L'intervento di Mariarosaria Guglielmi

Speciale XXI Congresso

L'intervento di Mariarosaria Guglielmi

di Esecutivo di Magistratura Democratica

1.Le ragioni di un congresso straordinario.

La decisione di celebrare un congresso straordinario è segno della difficile stagione che sta vivendo Magistratura Democratica.

Una scelta obbligata poiché siamo consapevoli che, per un gruppo che ha nel suo codice genetico l’apertura al punto di vista esterno e la partecipazione attiva al dibattito politico e culturale nel paese e nella magistratura, nessuna forma di sopravvivenza è possibile negli orizzonti troppo ristretti nei quali da tempo ci siamo confinati per l’assenza di prospettive chiare sulla direzione da prendere e i dubbi sull’attualità del nostro progetto.

Ma anche una scelta coraggiosa: non vogliamo assecondare gli eventi e rassegnarci all’idea di un futuro di ineluttabile declino.

E una sfida a ritrovare quella capacità di “protagonismo” culturale e politico che ha fatto del nostro gruppo una forza di cambiamento democratico nella magistratura e nel paese.

Come molti ho atteso il congresso sperando di trovare -nel confronto con le ragioni di tutti- le risposte alle domande che da tempo ci tormentano, e all’interrogativo che tutte le riassume: qual è oggi il “senso” di Magistratura Democratica?

E’ un “senso” ancora forte e riconoscibile in un contesto nel quale abbiamo perso molti punti di riferimento e smarrito tante certezze?

Ci riconosciamo ancora in questo “senso”? Crediamo che possa continuare a ispirare il nostro impegno per la difesa del progetto di democrazia disegnato dalla nostra Costituzione e ad alimentare quella “tensione” della giurisdizione verso scelte di valore, dalla parte dei diritti e delle garanzie, che Magistratura Democratica ha saputo nella sua storia inverare e promuovere?

Pensiamo che questo “senso” sia una ragione sufficiente per far vivere ancora Magistratura Democratica così come è nata? Con una soggettività piena, che si esprime in ogni sede, in ogni luogo di confronto interno alla magistratura, e nella dimensione esterna alla quale Magistratura Democratica ha sempre indissolubilmente legato la visione e il ruolo della giurisdizione?

Ho partecipato ai lavori e al dibattito di questi giorni e oggi sono certa che il congresso saprà dare a queste domande risposte convinte e convincenti, e che la nostra aspettativa non sarà delusa.

Ma noi non dovremo né potremo sentirci appagati: nel senso “ritrovato” di Magistratura Democratica dobbiamo riscoprire lo spirito inquieto che l’ha sempre animata, l’importanza di essere in Magistratura Democratica come si può essere in tutti i luoghi “scomodi” di pensiero critico, la consapevolezza che l’appartenenza a Magistratura Democratica non ci rassicura ma ci chiama continuamente in causa come cittadini e come magistrati,  e che – oggi come in passato- questa scelta di appartenenza ci rende partecipi di aspirazioni di fondo attuali e ancora insoddisfatte.

2. Il senso “ritrovato”di Magistratura Democratica e l’attualità del suo progetto.

2.1 Nella giurisdizione.    

E’ insoddisfatta e più che mai attuale l’aspirazione che da sempre fa parte del “senso” e del progetto di Magistratura Democratica: la realizzazione dell’ambizioso disegno di emancipazione che la Costituzione ha costruito sul primato dell’eguaglianza.

Un disegno incompiuto, in parte rivisto e superato da riforme attuate in nome delle esigenze di sviluppo  e di competitività, e avversato da un profonda crisi economica e sociale che colpisce i soggetti più deboli e ha creato nuove povertà e nuovi perdenti.

In questo contesto, il ruolo affidato alla giurisdizione nella promozione dei valori di eguaglianza e nella tutela dei diritti rischia di essere percepito come un fattore “antagonista” e di destabilizzazione rispetto alla tenuta di scelte politiche ed economiche e quel che si va affermando è l’idea di una giurisdizione “compatibile” con la riduzione e l’esclusione  delle tutele,  confinata in più ristretti ambiti interpretativi che ne limitano la capacità di intervento o mirano a graduarla secondo un ordine di priorità diverso dalla scala dei valori della nostra Costituzione.

D’altra parte, la tenuta del ruolo della giurisdizione -nella promozione dell’eguaglianza e pari dignità delle persone, nella tutela effettivi dei diritti e nella risposta ai bisogni fondamentali che avanzano con un’immigrazione di dimensioni epocali -deve sempre più misurarsi con il modo nel quale noi oggi rendiamo concretamente giustizia, con l’insufficiente qualità e tempestività della risposta giudiziaria, e con le scelte di priorità che si compiono nell’ organizzazione del lavoro e degli uffici e che rispetto ai valori non sono neutre.

Un gruppo come Magistratura Democratica che vuole ritrovare il suo “senso”non può non interrogarsi e cercare risposte a tutte le domande che questo difficile contesto pone alla giurisdizione: quanto la giurisdizione rischia di diventare, strutturalmente ma anche nelle prassi, nelle sue linee generali di intervento ma anche nell’amministrazione quotidiana che se ne fa nelle aule di giustizia, “funzionale” ad un sistema di disuguaglianze? Quanto nella trattazione degli affari noi riusciamo ad essere coerenti con il rigore dei principi declamati?

Un gruppo come Magistratura Democratica deve interrogarsi sui rischi di una forte deviazione del diritto penale verso le finalità della prevenzione, che mette in discussione il nostro modello di giurisdizione e l’idea stessa che la giurisdizione sia garanzia e terzietà.

Un gruppo come Magistratura Democratica deve interrogarsi su quanto noi stessi stiamo assecondando la trasformazione in “luogo di disuguaglianze” della giurisdizione penale, che dà prova tutti i giorni nelle aule di giustizia di una capacità differenziata di risposta all’illegalità, e genera la percezione di una giustizia sempre più forte per i deboli e sempre troppo debole per i forti.

Dobbiamo allora ritrovare il nostro “senso” nell’ impegno per una giurisdizione che sia all’altezza del compito difficile che oggi le spetta: affiancando alla riflessione sul ruolo, sui limiti e sui contenuti della giurisdizione, un’analisi critica sulla tenuta dei principi rispetto alle prassi e alle decisioni, e sulle nostre carenze e responsabilità rispetto alla trasparenza e all’efficienza del servizio che rendiamo alla collettività.

Riscopriamo in questo impegno le nostre aspettative insoddisfatte, e facciamolo con la consapevolezza che si tratta di ambizioni e non di utopie, che questo impegno è sempre stato parte del “senso profondo” di Magistratura Democratica e che in nome di questa ambizione possiamo continuare a essere promotori di un cambiamento culturale che deve riguardarci come magistrati e come cittadini.

E a noi, come magistrati e come cittadini, testimoni oggi del ritorno di alcuni spettri del passato e dei loro simboli, spetta – nonostante tutto- tener viva la nostra ambizione per un’Europa dei diritti e dello Stato di diritto: un’ambizione  che è alla base del progetto visionario che ha ispirato la nascita di MEDEL e dell’impegno di Magistratura Democratica in MEDEL , sin dalla sua fondazione, e nel gruppo Europa.

La giurisdizione ha contribuito a fare dell’Europa la nostra “comunità di destino”: difronte alle divisioni che oggi l’attraversano, alla fragilità delle sue istituzioni e delle sue democrazie, alla ferita profonda inferta al progetto di una Europa unita dai valori universali dall’incapacità di una politica dell’accoglienza all’altezza di questi valori, il nostro compito, il nostro dovere di cittadini e magistrati progressisti è l’ “ostinazione”: l’ostinazione nel perseguire la costruzione di una forte identità  europea fondata sul primato dei diritti, dei principi di solidarietà ed eguaglianza,  e sul rispetto dello Stato di diritto.

2.2 Nella magistratura e nell’autogoverno.

Se vogliamo riscoprirci ambiziosi, dobbiamo essere coraggiosi.  E capire perché da queste ambizioni rischiamo di allontanarci, anche per aver noi stessi subito e assecondato in questi anni il profondo cambiamento culturale della magistratura verso forme di neocorporativismo.

Non è stato un errore accettare il compromesso rappresentato dalla riforma dell’ordinamento giudiziario; è stata una sfida importante quella lanciata dalla magistratura con il progetto di autoriforma; è stata una stagione  di effettivo e positivo cambiamento quella che l’autogoverno ha avviato con il rinnovamento della dirigenza e con l’impegno a dare contenuti ed effettività alle valutazioni di professionalità.

Ma questo percorso si è arrestato: nel nuovo ordinamento la magistratura ha sviluppato nuove dinamiche di carrierismo e riprodotto vecchie logiche corporative, assecondate dall’autogoverno che ha depotenziato le possibili leve per contrastare il principio della “carriera intangibile”, come le conferme e le valutazioni quadriennali.

Nell’autogoverno e come magistratura associata navighiamo a vista, senza un forte progetto di cambiamento che sappia riportare in primo piano l’interesse a creare le condizioni per l’efficienza e per la qualità della giurisdizione e l’attenzione alla professionalità non quale presupposto per lo sviluppo della carriera ma in quanto base di legittimazione dell’intervento giudiziario, che richiede un magistrato non solo preparato ma consapevole fino in fondo del suo ruolo, non autoreferenziale, capace di provvedimenti coraggiosi ma attento ai limiti della sua funzione, responsabile delle sue decisioni e disponibile a renderne conto alla collettività.

In questo contesto, un gruppo come Magistratura Democratica deve tornare a fare esercizio della sua capacità di critica e di autocritica: l’una e l’altra sono parte del suo “senso” e anche per questa capacità Magistratura Democratica è stata nella sua storia una presenza viva e culturalmente egemone nell’esperienza associativa e nell’autogoverno.

Un gruppo come Magistratura Democratica deve interrogarsi sul pericoloso cambiamento del modello di magistratura che si intravede nel rapporto di vicinanza con la politica, o per meglio dire con il potere politico: una magistratura che, se da un lato si vuole indifferente e “neutrale” rispetto alle scelte di campo che compie il legislatore e in questo senso del tutto “apolitica”, dall’altro alla politica rischia di essere subalterna e contigua, accettando interferenze oblique anche sulle prerogative dell’autogoverno e sulle carriere individuali.

Se questo è il nostro presente, il “senso” di Magistratura Democratica è più che mai forte e necessario: tornare ad essere una forza di rottura nella “corporazione” e rimettere in campo un modello di magistrato alternativo a quello funzionariale e burocratico che si va riproponendo con forza e rischia di diventare predominante anche nella magistratura più giovane per effetto del conformismo indotto dalle valutazioni quadriennali, dalle difficili condizioni di lavoro, dal rischio rappresentato dagli automatismi della responsabilità disciplinare e di quella civile.

3. Il senso di Magistratura Democratica e Area.

Ho già scritto tempo fa che considero un grave errore di metodo aver pensato che si possa dare voce ad Area togliendola a Magistratura Democratica.

E’ stato un grave errore per Magistratura Democratica interpretare la delimitazione di competenze su autogoverno e associazionismo deliberata al congresso di Reggio come una consegna del silenzio.

Ritengo che sia indispensabile per Area e per la magistratura intera che Magistratura Democratica riprenda a dare il suo apporto di critica e di riflessione anche in queste sedi ed è condizione di sopravvivenza e di sviluppo per Magistratura Democratica la prospettiva di poter in tal modo contribuire all’affermazione di un modello condiviso di magistratura aperta, attenta alle sue prerogative di indipendenza  esterna e interna e alla qualità della giurisdizione,  e a ritrovare su questo modello una linea comune e di alto profilo di governo della magistratura.

Considero l’acquisizione da parte di Area di un’autonoma soggettività politica un cambiamento strutturale importante ma anche di semplificazione per l’interlocuzione di Magistratura Democratica in Area e con Area.

E penso che il miglior modo di contribuire alla crescita di un progetto di aggregazione della magistratura progressista, che abbiamo sin qui concorso in modo decisivo a realizzare, sia per Magistratura Democratica portare in Area le sue idee e la sua voce critica, senza pretese di egemonia ma senza rinunce alla propria specificità.

Non siamo né vogliamo essere “noi i pochi”, i pochi eletti, “noi i pochi felici” ma parte integrante della società e della magistratura di questo paese.

Siamo sempre stati un gruppo di minoranza ma non abbiamo mai avuto una vocazione “minoritaria” né pretese elitarie.

Non ci basta la testimonianza ma operiamo per una crescita collettiva della magistratura e della società.

Questo - come ha scritto Nello Rossi - ha consentito a Magistratura Democratica di non rimanere confinata al rango di eresia e di diventare “riforma”.

Questa è la grande sfida che ci aspetta: ritrovata la traccia del nostro “senso”, tornare ad essere nella magistratura e nel paese, per noi stessi e per tutti i nostri compagni di strada una forza di cambiamento.

Bologna, 5 novembre 2016

14/11/2016

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