
Speciale
XIX Congresso Nazionale di Md
Vorrei parlare, in questo intervento, di egemonia e contaminazione. E di rapporto con il potere.
MD, lo hanno detto in tanti in questo Congresso, ha svolto nel passato un ruolo di “egemonia culturale” e ha “contaminato” culturalmente l’intera magistratura.
Alcune idee-forza di MD, il rapporto tra giudice e Costituzione, il carattere diffuso del potere giudiziario, l’indipendenza interna, la cultura tabellare, sono oggi patrimonio comune della gran parte della magistratura italiana. E gli interventi di oggi del Primo Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, e del Presidente della ANM, Rodolfo Sabelli, ne sono, in qualche modo , una plastica e visibile dimostrazione.
Questa contaminazione di tutta la magistratura è certamente un successo di Magistratura Democratica, ma, allo stesso tempo, è un fattore di indebolimento della sua forza propulsiva. Nella misura in cui quelle idee- forza sono diventate patrimonio comune di gran parte dei magistrati, MD ha perso la sua specificità, la sua diversità. E anche il suo appeal. Per alcuni anni abbiamo vissuto di rendita, ma ormai, temo, il bonus tende ad esaurirsi.
Ed è questo, oggi, il problema di MD: la capacità di proporre idee forti sulla giurisdizione, progetti di cambiamento della realtà che siano adeguati al tempo presente, la capacità di ritagliarsi un nuovo e moderno ruolo di “rottura” dall’interno della corporazione, che risponda ai mutati problemi e bisogni della magistratura di oggi.
E, invece, dobbiamo dircelo con franchezza, la scelta del gruppo negli ultimi anni è stata quella del ripiegamento. Un gruppo nato in anni in cui uno degli slogan era “vogliamo tutto”, in cui il cambiamento della società, dei costumi, dei valori, dei rapporti tra persone, delle relazioni industriali era la forza propulsiva dei movimenti culturali e politici, ha scelto la linea della “resistenza” e quindi, in definitiva, una linea di conservazione.
E allora il problema non è AREA, come non era ANM qualche anno fa, che impedirebbero a MD di far sentire la sua voce. Il problema è che la voce di MD è debole e scarsamente incisiva. Su temi come il carcere, il diritto penale, il diritto del lavoro, la magistratura onoraria MD continua a ripetere cose che potevano andare bene dieci o venti anni fa, ma che poco hanno a che vedere con la realtà attuale.
Solo su un terreno il gruppo è riuscito negli ultimi anni a svolgere un ruolo di egemonia culturale e di traino, ed è quello della legislazione europea e sovra-nazionale, campo nel quale ha dimostrato una formidabile capacità di fare cultura, di aggregare, di coinvolgere colleghi, di fare giurisprudenza. Questa deve essere la nostra prospettiva più forte, anche perché è in Europa che oggi si gioca la sfida per il diritto e per i diritti. Il gruppo deve fare lo sforzo di porre al centro della sua iniziativa politica l’elaborazione del gruppo Europa; ma ai colleghi di quel gruppo mi sento umilmente di chiedere uno sforzo di avvicinamento al gruppo; abbiamo bisogno, almeno io ne ho bisogno, di un percorso di alfabetizzazione sul tema dell’Europa. Troppo spesso, infatti, si ha l’impressione che il dibattito sia chiuso all’interno di un circuito di esperti, titolari della conoscenza di alcuni arcani, ai quali noi, spesso travolti dai fascicoli abbiamo difficoltà ad accedere.
Dunque il problema non è AREA, il problema siamo noi. E ogni tentativo di imbrigliare la discussione su AREA in astratti distinguo organicisti è un modo di rimuovere il problema. AREA è una realtà, ed è anche una ricchezza della magistratura italiana. Noi non dobbiamo aver paura del fatto che le persone vogliano riunirsi e parlare di temi che riguardano la giurisdizione. E non deve essere una preoccupazione il fatto che vogliano farlo sotto una etichetta piuttosto che un’altra.
Noi abbiamo il dovere di contribuire a questo percorso, dobbiamo far crescere AREA e dobbiamo crescere noi dentro AREA, cominciando a capire che anche gli altri possono insegnarci qualcosa e che è finito, se mai c’è stato, il tempo in cui eravamo noi a spiegare agli altri cosa dovevano fare e pensare.
Le questioni organizzative, dicevo, mi appassionano poco e sono un modo per spostare la discussione. Solo su un punto, però, credo vi sia il bisogno di dotarsi di una struttura, anche se minima e leggera. Noi abbiamo eletto un gruppo unitario al CSM e abbiamo fatto una lista unitaria per l’ANM. Ma non abbiamo un luogo nel quale la rappresentanza possa confrontarsi con i propri elettori. Questa rottura del rapporto tra rappresentanti e rappresentati costituisce, a mio avviso, un deficit democratico. Non penso certamente a modelli nei quali la dirigenza dei gruppi detti la linea agli eletti nelle istituzioni o nella associazione, ma sento il bisogno di un luogo di confronto nel quale gli elettori possano contribuire, insieme agli eletti, alla elaborazione delle linee politiche nei luoghi della rappresentanza, ferma restando ovviamente l’autonomia degli eletti.
La linea della resistenza e del ripiegamento ha inoltre provocato una forte attenuazione della nostra capacità critica sui modi di esercizio della giurisdizione. Il richiamo forte di Luigi Ferrajoli ai valori del garantismo e della deontologia professionale, proprio perché duro, specifico e per nulla rituale, non consente più alcuna ipocrisia sul punto. Ma io credo che su questo terreno vi sia qualcosa di più di una riduzione della capacità di attenzione critica, in quanto temo che il giustizialismo, in uno con il massimalismo ideologico che secondo me non a caso si sono incontrati nel partito dei pubblici ministeri evocato da Ferrajoli, sia parte del patrimonio genetico di Magistratura Democratica, con il quale noi non abbiamo finora avuto la forza e il coraggio di fare i conti fino in fondo.
Ma la contaminazione non è mai unilaterale. La crescita di consensi per Magistratura Democratica ha costretto il gruppo anche a confrontarsi con il difficile e pericoloso tema del rapporto con il potere. Quando l’eresia si fa vangelo, gli eretici diventano chierici, alcuni addirittura cardinali. Da gruppo di minoranza e di rottura MD è oggi parte rilevante del governo della magistratura e ne condivide, purtroppo, anche i vizi. Ciò ha coinciso, peraltro, con un cambiamento profondo nel sentire della magistratura. Riforme importanti e condivise in materia di ordinamento giudiziario, come le valutazioni di professionalità, la temporaneità degli incarichi direttivi, l’abolizione del criterio dell’anzianità, hanno alimentato una cultura della “carriera” pericolosa e controproducente. In più, condizioni di lavoro sempre più difficili e pesanti negli uffici, un uso del disciplinare a volte occhiuto e poco consapevole delle difficoltà di lavoro dei magistrati, hanno creato una paura dei magistrati nei confronti dell’autogoverno, e la ricerca di un rifugio nella involuzione burocratica, nel ripiegamento corporativo, nella protezione delle correnti.
Noi abbiamo il dovere di contrastare questa deriva, ritrovando la capacità, come diceva Ezia Maccora, di una nuova “rottura”. Ma per farlo dobbiamo partire da una forte e salutare autocritica. Senza demonizzazione e autoflagellazioni, ma anche senza ipocrisie. Hanno ragione Marcello Matera e Nicola Di Grazia quando dicono che il qualunquismo è oggi il pericolo più grave per la magistratura e per l’associazionismo, ma noi dobbiamo essere consapevoli del fatto che un cattivo governo del potere è la principale linfa che alimenta il qualunquismo.
Abbiamo bisogno di segni, tangibili ed evidenti, di rottura rispetto alla situazione attuale.
Luigi Ferrajoli è stato accusato da alcuni di essere stato troppo diretto, troppo specifico, in definitiva troppo chiaro; come se i filosofi andassero bene quando “volano alto”, evocano principi adattabili a qualunque circostanza, ma non si occupano della realtà. Evidentemente costoro non comprendono la passione civile che ha sempre animato gli studi e le riflessioni di Luigi.
Anche io, su questo punto, non intendo limitarmi a generiche deplorazioni o a vaghi auspici.
Non è tollerabile che magistrati di MD o di AREA che concorrono per posti direttivi o semidirettivi facciano il giro delle stanze del CSM, sia presso i consiglieri di AREA che presso quelli di altri gruppi. Non è tollerabile, ma purtroppo accade.
Non è tollerabile che la percentuale di magistrati che passano dall’ufficio studi e dalla segreteria del CSM all’ufficio del massimario, e poi alla Corte di cassazione, sia così alta da rendere impossibile replicare alle accuse di spartizione tra correnti e di costruzione di carriere parallele. E non è accettabile che la delicata funzione nomofilattica sia affidata a magistrati che sono stati tantissimi anni lontani dagli uffici di merito.
Infine, non è accettabile che magistrati professionalmente squalificati accedano a posti direttivi e semidirettivi. E, purtroppo, dobbiamo ammettere che questo accade; e riguarda anche magistrati che si riconoscono in AREA.
Questa è la sfida di MD e su questo si misurerà la capacità di AREA di essere davvero un fattore di rinnovamento della magistratura.
L’alternativa è quella di ritrovarsi ogni due anni a ripetere uno stanco e nostalgico rituale, ogni volta un po’ più vecchi e un po’ più disillusi.
Giuseppe Cascini
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