Per un pubblico ministero non separato. Per un pubblico ministero primo tutore dei diritti costituzionali e delle garanzie individuali

Ordinamento giudiziario e Costituzione

Per un pubblico ministero non separato. Per un pubblico ministero primo tutore dei diritti costituzionali e delle garanzie individuali


Sono all’esame del Parlamento diversi progetti di legge costituzionale in «materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura» (proposta di legge costituzionale Costa, A.C. 23-2022; Giachetti ed altri, A.C. 434-22; Calderone e altri, A.C. 806-23; Morrone ed altri, A.C. 824-23; altre sono annunciate e non ne è ancora noto il testo).


Le proposte di legge depositate ricalcano, esplicitamente, il progetto di legge costituzionale di iniziativa popolare depositato in occasione della scorsa legislatura, a seguito dell’iniziativa promossa dalle Camere Penali.


Tra gli altri, individuiamo tre punti qualificanti di questo disegno di revisione costituzionale: la separazione delle carriere giudicanti e requirenti; la suddivisione del governo autonomo della magistratura in un Consiglio superiore della magistratura requirente e in un Consiglio superiore della magistratura giudicante; la previsione che l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero avvenga «nei casi e nei modi previsti dalla legge».


Rappresentiamo ai Senatori e Deputati della Repubblica e all’opinione pubblica le ragioni della nostra ferma contrarietà a simili prospettive riformatrici. Non ci muovono istinti di protezione della corporazione, ma la preoccupazione di vedere assicurata, alla funzione giurisdizionale, la possibilità di continuare ad essere esercitata in modo autonomo e indipendente da ogni altro potere: da parte di magistrati che, per comune appartenenza al medesimo ordine, condividano attenzione alla legalità, ai diritti costituzionali e alle garanzie, in uno con la tutela dell’innocente.


La prospettata  riforma costituzionale, innanzitutto, non sembra affatto rispondere ad esigenze del sistema giudiziario. A tal proposito, è necessario portare un dato di realtà: a seguito delle rigidità introdotte con la riforma dell’ordinamento giudiziario, approvata nel biennio 2005-2006, i dati dicono che il passaggio di funzioni – da requirenti a giudicanti, o viceversa – è fenomeno statisticamente sempre più raro, avendo nell’ultimo quindicennio interessato, in media, nemmeno cinquanta magistrati l’anno (in un corpo professionale formato da quasi 10.000 persone). 


Il disegno riformatore postula, poi, un giudice “culturalmente adesivo” alla prospettazione del pubblico ministero, per comune “spirito di colleganza”. Si tratta, però, di un postulato errato, clamorosamente smentito da un altro dato di realtà, costituito dagli esiti dei giudizi. È sufficiente considerare, al riguardo, i dati statistici rappresentati in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario: che parlano di giudizi penali di primo grado, celebrati davanti a tribunali e corti di assise, esitati in sentenze assolutorie nel 48% dei casi circa e in sentenze di condanna nel 45% dei casi (mentre la restante parte ha come esito decisioni “promiscue”, in parte di condanna e in parte di assoluzione). 


È dunque la stessa forza dei numeri, ricavata da centinaia di migliaia di processi, a confutare la rappresentazione di una magistratura giudicante supina alle istanze accusatorie del pubblico ministero. 


Con l’introduzione di una rigida separazione delle carriere, invece, si otterrebbe il risultato di “cristallizzare” il ruolo dei magistrati del pubblico ministero, con il rischio di così modificarne, progressivamente, la cultura professionale, allontanando il magistrato del pubblico ministero dalla cultura delle garanzie, per orientarlo irreversibilmente ad una funzione di mero “avvocato dell’accusa” e di “avvocato della polizia giudiziaria”: polizia giudiziaria che – non è male ricordarlo – costituisce peraltro emanazione del potere esecutivo.


Una veste, quella di un pubblico ministero così riformato e separato, che lo allontanerebbe quindi da quella, disegnata dal Costituente, di primo tutore delle garanzie individuali e dei diritti costituzionali, e che al contempo lo avvicinerebbe, pericolosamente, a quella di parte esclusivamente interessata, nel suo agire, al conseguimento di un risultato.


Per questo riteniamo che l’appartenenza dei magistrati ad un comune corpo professionale, espressamente voluta dal Costituente, rappresenti una positiva conquista da coltivare e valorizzare, piuttosto che un dato negativo da rimuovere e cancellare. Essa, infatti, implica ed impone la costruzione di un comune patrimonio professionale, orientato alla cultura della giurisdizione e alla tutela dei diritti costituzionali. La Scuola superiore della magistratura, peraltro, molto sta investendo su questo profilo, costruendo percorsi formativi che prevedono la contaminazione di esperienze da parte di tutti i magistrati, requirenti e giudicanti, con esponenti dell’Accademia e dell’Avvocatura.


È infatti sulla contaminazione, e non già sulla separazione, che riteniamo si debba insistere e scommettere.


Secondo i proponenti, poi, la riforma si giustificherebbe per la finalità di “spoliticizzare” la magistratura e il governo autonomo. E, tuttavia, i testi oggi sottoposti all’esame del Parlamento fanno intravedere – quasi paradossalmente, rispetto alle proclamate intenzioni – un percorso di segno diverso: Consigli superiori “separati” (giudicante e requirente), composti per metà da componenti togati e per metà da componenti designati dal Parlamento (e non, come oggi, per un terzo); azione penale non più incondizionatamente obbligatoria, ma da esercitare «nei casi e modi previsti dalla legge».


Si tratta di un disegno riformatore che, per “spoliticizzare” la magistratura, introduce così negli organi di governo autonomo un maggior numero di componenti che sono diretta espressione della “politica”.


Ci sembra un paradosso. O forse non lo è: la realizzazione del sogno di «mettere i leoni sotto il trono» passa, infatti, proprio attraverso riforme simili a quelle messe in cantiere.


Non è spirito di corporazione che ci muove, né amore di conservazione. È, piuttosto, la preoccupazione che venga ad essere intaccato il delicato equilibrio che il Costituente ha delineato nel disegnare la separazione e le interferenze tra i poteri dello Stato.


L’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono infatti garanzie poste a presidio delle libertà dei cittadini e, ad un tempo, limiti a possibili compressioni da parte delle contingenti maggioranze di governo. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura potranno, però, dirsi effettive soltanto se pienamente assicurate anche ai magistrati del pubblico ministero. 


È una consapevolezza, questa, coltivata anche in ambito sovranazionale, come dimostrano i pronunciamenti, negli ultimi decenni sempre più numerosi, che mettono in luce lo stretto legame tra indipendenza e autonomia del pubblico ministero, da un lato, ed autonomia e indipendenza della giurisdizione, di cui le prime costituiscono un fondamentale e prezioso prerequisito.


Un pubblico ministero meno autonomo e meno indipendente produrrà una giustizia meno autonoma e meno indipendente. La separazione delle carriere ci porta verso questo risultato, che riteniamo non coerente con l’interesse dei consociati. Lo ribadiamo: è sulla contaminazione che occorre insistere, non sulla separazione.


È un esito, quello di un pubblico ministero separato e così sempre più ridotto ad un ruolo di passivo e subalterno “avvocato della polizia giudiziaria”, idoneo a produrre, in definitiva, una pericolosa alterazione dei delicati equilibri su cui si regge la giurisdizione penale.


Un esito, di certo, non desiderabile per i cittadini, almeno quelli comuni, che da tale involuzione non ricaverebbero infatti alcun vantaggio, né sul terreno dell’efficiente repressione dei reati, né su quello delle garanzie individuali; ma un esito non desiderabile neppure da parte degli stessi avvocati e da chi abbia a cuore le garanzie, i diritti costituzionali e la tutela dell’innocente: potenzialmente messi a rischio dalla nuova veste di “avvocato della polizia giudiziaria” che si vorrebbe cucire indosso al pubblico ministero.


L’esecutivo di Magistratura democratica

01/02/2023

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