Sulla mozione del CDC relativa ai criteri di nomina per gli incarichi semidirettivi

ANM e riforme in cantiere

Sulla mozione del CDC relativa ai criteri di nomina per gli incarichi semidirettivi

Competenze organizzative e attitudini direttive devono restare, per il governo autonomo, i principali parametri sulla cui base orientare la scelta di quanti saranno chiamati a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi. Occorre tuttavia rendere questi incarichi effettivamente temporanei, con successivo ritorno alle funzioni ordinarie, per un periodo di tempo non simbolico. Una misura, questa, che potrà contribuire a produrre, nel corpo della magistratura, quel cambiamento culturale e di costume deontologico divenuto, oggi, quanto mai necessario: restituire al quotidiano esercizio delle funzioni giudiziarie quella centralità e quella nobiltà che la Costituzione loro assegna.

Magistratura democratica prende atto con soddisfazione della mozione sui criteri di nomina per gli incarichi semidirettivi, approvata dal CDC dell’ANM nel corso della seduta del 7 novembre 2021. Con essa, l’ANM ribadisce la centralità delle attitudini e delle competenze organizzative nell’individuazione delle persone chiamate ad esercitare funzioni semi-direttive, in una prospettiva necessariamente orientata al miglioramento del servizio che la giustizia offre ai consociati.

Magistratura democratica condivide altresì l’auspicio formulato dall’ANM e rivolto al legislatore in merito alla necessità di determinare i parametri di valutazione in modo che la ineliminabile discrezionalità del Consiglio superiore possa essere esercitata in modo autenticamente trasparente (e, dunque, concretamente controllabile): tanto nel momento in cui è chiamato a selezionare il magistrato cui attribuire responsabilità organizzative e quanto nel momento in cui è chiamato a valutare – all’esito del primo quadriennio – se questi debba o meno essere confermato nell’esercizio di quelle funzioni. Come risulta condivisibile l’invito – rivolto al legislatore – a «rivalutare la congruità del numero dei semidirettivi in un’ottica di migliore efficienza del servizio giustizia» (in alcune realtà territoriali non coerenti con le reali necessità organizzative) e ad introdurre la previsione «che coloro che ricoprono incarichi semidirettivi non possano presentare domanda per altro incarico semidirettivo almeno prima di aver completato il periodo di durata dell’incarico medesimo».

Ma si poteva fare di più.

Un emendamento – che ha raccolto sette voti favorevoli, quindici astensioni (che fanno sperare si possa tornare sulla questione) e solo tredici voti contrari – avrebbe potuto introdurre un forte segnale di cambiamento.

Si allude alla proposta di sollecitare il legislatore a prevedere la necessità che chi abbia rivestito incarichi direttivi o semi-direttivi debba necessariamente – quale criterio di legittimazione per proporre una nuova domanda – esercitare funzioni non direttive o semidirettive per un lasso di tempo non simbolico.

La necessità di quello che alcuni – in modo non troppo elegante – hanno chiamato un “bagno di giurisdizione” è, secondo alcuni, una misura “populista”; e che, a detta di altri, comporta una perdita di competenze organizzative di chi ha già positivamente esercitato una certa funzione.

Magistratura democratica è consapevole del fatto che l’accoglimento di una simile proposta comporterebbe “come prezzo da pagare” una perdita di competenze e sacrificherebbe le esperienze di molti dirigenti che – in contesti difficili e con generosità – mettono a servizio della giurisdizione dedizione e intelligenza organizzativa.

Tuttavia, si tratterebbe di una perdita solo limitata nel tempo e necessaria a promuovere un cambiamento culturale. L’accoglimento di una simile proposta avrebbe infatti un forte impatto, crediamo non solo simbolico.

La riforma del 2006 – da un lato – ha determinato un aumento della cultura organizzativa media dei magistrati con funzioni direttive e semidirettive; tuttavia, la stessa riforma ha, dall’altro lato, introdotto nel corpo della magistratura un’idea di meritocrazia che è stata profondamente malintesa: idea per cui chi è investito di responsabilità organizzative è necessariamente “più meritevole” di chi non le esercita; idea per cui chi riveste funzioni organizzative diventa “capo” di qualcosa; idea per cui chi esercita funzioni organizzative entra in un circuito parallelo per cui risulta quasi disdicevole la dismissione dei galloni e il ritorno alle ordinarie funzioni giudiziarie.

Di qui l’affermarsi dell’idea che esistano una “magistratura alta” e una “magistratura bassa”; di qui l’idea di carriera, gli appetiti, le richieste di raccomandazioni, gli scambi che purtroppo tutti abbiamo imparato a conoscere.

L’introduzione di un ulteriore criterio di legittimazione che preveda il necessario ritorno alle ordinarie funzioni giudiziarie (non direttive o semi-direttive) avrebbe l’importante effetto di ricordare a ciascun magistrato che la sua prima responsabilità è quella di provare a rendere giustizia nel caso concreto; che l’esercizio della funzione giudiziaria è responsabilità in sé nobile e difficile; che è nell’esercizio della funzione giudiziaria che ciascuno deve spendere al massimo grado le proprie competenze professionali ed umane; che è lì che si deve manifestare il vero “merito”.

In un momento in cui la storia impone alla magistratura di confrontarsi con le patologie emerse, Magistratura democratica ritiene che una simile misura ricorderebbe a ciascun magistrato la centralità del lavoro giudiziario e che è lì – e non altrove – che risiede il “senso ultimo” della sua professionalità.

10/11/2021

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