi è stato un uso equilibrato e non defatigatorio dello strumento da parte di giudici di merito. È stato tempestivamente costituito l’ufficio delle questioni pregiudiziali, che ha svolto un’efficace funzione di filtro, consentendo alla Prima presidente di accogliere solo una parte di questi rinvii e di rimetterne in decisione circa una ventina.


In sede di vaglio di ammissibilità, è emerso un orientamento abbastanza rigoroso nel valutare soprattutto le gravi difficoltà interpretative che deve presentare la questione, giacché se di fronte a qualsiasi difficoltà fosse possibile attivare il procedimento di rinvio, verrebbe meno quella funzione interpretativa che è proprio del giudice di merito e che è parte fondamentale della comunità interpretante dei giuristi. Il rinvio pregiudiziale assolve una funzione utile solo allorché può risolvere difficoltà interpretative davvero gravi su questioni che costituirebbero un ostacolo alla giurisdizione, bloccando una miriade di controversie che invece possono essere risolte con una meditata sentenza della Cassazione. 


E’ stato rilevato nel seminario che l’applicazione dell’istituto, nel pri

19/04/2024

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