Civile

Registrazione e Resoconto secondo seminario - La riforma della giustizia civile


Il 19 gennaio 2023, dalle 15.30, si è svolto il secondo dei Seminari promossi da Magistratura Democratica sulla riforma del processo civile, con la partecipazione di oltre quattrocentotrenta persone collegate da remoto e dei presenti nella saletta della ANM, al sesto piano del Palazzaccio.


Nel corso del seminario, la cui registrazione è accessibile al link https://youtu.be/5ZmjPLzuPq8, sono state esaminate diverse questioni che si pongono nella nuova disciplina del processo ordinario di cognizione e del processo “semplificato” e si è iniziato l’esame del processo unificato in materia di persone e famiglia.


1. La nuova disciplina transitoria.
La modifica dell’art. 35 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, quale novellato dall’art. 1, comma 380, l. 29 dicembre 2022, n. 197, e dall’art. 8, comma 8, d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 ha determinato un ingorgo normativo.
Con l’art. 1, comma 380, l. 29 dicembre 2022, n. 197 è stata disposta l’anticipazione al 28 febbraio 2023 dell’entrata in vigore della riforma, la quale si applicherà ai processi instaurati (notifica o deposito dell’atto introduttivo) dal 1° marzo 2023.
Relativamente ai processi pendenti davanti al Tribunale, alla Corte d’Appello ed alla Corte di Cassazione troveranno applicazione:
* dal 1° gennaio 2023, le norme relative alle udienze mediante collegamenti audiovisivi, al deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza, alle modalità del giuramento del C.T.U. ed alla giustizia digitale (salvo le eccezioni previste con riguardo ai dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente) al rinvio pregiudiziale;
 ai ricorsi per cassazione per i quali non sia stata fissata la trattazione;
* dal 28 febbraio 2023, le nome relative:
 agli appelli (notifica o deposito dell’impugnazione);
 ai ricorsi per cassazione (notifica).
L’art. 8, comma 8, d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, con il quale sono state prorogate al 30 giugno 2023 alcune disposizioni dettate in fase di emergenza sanitaria (rilascio di copie in forma esecutiva, giuramento del c.t.u. e trattazione dei ricorsi per cassazione) riguarda soltanto i processi pendenti, come si desume dalle espressioni contenute nella norma («anche in deroga»; «continuano ad applicarsi»; «fermo restando» quanto previsto per i processi nuovi).
Fino al 30 giugno 2023 continua ad applicarsi l’art. 23, comma 8 bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, relativo:
o alla trattazione in camera di consiglio con termini per il deposito di memorie di 15 giorni per il p.m. e di 5 giorni per le parti;
o alla possibilità per le parti e per il p.m. di chiedere la trattazione in pubblica udienza 25 giorni liberi prima.
Dopo il 30 giugno 2023 si applicherà la norma relativa alla trattazione in camera di consiglio con termini per il deposito di memorie di 20 giorni per il p.m. e di 10 giorni per le parti.


2. La struttura comune dei processi a cognizione piena.
Ogni processo di cognizione, quale che sia la disciplina, si snoda attraverso una serie di passaggi obbligati.
Il primo passaggio consiste in alcune verifiche formali.
Il passaggio successivo consiste nella definizione del thema decidendum, ossia nella individuazione dei fatti rilevanti ai fini del decidere, ovvero dei termini della controversia. Tale seconda attività presuppone la tradizionale opera di ricognizione della fattispecie. Indipendentemente dalla strategia difensiva del convenuto, il giudice è tenuto a verificare la sufficienza o l’idoneità dei fatti costitutivi allegati dall’attore a fondare la pretesa dedotta in giudizio.
Le strategie di difesa del convenuto possono consistere nella negazione dei fatti costitutivi allegati dall’attore ovvero nella contestazione della idoneità di essi a fondare il diritto fatto valere, nella allegazione di fatti estintivi, modificativi ed impeditivi e nella proposizione di domande riconvenzionali.
Il terzo momento valutativo, relativo alla idoneità dei fatti costitutivi a fondare il diritto affermato e alla rilevanza dei fatti estintivi, modificativi ed impeditivi, è quello più complesso e delicato nella gestione delle attività processuali e nella direzione del processo.
L’attività istruttoria è meramente eventuale: è possibile omettere l’accertamento dei fatti costitutivi, allorché questi non siano comunque idonei a costituire fondamento del diritto o allorché sussistano fatti estintivi, modificativi ed impeditivi, non contestati o di facile accertamento.
Dopo la riforma i modelli processuali previsti sono otto:
- processo ordinario
- processo semplificato
- processo innanzi al giudice di pace
- processo «del lavoro»
- processo unificato in materia di stato delle persone, famiglia e minori
- processo unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alle procedure di insolvenza
- processo per l’accertamento del passivo nelle procedure concorsuali
- processo in camera di consiglio


3. Il nuovo procedimento ordinario di cognizione.
3.1 La fase introduttiva
L’art. 2, comma 12, lett. a), b), c), d), e), f), h) e g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ha modificato gli artt. 163, 163 bis, 164, 165, 166, 167, 168 bis e 171 c.p.c.; la lett. i) dello stesso comma 12 ha aggiunto gli artt. 171 bis e 171 ter. Il successivo comma 13, lett. b) e c), ha modificato gli artt. 183 e 183 bis c.p.c.
In attuazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 5, lett. a), b), c), d), e), f), g) ed h) della legge delega, lo scambio di memorie previsto dall’ancora vigente art. 183, comma 6, c.p.c. è stato spostato ad un momento anteriore alla prima udienza di comparizione, e sono stati allungati i termini di comparizione per consentire lo scambio prima dell’udienza.
3.2 La scansione dei termini prima dell’udienza. Il provvedimento di cui all’art. 171 bis
L’art. 171 bis richiede che “scaduto il termine di cui all’articolo 166” e quindi quello per la costituzione del convenuto (settanta giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione), il giudice istruttore, entro i successivi quindici giorni, verificata d’ufficio la regolarità del contraddittorio, pronuncia, quando occorre, i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292, e indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.
L’art. 171 ter prevede che le parti, a pena di decadenza, possono depositare memorie integrative con le quali:
1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta;
2) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali.
3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria.
3.3 Effetti sulla organizzazione del lavoro del giudice
L’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 171 bis c.p.c. comporta la necessità di una fase ulteriore di esame del fascicolo da parte del giudice rispetto all’esame dell’atto introduttivo al momento dell’assegnazione e del fascicolo nell’immediatezza della prima udienza che sono necessari con la disciplina attualmente vigente.
Questa nuova scansione dei tempi può essere facilitata, oltre che da uno scadenzario che si auspica sia inserito in “consolle”, dall’ausilio degli addetti all’ufficio per il processo che, oltre a tenere l’agenda del giudice, potrebbero coadiuvare anche nella effettuazione dei controlli previsti dall’art. 171 bis c.p.c.
La disposizione prevede la pronuncia di un provvedimento fuori udienza dove si indicano alle parti le questioni rilevabili di ufficio: le questioni sono trattate dalle parti nelle memorie di cui all’articolo 171 ter e poi decise; ma si può anche fissare l’udienza ai sensi dell’articolo 175 c.p.c.
L’art. 171 bis non prevede la possibilità di interrompere il “ping pong”. Però il giudice può esercitare “tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento” ex art. 175 ed ordinare “in qualunque stato e grado del processo … la comparizione personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa”. Questi strumenti consentirebbero di anticipare il contatto tra le parti e tra queste ed il giudice in una apposita udienza, che non coincide con quella prevista dalla legge; in quella occasione potrebbe essere disposta la conversione del rito da ordinario a semplificato.
3.4 Il differimento della prima udienza
Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma dell’art. 171 bis il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’articolo 171-ter (art. 171 bis comma 2 c.p.c.).
Se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’articolo 171-ter (art. 171 bis comma 3 c.p.c.).
È, quindi, questo il momento in cui il giudice fissa la data dell’udienza eventualmente diversa da quella indicata in citazione (analogamente a quanto previsto nel vecchio art. 168 c.p.c.) e può farlo indipendentemente dalla adozione dei provvedimenti di cui all’art. 171 bis comma 3 c.p.c.
Come già segnalato, si è ritenuta condivisibile la tesi secondo la quale il giudice, dopo il deposito della comparsa di risposta, ove ritenga opportuno convertire il rito, può limitarsi a fissare l’udienza, senza ulteriore scambio di memorie, ed interloquire con le parti sulla conversione del rito.
3.5 La prima udienza di trattazione (art. 183 ss. c.p.c.)
All’udienza fissata per la prima comparizione, e salva l’applicazione dell’art. 187 c.p.c., il giudice, se autorizza l’attore a chiamare in causa un terzo, fissa una nuova udienza a norma dell’art. 269, terzo comma c.p.c. Altrimenti si procede alla trattazione e le parti devono comparire personalmente.
La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’articolo 116, secondo comma c.p.c.
Il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione a norma dell’art. 185 c.p.c.
Quindi provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse.
L’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi è fissata entro novanta giorni.
Se l’ordinanza sulle richieste istruttorie è emanata fuori udienza, deve essere pronunciata entro trenta giorni.
Se vengono disposti d’ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del terzo comma ultimo periodo.
All’udienza di trattazione, il giudice, ai sensi del novellato art. 183 bis c.p.c., può anche disporre la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato.
Nelle controversie di competenza del Tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, su istanza di parte, ai sensi dell’art. 183 ter c.p.c. può pronunciare ordinanza di accoglimento e, ai sensi del successivo art. 183 quater c.p.c., ordinanza di rigetto.
Dopo lo scambio delle memorie anteriore all’udienza, pertanto, la controversia potrà essere definita nelle forme del procedimento semplificato di cognizione oppure con ordinanza di accoglimento o di rigetto.
Qualora, tuttavia, ne ricorrano i presupposti, la controversia, se è matura per la decisione, potrebbe essere definita con sentenza.
Nel primo seminario era prevalsa la tesi secondo la quale la prima udienza può essere trattata con modalità cartolari (cfr. resoconto del primo seminario al link https://www.magistraturademocratica.it/articolo/registrazione-primo-seminario-md-riforma-civile).
3.6 La trasformazione del rito ordinario in rito semplificato
L’art. 183 bis c.p.c. prevede che all’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281 decies c.p.c., dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’articolo 281 duodecies c.p.c.
Il primo comma dell’art. 281 decies prevede che il procedimento semplificato presuppone che i fatti di causa non siano controversi, oppure che la domanda sia fondata su prova documentale, o di pronta soluzione o richieda un’istruzione non complessa.
Non può affermarsi che quando debba disporsi una consulenza o una prova orale l’istruzione sia complessa: ad esempio, né la prova testimoniale su un unico punto, né la consulenza non particolarmente complicata devono considerarsi attività istruttorie complesse.
In molti interventi è emerso che l’unico modo per poter gestire il processo con queste norme è dare un canale preferenziale al processo semplificato.
Il giudice può capire di che tipo di contenzioso si tratta, e può istradarlo nel modo migliore. Dalla riforma del ‘90 in poi, si è visto che il processo civile può funzionare dove c’è una direzione da parte del giudice e dove c’è una necessaria collaborazione delle parti e loro difensori.
Ci si è chiesti chiede se il rito possa mutare più di una volta.
Ci si chiede, ancora, se, qualora lo scambio delle memorie introduttive venga bloccato, magari fissando un’udienza ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. per un tentativo di conciliazione, si possa tornare al rito ordinario, così concedendo solo le tre memorie, paragonabili all’attuale art. 183, sesto comma c.p.c.
3.7 Le ordinanze anticipatorie
Le ordinanze ex art. 183 ter e quater c.p.c. non sono idonee al giudicato. Se le parti hanno interesse ad ottenere un provvedimento stabile non ne chiederanno l’emanazione.
Le ordinanze sono reclamabili. Se il reclamo è accolto, il processo prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata.
Se la causa è matura per la decisione e può essere immediatamente definita, appare ragionevole ritenere che possa essere pronunciata sentenza.
La richiesta dell’una o dell’altra ordinanza si presta ad essere considerata come uno strumento dilatorio.
3.8 L’art. 183 quater, comma 1, seconda parte, c.p.c.
La disposizione prevede che l’ordinanza di rigetto possa essere emanata anche «se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all’articolo 163, terzo comma, n. 3) e la nullità non è stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163».
La previsione va coordinata con l’art. 164, comma 4, c.p.c., che sanziona con la nullità gli atti introduttivi con i vizi indicati. E va coordinata anche con l’art. 307, comma 3 c.p.c., per il quale la mancata rinnovazione determina l’estinzione del processo.
In primo luogo, si deve rilevare che, se l’atto introduttivo privo della indicazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere o recante un oggetto indeterminato, non viene rinnovato o integrato, il processo si estingue; mentre se è rinnovato, ma i vizi sono ritenuti ancora
sussistenti, nei processi instaurati a partire dal 1° marzo 2023, la domanda, su istanza di parte, deve essere «rigettata». Non sembra sia stato preso in considerazione che la mancata rinnovazione o la mancata integrazione dell’atto introduttivo equivalessero alla insufficiente o impropria rinnovazione o integrazione, ma della distinzione introdotta con la riforma occorre prendere atto.
In secondo luogo, occorre segnalare che, se la mancanza o l’assoluta incertezza dell’indicazione dell’oggetto della domanda (o la mancanza, in questa, dell’indicazione dei fatti costitutivi, anche dopo l’emanazione dell’ordine di rinnovazione o di integrazione), determinano il «rigetto», la relativa pronuncia dovrebbe essere effettuata non solo con ordinanza, ma comunque e, quindi, anche con sentenza.
In terzo luogo - quali che siano i termini utilizzati dal legislatore - è da ribadire come sia compito dell’interprete valutarne la portata precettiva e gli effetti.
La «manifesta infondatezza» della domanda non equivale alla sua invalidità per vizi della editio actionis. Né appare possibile ritenere che il «rigetto», in base alla valutazione della prima, abbia gli stessi effetti del rilievo dei secondi.
L’ordinanza di «rigetto» per la mancata rinnovazione o per la insufficiente integrazione dell’atto introduttivo non dovrebbe, pertanto, impedire la riproposizione della domanda, vuoi perché il provvedimento non ha gli effetti del giudicato, vuoi, soprattutto, perché non si tratta di un provvedimento sul merito. Essa dovrebbe realizzare gli stessi effetti della dichiarazione di estinzione, con la significativa conseguenza dell’essere sottratta alla disciplina prevista dall’art. 2945, comma 3, c.c.
3.9 Fase decisoria
La fase decisoria può avere la forma della trattazione scritta, della trattazione mista e della trattazione orale.


4. Il procedimento semplificato.
4.1 Premessa
Il rito semplificato è quello su cui il legislatore ha maggiormente puntato per realizzare gli obiettivi della riforma e del PNRR.
Sulla scorta delle riflessioni dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, si è ritenuto che è un rito equiordinato rispetto al rito ordinario, non può essere considerato un rito speciale, alla stregua di una serie di indici:
- innanzitutto, la collocazione delle norme (nel secondo libro e non più tra i procedimenti speciali come era previsto per il vecchio rito sommario);
- in secondo luogo, perché si tratta di un rito applicabile alla pressoché totalità delle controversie: vedi l’art. 281 decies c.p.c., ove è stabilito che, nelle cause di competenza monocratica – tra le quali dal 1° marzo rientrano anche le querele di falso e le controversie per la determinazione dei compensi degli avvocati - la domanda può sempre essere proposta nella forma semplificata;
- anche per quanto attiene alla fase decisoria vi è piena equiparazione al rito ordinario, perché il rito semplificato si conclude con sentenza e non più con l’ordinanza come previsto dal 702 bis;
- vi è perfetta continuità tra i riti, attesa la possibilità di passaggio dal rito semplificato all’ordinario, e viceversa.
4.2 Ambito di applicazione e scelta del rito
L’art. 281-decies c.p.c. definisce l’ambito di applicazione del giudizio semplificato: quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è
di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato.
Nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica la domanda, come osservato, può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato.
Riguardo alla scelta del rito nella fase introduttiva, si è sostenuto che il presupposto principale è quello relativo alla previsione di una istruzione non complessa, poiché gli altri presupposti sono vaghi o comunque emergono solo dopo la fase introduttiva (come i fatti non controversi che non possono indicarsi prima della costituzione del convenuto o dei convenuti) o la prova documentale (che può riguardare il fatto principale dedotto dall’attore ma non le prove richieste dal convenuto). Le prove di pronta soluzione, poi, non sono indicabili a priori.
4.3 La fase introduttiva
La modalità introduttiva è quella ordinaria dei processi introdotti con ricorso: deposito dell’atto, decreto di fissazione dell’udienza, notifica di ricorso e decreto.
La previsione, nel rito dinanzi al giudice di pace, della costituzione mediante deposito del ricorso notificato nasce da un evidente errore del legislatore e non se ne deve tenere conto.
L’art. 281-undecies c.p.c. prevede che il contenuto del ricorso debba essere analogo a quello dell’atto di citazione.
Il giudice, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti.
Il ricorso, con il decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell’attore non oltre quaranta giorni prima dell’udienza se il luogo della notificazione si trova in Italia e non oltre sessanta giorni se si trova all’estero.
Nel decreto deve essere assegnato il termine che non può essere inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per la costituzione del convenuto.
Non è previsto un termine nemmeno ordinatorio entro il quale deve tenersi l’udienza da parte del giudice. E’ auspicabile un utilizzo accorto di questo potere discrezionale.
Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio.
Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo.
4.4 La concessione del termine perentorio per precisare domande ed eccezioni
L’attenzione si è concentrata soprattutto sulla disciplina del 4 comma dell’art. 281-duodecies c.p.c. e sul significato da attribuire al “giustificato motivo” per la concessione del termine perentorio al fine di precisare domande ed eccezioni, indicare mezzi di prova e termine ulteriore per replicare. Nel rito semplificato deve essere tenuta una sola udienza e possono essere assegnati unicamente il termine per la chiamata in causa del terzo, “se richiesto e sussiste giustificato motivo”, un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria.
Sono emersi diversi orientamenti riguardo alla portata interpretativa da attribuire all’espressione “giustificato motivo” in caso di richiesta della parte.
Secondo un primo orientamento, il requisito presuppone il già avvenuto verificarsi delle preclusioni con il deposito degli atti introduttivi (salvo il terzo comma dell’art. 281-duodecies c.p.c.). Dunque, il motivo sarebbe giustificato solo in presenza di esigenze difensive sorte successivamente per le difese del convenuto o per rilievi d’ufficio del giudice. Conseguentemente, in ipotesi di contumacia del convenuto non potrebbe essere concesso ulteriore termine all’attore e termini per prove non potrebbero essere concessi se l’attore non le avesse formulate sin dall’atto introduttivo.
Secondo un diverso orientamento, accogliendo l’esposta interpretazione verrebbero a configurarsi preclusioni non chiaramente desumibili dalla norma, per cui la richiesta di termini sarebbe invece sempre ammissibile qualora la parte illustrasse ipotesi difensive non palesemente pretestuose.
Una terza lettura della norma potrebbe prospettarsi per il tramite di un collegamento tra preclusioni e sviluppo del contraddittorio: è nella prima udienza che si definisce il thema decidendum ed in tale sede può essere definito compiutamente anche il thema probandum, sicché sarà onere della parte illustrare al giudice eventuali esigenze difensive tali da giustificare un’integrazione degli atti introduttivi e richieste istruttorie. Secondo questa impostazione, l’integrazione del thema probandum si fa “normalmente” in udienza.
Al giudice è comunque consentito il rigetto della richiesta dei termini in caso di ricorrenza di questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito.
Se prevalesse una tesi molto restrittiva, in base alla quale sostanzialmente le attività istruttorie dovrebbero essere indicate nell’atto introduttivo, il rito diventerebbe poco “appetibile”. Si è proposta pertanto una interpretazione ampia, ammettendo la possibilità di allegazione della prova sul fatto costitutivo anche se non dedotto nell’atto introduttivo.
Bisogna inoltre tener presente che l’atto introduttivo è redatto prima della costituzione del convenuto e quindi senza conoscere le sue difese e le eventuali contestazioni.
Si è, per converso, evidenziato il rischio della eccessiva discrezionalità del giudice, un rischio che ancora una volta diventerebbe un disincentivo alla scelta del rito semplificato, ma la discrezionalità del giudice rispetto all’attività probatoria è un elemento del sistema al quale è possibile ovviare con le impugnazioni.
Il processo serve comunque ad attuare e dare tutela a diritti e dunque non deve essere disseminato di trappole, preclusioni o rigidità formali se le decadenze o le perentorietà dei termini non siano fissate dal legislatore.
In mancanza di preclusioni espresse, non può essere il giudice a desumerle dall’architettura del sistema. Il quarto comma dell’art. 281-duodecies c.p.c. va pertanto interpretato in modo elastico, anche nel caso di contumacia del convenuto. Tale scelta si dimostra altresì strategicamente funzionale con riguardo all’opportunità di incoraggiare l’utilizzo del semplificato.
Appare necessario un comportamento attento giacché, ove non si ritenesse di ammettere le prove e queste si rendessero poi indispensabili in appello, i tempi complessivi del processo verrebbero ad aggravarsi. E se, poi, dovesse emergere la necessità di formulare richieste istruttorie complesse, è sempre possibile trasformare il rito semplificato in rito ordinario.
4.5 Fase decisoria
È prevista solo la modalità decisoria di cui all’art. 281 sexies c.p.c.


5. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il rito ordinario e il rito semplificato.
L’art. 645 c.p.c. resta invariato. Si è posto il problema della possibilità di introdurre l’opposizione a decreto ingiuntivo con ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. e di trattarla, quindi, con rito semplificato.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha già varie volte affermato che l’opposizione a decreto ingiuntivo può essere proposta con ricorso e la recente sentenza Cass. 34501/2022 ha affermato - con riguardo alle ipotesi cui è applicabile l’art. 4 d.lgs. 150/2011 - che l’opposizione a decreto ingiuntivo per la liquidazione degli onorari dell’avvocato penalista può essere proposta anche mediante ricorso 702-bis c.p.c. e che, ai fini della valutazione della tempestività, sia sufficiente che il ricorso sia depositato nel termine di 40 gg. Nelle ipotesi regolate dagli artt. 426 e 427 c.p.c. la questione relativa alla tempestività della opposizione resta aperta.
Nella opposizione introdotta nelle forme del rito ordinario vi sono problemi di tempestività della pronuncia ex art. 648 c.p.c., che fa riferimento alla prima udienza. Ma la previsione della fissazione della prima udienza almeno dopo 120 giorni, nonché il differimento di tale udienza portano a spostare molto in avanti il provvedimento sulla provvisoria esecuzione che, peraltro, nelle cause documentali, verrebbe a sovrapporsi temporaneamente con i provvedimenti anticipatori.
Si è prospettata la possibilità di un provvedimento da adottare alla scadenza del termine di cui all’art. 166 c.p.c. prima di concedere i termini delle memorie.
La soluzione potrebbe essere l’adozione del rito semplificato. A ben vedere, tuttavia, tale soluzione può convenire all’opponente di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo che ha interesse alla decisione immediata sulla sospensione, non invece nel caso di decreto ingiuntivo privo di provvisoria esecutività, non avendo l’opponente alcun interesse ad anticipare i tempi dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 649 c.p.c.


6. Nuovo rito ordinario e rito semplificato: quale direzione?
Si parla di “riforma richiesta dall’Europa”, dove il processo è tendenzialmente a udienza unica.
Ciò significa che il modello più corrispondente a quello europeo è il rito semplificato, che aspira dunque a diventare il vero rito “ordinario”.
L’eventuale necessità di istruttoria non è di ostacolo al rito semplificato, giacché la necessità di istruttoria non rende per ciò solo complesso il processo, ma ne determina più semplicemente l’allungamento della durata. Ciò vale anche per il processo con pluralità di parti.
Occorre tuttavia pur sempre garantire la ragionevolezza nell’uso dei termini all’interno del rito semplificato e compiere uno sforzo organizzativo, anche utilizzando l’ufficio per il processo.


7. Il processo “unificato” in materia di persone, famiglia e minori.
7.1 Premessa
Il processo di famiglia era un processo modellato sul rito della separazione e del divorzio con una prima parte precontenziosa/degiurisdizionalizzata (secondo alcuni di volontaria giurisdizione), legata alla figura del Presidente del Tribunale che tentava la conciliazione e basata su difese non formalizzate.
Vi era questa prima parte con ricorso e memorie anche sommari, udienza presidenziale anche senza avvocati (che di fatto venivano tuttavia ammessi a partecipare), provvedimenti provvisori e rinvio all’istruttoria. Seguiva la formalizzazione con le memorie integrative; vi erano gli avvisi di legge, le prime decadenze e poi si innestava in sostanza un procedimento ordinario con l’udienza di comparizione innanzi al GI e l’assegnazione dei termini ex art 183 c.p.c.
Questo modello processuale aveva dei punti positivi:
- l’accesso anche molto informale e immediato con i provvedimenti urgenti;
- un lasso di tempo che consentiva nuovo equilibrio del nucleo familiare e magari accordi;
- successiva formalizzazione.
Ma aveva anche evidenti limiti:
- erano necessarie almeno quattro udienze e almeno sette memorie;
- vi era una dilatazione dei tempi che – considerati quelli di fissazione (da 4 fino a 12 mesi per l’udienza presidenziale; poi sei/sette mesi per l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore; quindi 8/12 mesi tra rinvio e assegnazione di mezzi istruttori), portava a trattare il “cuore della causa” dopo almeno un anno e mezzo dal deposito del ricorso;
- era vissuto con crescente fastidio il tempo che occorrente per giungere alla sentenza sullo status (circa un anno dal deposito del ricorso);
- le soluzioni alternative si basavano tutte sull’accordo delle parti.
Vi erano poi una pluralità di riti in materia di famiglia:
- separazione;
- divorzio;
- rito camerale per le modifiche;
- processo ordinario per le azioni di stato;
- rito camerale per l’affido e il mantenimento dei minori nati fuori del matrimonio.
La riforma va salutata positivamente perché si pone due obiettivi condivisibili: abbreviare i tempi in un procedimento che soffriva in effetti di lungaggini; unificare il rito.
Naturalmente non mancheranno problemi ed esigenze di aggiustamenti con riguardo ai punti deboli della disciplina, ma è compito dell’interprete ricostruire un sistema coerente che garantisca i diritti delle persone.
Il vecchio processo era tendenzialmente un processo con due sole parti, oltre al PM, e con un contenuto predeterminato quando riferibile a separazione e divorzio.
Ora il processo prevede – essendo esteso comunque a domande anche molto diverse – una possibile pluralità di parti: il PM, il Curatore speciale del minore, i terzi intervenienti nelle azioni di stato, etc.
Passando ad un esame più specifico della riforma, le principali novità sono le seguenti:
* Il nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie: ai sensi dell’art. 49 d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, le disposizioni relative alla istituzione del nuovo tribunale delle persone, dei minori e delle famiglie e alla soppressione del tribunale per i minorenni, acquisteranno efficacia «decorsi due anni dalla data della pubblicazione» del decreto, cioè dal 17 ottobre 2022, e si applicheranno «ai procedimenti introdotti successivamente a tale data».
* Vi è la riduzione dei molteplici riti minorili ad unico processo sui diritti delle persone, dei minorenni e delle famiglie (erosione della tutela camerale); nel nuovo codice di rito, viene introdotto un nuovo titolo, il IV-bis, Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, suddiviso in quattro differenti capi: il primo capo dedicato alle «Disposizioni generali» (art. 473-bis – 473-bis.10), il secondo capo al «Procedimento» (art. 473-bis.11-39 c.p.c.), quest’ultimo, a sua volta, composto da tre sezioni:
- la prima rubricata «Disposizioni comuni al giudizio di primo grado»;
- la seconda «Dell’appello»;
- la terza «Dell’attuazione dei provvedimenti».
* Il terzo capo è dedicato alle «Disposizioni speciali» (art. 473-bis.40-71 c.p.c.) ed è composto da sette sezioni; ciascuna di esse è volta a regolare distinti procedimenti/fattispecie (su cui v. infra); il quarto capo è rubricato «Dei procedimenti in camera di consiglio» (art. 473-ter c.p.c., norma di rinvio).
* La concentrazione delle tutele in capo ad un unico giudice (novellato art. 38 disp. att. c.c.) e ciò anche nelle ipotesi in cui il provvedimento sulla responsabilità genitoriale sia stato chiesto prima del processo instaurato innanzi al tribunale ordinario, ovvero dal pubblico ministero (non anche dai parenti legittimati ex art. 336 c.c.).
* Gli interventi volti a rafforzare il soggetto minore di età coinvolto dalla controversia familiare su:
1) la rappresentanza legale del minore (e non sulla rappresentanza tecnica);
2) l’istituto dell’ascolto, nel chiaro intento finalizzato a rafforzare la tutela del minore da ascoltare e al riordino del copioso quadro normativo di riferimento;
3) il regime dell’attuazione (che tratteremo in coda in questo ciclo di seminari) dei provvedimenti e il raccordo tra servizi sociali, sanitari e assistenziali (p.a.) e giurisdizione;
4) il ruolo del pubblico ministero nel processo;
5) il nuovo procedimento giurisdizionalizzato secondo il novellato art. 403 c.c. a tutela del minore in stato di abbandono o di pregiudizio.
* Gli interventi volti allargare le maglie della giustizia collaborativa (negoziazione assistita e mediazione familiare).
* Gli interventi volti a rafforzare la tutela dei soggetti vittime di violenza familiare o di genere.
7.2 La disciplina transitoria
Sulla disciplina transitoria occorre ricordare che alcune novità introdotte direttamente con l. 206/2021 (art. 1) sono già entrate in vigore per i procedimenti introdotti dopo il 22 giugno 2022.
Di seguito le più significative:
- modifiche all’art. 403 c.c., recante il procedimento a tutela del minore moralmente o materialmente abbandonato o esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica (27° co.);
- modifiche all’art. 38 disp. att. c.c. in punto di concentrazione delle tutele e rito applicabile (28° co.);
- modifiche all’art. 709-ter c.p.c. che aggiunge al risarcimento del danno anche una misura coercitiva (analoga a quella prevista dall’art. 614-bis c.p.c.) (33° co.); tale norma, abrogata dall’art. 3, 49 co., d.leg. 149/22, viene trasposta, con alcune ulteriori variazioni, nell’art. 473-bis.39 c.p.c.;
- modifiche all’art. 6, d.l. 132/2014, conv. in l. 162/2014, in tema di negoziazione assistita (35° co.);
- modifiche agli artt. 78 e 80 c.p.c., in tema di rappresentanza legale del curatore speciale (rispettivamente introdotte dai commi 30 e 31), con l’inserimento del terzo e quarto comma all’art. 78 e del terzo comma all’art. 80; tali nuove disposizioni sono state abrogate con il d.leg. 149/22 e il relativo contenuto è stato unitamente collocato nel nuovo art. 473-bis.8 c.p.c. (v. infra).
7.3 Il procedimento «unificato» in materia di persone, minorenni e famiglie: l’ambito di applicazione
L’art. 1, 23° co., lett. a), della legge delega 26 novembre 2021, n. 206, ha attribuito al legislatore delegato il compito di «prevedere l’introduzione di nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile, rubricato «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare».
Sennonché, il rito è tutt’altro che unificato: sono sopravvissute forme di tutela giurisdizionale specifiche, e ne sono state previste altre, del tutto nuove.
In applicazione di questo principio e criterio direttivo, l’art. 473-bis c.p.c. ha stabilito che:
a) le disposizioni del titolo IV-bis si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni,
b) salvo che la legge disponga diversamente;
c) con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea;
d) per quanto non disciplinato dal titolo IV-bis, tali procedimenti sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro secondo (primo grado e impugnazioni).
Sono, dunque, regolati dal nuovo rito unificato:
 le controversie relative allo status di coniuge e, quindi, alla impugnazione del matrimonio per violazione degli artt. 84, 86, 87 e 88 c.c., ai sensi dell’art. 117 c.c., alla impugnazione del matrimonio o dell’unione civile per la sussistenza di un precedente vincolo, ai sensi dell’art. 124 c.c., all’azione di annullamento del matrimonio per violenza o per errore, ai sensi dell’art. 122 c.c., all’azione di simulazione del matrimonio, ai sensi dell’art. 123 c.c.;
 le azioni di nullità e annullamento dell’unione civile, ai sensi dell’art. 1, commi 4, 5, 6 e 7 l. 20 maggio 2016, n. 76;
 i procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni, per i quali, tuttavia, come vedremo, sono dettate regole particolari dagli artt. 473-bis.47 ss. c.p.c.;
 le «convivenze di fatto» di cui all’art. 1, commi 36 ss. l. 20 maggio 2016, n. 76, allorché si condivida il dato per il quale la sottoscrizione di un «contratto di convivenza» possa ritenersi attributiva di uno status;
 le controversie relative allo stato di filiazione; in particolare, al reclamo dello stato di figlio, di cui agli artt. 239 e 249 c.c., all’azione di disconoscimento di paternità di cui all’art. 244 c.c., all’azione di contestazione dello stato di figlio di cui all’art. 248 c.c., alla opposizione al rifiuto al riconoscimento, ai sensi dell’art. 250 c.c., novellato dall’art. 1, 3° co., d.leg. 10 ottobre 2022, n. 149, all’inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori di cui all’art. 252 c.c., alla impugnazione del riconoscimento di cui agli artt. 263 ss. c.c., alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità di cui agli artt. 269 ss. c.c.
 i procedimenti relativi «ai minorenni» (art. 473-bis c.p.c.) di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni.
 per esclusione, visto che i procedimenti di adozione dei minori rimangono fuori dal nuovo rito, il nuovo procedimento «unificato» dovrebbe applicarsi anche ai procedimenti in materia di adozione dei maggiorenni e, tuttavia, non sono pochi i problemi di coordinamento con la disciplina (che non è stata modificata) del codice civile di cui al titolo VIII del libro I (artt. 291 ss.), per effetto dei relativi rinvii ai procedimenti in camera di consiglio (cfr., tra gli altri, l’art. 313 c.c., ai sensi del quale «il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni formalità di procedura, provvede con sentenza […]; l’adottante, il pubblico ministero, l’adottando […] possono proporre impugnazione avanti la corte d’appello, che decide in camera di consiglio […]»). Per gli stessi procedimenti, ci si è posti, peraltro, il problema di stabilire chi sarà il giudice competente se il tribunale ordinario o il tribunale delle persone minorenni e famiglie. Nonostante le norme in materia di adozione di cui agli art. 291 ss. non abbiano subito alcuna modifica, parrebbe maggiormente intuitivo considerare la competenza del nuovo tribunale, atteso che si tratta di uno status e il nuovo tribunale è competente per le controversie sullo stato e la capacità delle persone (art. 50.5 ord. giud.).
Con l’entrata in vigore del nuovo Tribunale sarà necessaria una ulteriore opera di coordinamento.
7.4 Le materie e i procedimenti esclusi dal rito unificato e quelli regolati (anche) dalle «disposizioni speciali»
L’art. 473-bis c.p.c. sottrae espressamente all’applicazione del nuovo rito:
 i «procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità […] (e) di adozione di minori di età»;
 i «procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea». I primi sono e restano regolati dalla l. 4 maggio 1983, n. 184. Si tratta, in particolare, del procedimento diretto all’accertamento dello stato di abbandono ed alla dichiarazione dello stato di adottabilità di cui all’art. 10 della legge appena menzionata, di quello diretto all’affidamento preadottivo di cui agli artt. 22 ss., di quello per la dichiarazione di adozione di cui all’art. 25 della stessa legge, di quello per l’adozione internazionale, ai sensi degli artt. 29 ss., e della «adozione in casi particolari» di cui agli artt. 44 ss. Lo svolgimento di questi procedimenti rimane disciplinato dalle norme appena indicate, integrate dalla normativa del procedimento camerale richiamata dagli artt. 10, comma 5, 15, comma 2, 17 comma 1, 21, comma 3, 22, comma 6, 23, comma 1, 24, 25, comma 1, 51, comma 4, 52, comma 3, l. 4 maggio 1983, n. 184. Tutte queste disposizioni stabiliscono che il giudice «provvede» o «decide» «in camera di consiglio» e, quindi, rinviano alla disciplina generale dei procedimenti camerali di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.
I secondi sono e restano regolati dal d.l. 17 febbraio 2017, n. 23, conv. in l. 13 aprile 2017, n. 46, dalla l. 7 aprile 2017, n. 47, nonché dal d.leg. 1° settembre 2011, n. 150.Sempre l’art. 473-bis c.p.c. esclude dalla applicazione del nuovo rito i procedimenti per i quali la legge ha disposto «diversamente».
Limitando ora l’indagine all’operato della riforma:
 ai sensi dell’art. 473-ter c.p.c. (Titolo IV-bis, Capo IV, Dei procedimenti in camera di consiglio), sono sottratti all’applicazione del nuovo procedimento «unificato» e rinviati alle regole proprie della tutela camerale, «provvedimenti di cui agli articoli 102, 171, 262, 316 e 371 del codice civile, agli articoli 25 e seguenti del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, agli articoli 18, 19 e 19-bis della legge 18 agosto 2015, n. 142, nonché i decreti del giudice tutelare (essi, «ove non sia diversamente stabilito, sono pronunciati in camera di consiglio e sono immediatamente esecutivi»); sennonché alcune fattispecie elencate nell’art. 473-ter c.p.c. riguardano provvedimenti autorizzativi, la pronuncia dei quali non presuppone una controversia, ma altre come, l’opposizione al matrimonio di cui all’art. 102 c.c., i provvedimenti relativi alla cessazione del fondo patrimoniale di cui all’art. 171 c.c., quelli sulla attribuzione del cognome del figlio di cui all’art. 262 c.c., quelli per la risoluzione di questioni «di particolare importanza» relativi alla gestione dei rapporti familiari ex 316 c.c., concernono conflitti su diritti;
 il procedimento ex art. 403 c.c. a tutela dei minori esposti a grave pregiudizio: all’intervento della pubblica autorità «quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica e vi è dunque emergenza di provvedere», segue un procedimento ad hoc presso il tribunale per i minorenni per il tramite del pubblico ministero ai fini della convalida del provvedimento di collocamento o per l’emanazione provvedimenti ex art. 330 c.c. […].
Il capo III dello stesso titolo IV bis recante le Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, detta delle «disposizioni speciali» per alcuni procedimenti e/o fattispecie su persone, minorenni e famiglie.
Ed infatti:
 nell’ambito delle controversie caratterizzate dalla presenza di abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere, la riforma riserva alcuni accorgimenti particolari, stabilendo
che, in tali casi, debbano essere assicurati adeguate misure di salvaguardia e protezione e specifici adattamenti processuali (sezione I, art. 473-bis.40-46);
 «disposizioni speciali» sono state dettate dagli artt. 473-bis.47-50 c.p.c. (sezione II) per i procedimenti di separazione, divorzio, scioglimento dell’unione civile, regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni (Competenza, produzioni documentali, cumulo di domande di separazione e divorzio);
 l’art. 473-bis.51 c.p.c. (sezione II), per la domanda congiunta di separazione, di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, ovvero per i casi nei quali la modificazione dello status non presuppone una controversia (ricorso al tribunale di residenza o domicilio dell’una o dell’altra parte – udienza, che può essere sostituita con note scritte, ma le parti devono dichiararlo nel ricorso – rimessione della causa in decisione – sentenza di omologa), introduce diverse regole modellate sul procedimento di cui all’art. 711 c.p.c. Per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il legislatore, ha disposto che, in caso di domanda congiunta, «il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti (soltanto) quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte (art. 473-bis.51, 5° co., c.p.c.);
 ai procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno è dedicata la sezione III del capo III. Il capo II del codice di rito dedicato ai procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno è stato abrogato dall’art. 3, 49 co., d.leg. 149/2022; le nuove norme costituiscono in parte, con i dovuti coordinamenti con il nuovo rito, la riproduzione delle disposizioni abrogate; invece, le norme del codice civile contenute nei capi I e II ad essi relative sopravvivono, salvo alcune modifiche all’art. 411 c.c. e all’art. 425 c.c.
Gli artt. 473-bis.52-55 c.p.c. sono dedicati al primo grado del procedimento di interdizione e di inabilitazione. L’art. 473-bis.52 c.p.c. riproduce il contenuto dell’abrogato art. 712 c.p.c., con la sostituzione delle previsioni relative ai requisiti di forma-contenuto della domanda, coordinate con le norme generali sul nuovo rito unitario; l’art. 473-bis.53 c.p.c., nel riprodurre il contenuto dell’art. 713 c.p.c., in adeguamento alla struttura del nuovo rito, prevede che il presidente nomini il giudice relatore e fissi l’udienza di comparizione (davanti a questo) del ricorrente, dell’interdicendo o dell’inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili. Come già era previsto (art. 713, 2° co.), il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate e il decreto è anche comunicato al p.m. L’articolo 473-bis.54 c.p.c. sostituisce gli articoli 714 e 715 c.p.c., prevedendo che «all’udienza il giudice relatore, con l’intervento del p.m., procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell’art. 419 c.c. L’udienza per l’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando si svolge di regola in presenza». Nei casi in cui specifiche esigenze di protezione lo richiedano e in cui «l’interdicendo o l’inabilitando non può quindi comparire per legittimo impedimento o la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio, è peraltro stabilito che il giudice, con l’intervento del pubblico ministero», possa non soltanto recarsi per sentirlo nel luogo in cui si trova, ma altresì, valutata ogni circostanza, disporre «che l’udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, individuando le modalità idonee ad assicurare l’assenza di condizionamenti». L’art. 473-bis.55 c.p.c. riproduce il contenuto degli artt. 716 e 717 c.p.c., con sostituzione della formula «giudice istruttore» con «giudice relatore». L’art. 473-bis.56 è dedicato all’impugnazione (che riproduce il contenuto degli abrogati artt. 718 e 719 c.p.c.) e l’art. 473-bis.57 alla revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione (che riproduce il contenuto dell’abrogato art. 720 c.p.c.); oltre al rinvio alle disposizioni della sezione III, in quanto compatibili, l’art. 473-bis.58 detta alcune disposizioni speciali per il procedimento in materia di amministrazione di sostegno (v. il reclamo al tribunale
contro i decreti del giudice tutelare – deroga al rito unificato - ai sensi dell’art. 739 c.p.c. e il ricorso per cassazione contro il decreto del tribunale in composizione collegiale; disposizioni che erano riportate nell’abrogato art. 720-bis, 2°-3° co., c.p.c.), che integrano la disciplina contenuta nel codice civile ai sensi degli art. 404 ss. c.c.
Ai procedimenti di assenza e per la dichiarazione di morte presunta sono dedicati gli artt. 473-bis.59-66, c.p.c. (sezione IV, capo III). Per esigenze di coordinamento (art. 1, 23° co., lett. a, ultima parte, della l. n. 206 del 2021), anche tali norme, contenute nel libro IV del codice di rito (art. 721-729 c.p.c.) sono state trasposte all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario. Rimane, dunque, il rinvio alla disciplina del procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.
Le disposizioni relative a minori interdetti e inabilitati (artt. 473-bis.64-66 c.p.c., sezione V, Capo III) riproducono gli abrogati artt. 732-734 c.p.c.; giurisdizione non contenziosa, rinvio al camerale.
Le disposizioni per i rapporti patrimoniali tra coniugi, relative alla sostituzione dell’amministratore del patrimonio familiare e al procedimento (artt. 473-bis.67-68, sezione VI, capo III), riproducono gli abrogati artt. 735-736 c.p.c.); giurisdizione non contenziosa, rinvio al camerale.
Gli art. 473.bis.69-71 ss., sezione VII, riproducono, con alcune lievi modifiche, quanto stabilito dagli artt. 342-bis e ter c.c. e 736-bis c.p.c. per i procedimenti diretti ad emanare gli ordini di protezione contro gli abusi familiari: «quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice (sia t.o. che t.p.m.), su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.70 c.p.c.».
È fatto rinvio per quanto non previsto ai procedimenti in camera di consiglio. Va, tuttavia, rilevato che, benché l’art. 473-bis.69 c.p.c. costituisca la riproduzione dell’art. 342-bis c.c. (salvo l’inciso finale del comma primo della nuova norma che, risolvendo un profilo applicativo della disposizione del codice civile, ammette l’adozione dei provvedimenti anche quando la convivenza tra autore dell’illecito e vittima è cessata e il secondo comma, introdotto a fini di coordinamento con la competenza attribuita al tribunale per i minorenni, ai sensi degli artt. 333 c.c. e 38 disp. att. c.c.) e l’art. 473-bis.70 c.p.c. riproduca, con lievi variazioni letterali, l’art. 342-ter c.c. (limitandosi ad eliminare in coerenza con l’art. 48 della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa in data 11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con l. 27 giugno 2013, n. 77, la possibilità per il giudice di disporre l’intervento di un centro di mediazione familiare), le norme “trasposte” contenute nel codice civile non risultano correlativamente abrogate, creando, allo stato un utile (forse si voleva dire: “inutile”) “doppione” per il quale il legislatore sarà chiamato a porre rimedio.
Occorre considerare che, per un verso, quest’ultimo non è l’unico modello processuale in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie; esso infatti convive con altre forme processuali, per un altro (e poiché l’art. 473-bis, 2° co, c.p.c. stabilisce che «per quanto non disciplinato dal presente titolo, i procedimenti di cui al primo comma sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro II») rinvia alla disciplina generale del processo davanti al tribunale di cui agli artt. 163 ss. c.p.c., nonché a quella delle impugnazioni di cui agli artt. 323 ss. c.p.c.
7.5 Il giudice competente e la composizione dell’organo giudicante
Là dove il procedimento non coinvolga minori (o maggiorenni portatori di handicap grave, ai sensi dell’art. 337-septies, 2° co., c.c. e ora anche ai sensi dell’art. 473-bis.9 c.p.c.), operano i criteri ordinari sulla competenza territoriale di cui agli artt. 18 e ss. c.p.c. (ove non derogate da quanto previsto dalla sezione II del capo III del titolo IV-bis).
Le deroghe.
Per le domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni, è competente il tribunale del luogo della residenza abituale del minore che corrisponde al luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda (art. 473-bis.11 c.p.c. rubricato ‘Competenza per territorio’. Al fine di evitare la tecnica del forum shopping, la medesima disposizione ha altresì disposto che, «se vi è stato trasferimento del minore non autorizzato e non è decorso un anno, è competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento».2) In mancanza di figli minori, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. In caso di irreperibilità o residenza all’estero del convenuto, è competente il tribunale del luogo di residenza dell’attore o, nel caso in cui l’attore sia residente all’estero, qualunque tribunale della Repubblica» (art. 473-bis.47 c.p.c.).
Ai sensi dell’art. 473-bis.1 c.p.c. (Composizione dell’organo giudicante), «salvo che la legge disponga diversamente, il tribunale giudica in composizione collegiale e la trattazione e l’istruzione possono essere delegate a uno dei componenti del collegio». La regola opera vuoi per il tribunale ordinario, vuoi per il tribunale per i minorenni. Per quest’ultimo, con specifico riferimento ai procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale, il secondo comma aggiunge che «possono essere delegati ai giudici onorari specifici adempimenti ad eccezione dell’ascolto del minore, dell’assunzione delle testimonianze e degli altri atti riservati al giudice». «La prima udienza, l’udienza di rimessione della causa in decisione e le udienze all’esito delle quali sono assunti provvedimenti temporanei sono tenute davanti al collegio o al giudice relatore» (2° co.).
Inoltre, per l’attuazione dei provvedimenti di affidamento dei minori e per «la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale», è competente il giudice del procedimento in corso che provvede in composizione monocratica (art. 473-bis.38 c.p.c.).
Peraltro, lo stesso decreto ha previsto che, ferma restando la collegialità per le sezioni distrettuali, le sezioni circondariali del nuovo tribunale delle persone, minorenni e famiglie giudichino in composizione monocratica (art. 50.4 o.g., aggiunto dall’art. 30, 1° co, lett. d), d.leg. 149/2022). Anche su questo punto non resta che attendere le norme di coordinamento che il Governo è delegato ad emanare; infatti, il nuovo rito potrà regolare i procedimenti di competenza delle sezioni circondariali soltanto con i dovuti adattamenti.
7.6 Il regime delle preclusioni a doppio binario e i poteri del giudice
Il nuovo procedimento è un rito speciale a cognizione piena ed esauriente, caratterizzato da forme, termini e poteri delle parti e del giudice predeterminati dallo stesso legislatore (notevole passo in avanti rispetto agli abusi della tutela camerale che presidiava sino ad oggi il contenzioso familiare).
Il regime delle preclusioni è stato definito «a geometria variabile» (a seconda della natura disponibile o no dell’oggetto della controversia).
Le preclusioni operano solo per le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, dato notoriamente fluido e foriero di numerosi equivoci interpretativi.
In presenza di figli minori, il problema è destinato a risolversi in radice perché la materia del contendere s

24/01/2023

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Settimo Seminario

"La riforma della giustizia civile"

SETTIMO SEMINARIO, 22 giugno 2023 ore 15:30


La giustizia complementare.