Intervento di Giulia Marzia Locati

Peretti Griva (1882 - 1962), che è stato magistrato per 43 anni e al quale dobbiamo un tenace lavoro di applicazione umana del diritto anche nel ventennio fascista, diceva che «la funzione che ricopre il giudice non ha senso né valore se non la anima un soffio potente di umanità». Umanità che sembra ormai sparita dal mondo circostante, con la riproposizione di un modello in cui ci troviamo di fronte quotidianamente a tanti esempi di «banalità del male», dimenticandoci però a volte che con questa espressione Arendt faceva riferimento alla banalità degli esseri umani e non del male in sé, che invece doveva essere preso molto sul serio. Sempre Arendt ne Le origini del totalitarismo ben ci spiegò come per cittadini fosse molto difficile non pensare a se stessi come ad una comunità di eguali, ma come ciò fosse invece facile in relazione agli abitanti delle colonie, per i quali non valeva il principio di uguaglianza. E se pensiamo a come sia facile anche adesso per molti italiani non riconoscere quella medesima uguaglianza agli immigrati, e che proprio quell’imperialismo (unito con l’antisemitismo) era alla base del totalitarismo, c’è poco da stare allegri.

Visto che però vorrei ripartire almeno da un “ottimismo della volontà”, credo che sia utile ritornare alla lezione di Peretti Griva.

 

Proprio partendo dalla consapevolezza che l’indipendenza è cosa diversa dall’estraneità al mondo circostante e che la conoscenza di quel mondo che si pretende di giudicare è un pre requisito per essere non solo un buon giurista ma anche un buon giudice, Peretti Griva dimostrò con la sua vita e con la sua attività professionale che c’era un modo anche durante il fascismo di resistere applicando il diritto allora vigente - certamente terribile - nella maniera più attenta possibile ai diritti della persona che poi sarebbero stati consacrati nella Costituzione e nelle Carte internazionali.

 

Sono voluta partire da questo ricordo, perché credo che questa impostazione possa e debba essere applicata anche da noi magistrati nella concreta realtà odierna.

1. La situazione attuale

Credo che sia in primo luogo fondamentale non cedere nel dare una risposta giuridica che è figlia della società dei consumi: oltre alla crisi anche il consumismo esasperato ha condotto fin qui dove siamo. Poiché c’è un collegamento tra la mentalità che ha condotto all’eccesso di consumo e le spiegazioni (anche giudiziarie) che siamo in grado di fornire, nel mondo attuale la società pretende in tutti i campi una risposta semplice e pronta per l’uso. Una risposta che è apparentemente immediata ad un problema che è spesso solo percepito e non reale. E allora così come ogni 9 mesi esce un telefonino nuovo che offre servizi che ci presenta come risposte a bisogni che la stessa società produttrice di telefoni crea, allo stesso modo si creano allarmi che vanno contro i dati di realtà (sicurezza), la politica offre una risposta veloce e semplice (riforma della legittima difesa) e si pretende che anche noi diamo una risposta immediata e non ragionata (Tizio ha sparato a qualcuno che entrava in casa sua e dunque deve essere assolto), perché le riflessioni sul bilanciamento tra il bene della vita e della proprietà sono viste come inutili rallentamenti del processo decisionale. E il fatto che questo capiti in tutti i settori (negli ospedali si preferiscono piccoli interventi di routine per raggiungere più speditamente i target imposti, l’unico obiettivo dell’insegnamento è diventato l’ossessione miope per il superamento della prova di esame) porta a ritenere normale che ciò capiti anche in quella che dovrebbe essere l’attività meno standardizzata e più attenta alle particolarità del singolo caso concreto, che è appunto l’attività giurisdizionale.

 

E tutto questo altro non è se non la vittoria del neoliberismo, che, per dirla à la Fisher, ha presentato questo modello come “naturale”, come la fine delle ideologie, eliminando se stesso come categoria di principio.

Ciò ha avuto due conseguenze:

  1. si è presentato come unico giudice neutrale quello che è a tutti gli effetti, invece, un giudice orientato ideologicamente;
  2. ci ha portato a ritenere - anche nel nostro settore ed anche all’interno della magistratura progressista - che i livelli di performance non siano meri pre requisiti dell’azione giudiziaria ma obiettivi a cui tendere. E ciò dimenticandosi - o occultando - il fatto che anche l’efficienza non è un concetto neutrale, ma è connaturato di ideologia. E allora forse un “giudice democratico” dovrebbe andare oltre la pretesa di efficienza e chiedersi efficienza per chi e per che cosa. Perché l’efficienza al servizio dei più deboli è quella che per esempio si fa carico di selezionare degli interpreti preparati che davvero permettano all’imputato straniero di partecipare coscientemente al processo; o ancora quella che si fa carico di creare degli spazi che mettano davvero i minori in condizioni di partecipare al processo senza subire ulteriori traumi. Un’efficienza che si fonda invece sulle decadenze processuali - e i giudici del lavoro ben lo sanno - è, al contrario, un’efficienza al servizio dei poteri (economicamente) forti. Parimenti, pensare che l’efficienza sia il mero deposito nei termini dei provvedimenti giudiziari significa porre l’accento solo su uno dei due termini del problema (il tempo) sottovalutando completamente l’altro termine (la qualità).

2. Cosa possiamo fare noi quotidianamente

C’è un qualche cosa che Md non ha certo consegnato ad Area e che nessuno di noi potrebbe consegnare ad altri, ed è il modo di esercitare quotidianamente la nostra professione.

Noi qui ci siamo interrogati soprattutto sul ruolo del diritto pubblico e del diritto penale, ma anche il diritto privato - e l’interpretazione che i singoli giudici ne fanno - può avere una funzione importante.

In questo contesto è necessario essere consapevoli del fatto che la logica che ci ha guidato fin qui è quella di una “visione estrattiva” del diritto privato (Quarta e Mattei), fondata sulla transazione individuale: partendo dall’equazione tutta ideologica “attività economica uguale crescita” storicamente il diritto privato ha contribuito a rendere i ricchi più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Che non si possa continuare così è evidente anche solo se si pensa alla sopravvivenza del pianeta: se tutti gli individui della terra, a tutte le latitudini, consumassero come in California ci vorrebbero 7 pianeti terra per sopravvivere.

Cosa può fare il giurista di fronte a tutto questo?

Può per esempio provare ad interpretare gli istituti del diritto privato passando da una visione estrattiva ad una visione generativa, che ripartendo dalla valorizzazione nel nostro operare quotidiano di concetti come beni comuni, buona fede, abuso del diritto ed equità rimetta al centro un’idea distributiva di giustizia. Che tutto questo non sia un’utopia ma una necessità deriva dal fatto che un ordinamento giuridico che non mantiene in vita la comunità di cui è al servizio (tra cui non ci possono non essere le generazioni future) non è funzionale e che l’attuale sistema stia implodendo, prima di tutto da un punto di vista ecologico, è sotto gli occhi di tutti.

3. Come farlo

Per fare questo è naturalmente indispensabile una magistratura libera da condizionamenti esterni ed interni: e allora, francamente, io non mi voglio concentrare sulle “modalità di coordinamento della magistratura progressista”, non solo perché mi riconosco pienamente nella relazione della segretaria generale e nelle parole che poco prima di me ha pronunciato Antonietta Ricci, ma anche perché credo che sia importante ragionare sul modello di magistrato che è diverso dal nostro, che è stato espresso da chi per esempio ha ritenuto che la visita del Ministro dell’interno ad un condannato in via definitiva per tentato omicidio per fargli sentire la propria solidarietà non costituisca un problema in uno stato diritto. Per proporre nella pratica quotidiana un’idea diversa di che cosa voglia dire essere magistrati oggi. E il fatto che sia già in atto un cambiamento del paradigma anche culturale e ideale all’interno della magistratura è ben rappresentato dal fatto che moltissimi Mot si sentono di dare del lei agli affidatari. Sembrerà una banalità, ma è anche questo indice del superamento di una visione paritaria dei rapporti tra giudici e vertici, visione che i capi degli uffici di Md dovrebbero praticare ed interpretare quotidianamente. E pensare che questo non abbia effetti sul modo poi di svolgere il proprio lavoro questa sì è utopia.

E che la magistratura sia cambiata lo si è notato anche nelle elezioni per il Csm. Perché se ha ragione Lucia Vignale quando dice - in relazione al Consiglio nazionale - che «I candidati, infatti sono tanti quanti sono gli eleggibili (al massimo 1 o 2 di più) e questa non può definirsi un’elezione» io credo che un ragionamento analogo debba essere fatto in relazione all’elezione del pubblico ministero dal Csm.

Presentare 4 candidati per 4 posti non si può definire elezione ma nomina, e questo è un problema per un gruppo e per una comunità (quale è quella dei magistrati) e credo sia stata una sconfitta innanzi tutto sul piano culturale non solo per Md e per Area ma per tutta la magistratura.

4. I giovani magistrati

Da ultimo, le parole di Peretti Griva sono importanti perché ci richiamano ad una consapevolezza del privilegio della nostra posizione. Il lavoro dei miei coetanei è per la maggior parte dei casi un lavoro precario e quindi meno garantito, cosa che conduce inevitabilmente alla maggiore difficoltà nel rivendicare diritti per sé e per altri. Quello che Peretti Griva dimostrò con la sua vita di giudice - insieme a tanti altri non solo in epoca fascista ma anche nei tempi bui del periodo repubblicano - è che proprio nei tempi bui la magistratura ha invece la possibilità - e io direi il dovere - di fare da argine, e credo che sia ora che soprattutto noi giovani magistrati iniziamo a raccogliere e portare avanti quel testimone. E questo non vuol certo dire presentarsi, come ci accusano alcuni, come "soggetto politico generale" o “partitino” lavorare per aggiungere una vocetta alle tante della magistratura - istituzione e della magistratura - corporazione, ma inverare il senso della nostra esistenza, come magistrati e come Md, che, come diceva Zanchetta, è anche la capacità di intervenire nella società.