Non è di Md, ma ci dispiace lo stesso

Editoriale

Non è di Md, ma ci dispiace lo stesso

di Stefano Musolino
Segretario nazionale Md


Ricevo l’ennesima telefonata in cui l’interlocutrice mi manifesta tutto il suo sdegno per le affermazioni attribuite a Luca Poniz a proposito della moglie del calciatore portoghese Ronaldo, in un articolo apparso sul quotidiano “La Verità”. 


Sono d’accordo con te – rispondo – è davvero un’espressione nociva, figlia di un sessismo becero, ma vedi Poniz non è più iscritto a Md da tempo e non so nemmeno se quel post sia davvero suo o lo abbiano hackerato. Insomma, io stesso e gli iscritti del gruppo abbiamo commesso e commetteremo errori e strafalcioni, ma non questi”.


È una giovane collega che guarda con curiosità al nostro gruppo; é così sdegnata che mi interroga anche sugli altri magistrati che, secondo il quotidiano, avrebbero manifestato apprezzamento verso quel post. 


E io a spiegare che Mimmo Truppa e Anna Canepa non sono più iscritti a Md, perché anche loro come Poniz, Albamonte e altri componenti l’attuale dirigenza di AreaDG, lasciarono Md sin dal dicembre del 2020. Si dimisero in 25 con una lettera mandata a tutte le agenzie di stampa, ripresa anche da alcuni quotidiani nazionali. L’obiettivo si intuiva nella trama di quella lettera e divenne più palese nel successivo abbandono di Md da parte di quasi tutti i consiglieri del CSM e poi dei componenti la GEC dell’ANM: provocare un’emorragia di dimissioni che annichilisse Md e quella parte del gruppo che si ostinava a ritenerla una componente necessaria per un dibattito plurale nella magistratura, non ipnotizzato dalle logiche di cura del consenso e di gestione delle posizioni acquisite. Anche per questa differenza di prospettiva abbiamo recuperato la nostra autonomia da AreaDG, spiego alla mia giovane interlocutrice che si placa e si rasserena, spiegandomi che avrebbe avuto difficoltà a immaginare di condividere percorsi comuni e momenti di confronto con chi manifesta una bieca adesione alle dinamiche comunicative dei social sulle questioni di genere.


Meno male, penso, questo colpo basso l’abbiamo schivato.


Ma la mia è solo un’illusione.


Passano solo pochi giorni e “Il Giornale” torna alla carica. 


Stavolta l’articolo riguarda quella che viene presentata come una gestione pigra e maldestra di un procedimento penale ancora da parte di Luca Poniz che, di nuovo, viene descritto come esponente di spicco “della più battagliera delle correnti organizzate, Magistratura democratica”. La circostanza viene enfatizzata come segno di un paradosso, per orientare il lettore: lo scopo comunicativo del giornalista sotteso non è parlare di Luca Poniz, ma fare apparire incoerente Md. D’altronde il giornalista che ha scritto l’articolo sinora è stato un maestro nel collegare a Md qualunque magistrato da mettere alla berlina. Basta poco: la presenza a una manifestazione, l’adesione a un documento, un articolo scritto per QG, qualunque labile collegamento viene usato per esaltare il presunto paradosso di un gruppo battagliero ed ortodosso nella difesa dei diritti i cui componenti, però, ne combinano di tutti i colori. 

Lo scopo sembra essere quello di creare nell’opinione pubblica un pregiudizio negativo, in maniera che qualunque iniziativa del gruppo, specie se culturalmente contrastante con il mainstream, coltivato da quel quotidiano, possa essere svalutata aprioristicamente.

Stiamo tentando di non essere risucchiati nell’ondata di faziosità pregiudiziale che alimenta il dibattito sulla giustizia, ma le complessità non sono tollerate; sicché, se Il Giornale nel riportare una mia dichiarazione dà, puntualmente, conto della mia opinione sulla riforma Cartabia, laddove rimarco insieme alle parti migliori (ad esempio, le norme orientate alla “de-carcerizzazione”), anche inutili farraginosità che rendono precario ed accidentato il percorso processuale, il titolo parla d’altro: “Magistratura democratica accusa la riforma: ‘Depenalizzazione camuffata’…”. Ed effettivamente, nell’articolo, altri magistrati si erano espressi in questi termini, ma nessuno era stato neanche presentato come iscritto ad Md. In più io sono a favore di una seria depenalizzazione! 


Credo che disturbi l’autorevolezza del nostro nome e della nostra storia di tutela dei diritti: anche perché Md da quando ha recuperato l’autonomia ha fatto opinione sulle più recenti questioni aperte nel dibattito sulla giustizia. 


La nostra posizione sul noto decreto-legge “rave party” è stata ripresa dalla accademia ed ha smosso anche le iniziali timidezze di una parte della magistratura (ma non quella dell’ANM); il nostro appello sul respingimento dei migranti ha raccolto le adesioni di quasi 500 associazioni e oltre 8.000 sottoscrittori. 


Non cerchiamo la ribalta mediatica a tutti i costi ed abbiamo avviato sulle piattaforme di comunicazione partecipati incontri nazionali che coinvolgono anche gli avvocati e il personale amministrativo, per avviare confronti e buone prassi utili a fare funzionare le parti migliori delle riforme sul processo civile e su quello penale. 


Alcuni quotidiani, però, ci preferiscono guerrafondai e incoerenti e così reclutano in Md colleghi ormai distanti da noi o mai iscritti al gruppo. 


E di nuovo le chat si animano, le telefonate diventano più frequenti e intense, perchè la base non tollera proprio che Md venga identificata con Luca Poniz e anche io mi sento un po' come quel tale che nel mio dialetto è “curnutu e bastunatu”. Una brutta sensazione fatta di rabbia e frustrazione. 


Vedere il gruppo definito sulla base di scelte e comportamenti di chi non ne fa parte e anzi manifesta aperta ostilità ad Md, mi secca molto. Ma non demordo e torno a spiegare, anche ai giornalisti, che Poniz non è più un magistrato di Md e che indicarlo quale paradigma di una sorta di ipocrita contraddittorietà delle nostre posizioni è comunicazione sleale. Mi ascoltano, si scusano, prendono atto.


Dopo qualche altra comunicazione sul tema, rientrando a casa dal lavoro, mi rilasso chiacchierando con mia figlia che sta preparando l’esame di procedura penale, ripasso qualcosa con lei, poi ci concentriamo sui termini di indagine e, tra una nozione e l’altra, mi racconta di avere discusso con i suoi colleghi, a proposito di quel PM che aveva molto tardato ad avanzare una richiesta di archiviazione, rigettata dal GIP. E candidamente mi chiede: “ma davvero è di Md?”. Sono affranto: “… no, stellina, anche tu? noo…!!”.

16/01/2023

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