Intervento di Luca Poniz

1. Vorrei cominciare il mio intervento con un non rituale, sincero ringraziamento a Mariarosaria Guglielmi, per la dedizione e generosità con cui ha svolto un compito difficile, molto impegnativo per molte, evidenti ragioni. Anni drammatici, direi, per quello che è accaduto ed accade intorno a noi, nel “mondo di fuori”, e per i non pochi riflessi nel “nostro mondo”, la giurisdizione.

Vorrei ringraziarla anche per la sua bella relazione: profonda, colta, appassionata, con una grande capacità di analisi di quanto sta accadendo “fuori”, in quel Mondo e a quei fenomeni a cui Magistratura democratica ha sempre saputo guardare con grande sensibilità, nella giusta convinzione che senza ciò ogni ragionamento sul diritto e la giurisdizione perde il suo stesso significato. Una relazione che ho apprezzato in larga parte delle sue analisi, condotte con grande sensibilità, cogliendo i nodi essenziali, e drammatici, di una crisi profonda di elementi portanti della stessa democrazia costituzionale. Non a caso il pericolo più evidente e concreto viene evocato nel titolo stesso del Congresso, quel populismo divenuto finanche bandiera, manifesto ideologico; e mirabilmente la sintesi più efficace di questa crisi si rinviene nel titolo di apertura della relazione di Mariarosaria, “la storia interrotta”: una storia già interrotta, «non ci sentiamo più parte di un insieme né di un progetto collettivo: l’aspirazione ad una società di eguali e al bene comune ha lasciato il posto alle rivendicazioni dei singoli – non più cittadini associati ma individui – ad escludere gli altri. Rotto ogni patto di solidarietà, i nuovi perdenti devono essere e sentirsi nemici di altri perdenti, soggetti deboli e senza diritti, siano essi i migranti, i poveri e gli emarginati», e la denuncia forte e netta del rischio di una possibile mutazione genetica delle nostra stessa democrazia.

Io credo che qui nessuno possa non riconoscersi pienamente, parola per parola, nella lucida analisi della nostra Segretaria generale. Ed infatti i molti interventi fino a qui susseguitisi non soltanto hanno applaudito con convinzione i passaggi fondamentali dell’analisi, ma l’hanno persino “arricchita”, se ve ne fosse stato bisogno, di ulteriori importanti riflessioni, nel solco della traccia essenziale del Congresso, il “populismo” ed il suo impatto sul sistema, sulla democrazia. Impossibile, tra essi, non ricordare la formidabile lezione del professor Ferrajoli, un momento memorabile di questo Congresso, che sarà impossibile dimenticare.

 

2. Dell’elogio, convinto e non rituale, che Ferrajoli ha rivolto alla relazione di Mariarosaria mi hanno colpito alcune parole, che ho annotato – spero fedelmente – perché in esse individuo il nodo politico da cui vorrei partire nella mia riflessione, che vi propongo, insieme ad alcuni punti che mi ero preparato prima dell’inizio di questi lavori. Ferrajoli ha lodato la “radicalità” dell’analisi - in cui ha visto il ritorno («mi verrebbe da dire», aggiungeva Ferrajoli) della «vecchia Md» (e certamente l’espressione non era e non è affatto negativa, anzi!) – e la «passione civile» che la ispira.

Ecco, io vorrei cominciare esattamente da qui: dalla radicalità dell’analisi, esattamente colta, e dalla riflessione sulla proposta che ne consegue. Perché a fronte di un’analisi radicale, la proposta può variare sensibilmente, vuoi nel metodo quanto nei contenuti; senza mai ignorare, sembra persino superfluo dirlo, che qui a parlare è pur sempre un’associazione di magistrati, il cui principale compito è di parlare ai magistrati, seppure naturalmente con il proprio patrimonio di idee, la propria sensibilità culturale, il modo stesso di intendere la giurisdizione.

“Radicalità” è espressione che riguarda metodo e contenuti: e, a parer mio, si coniuga, direi naturalmente, con la proposta politica tout court, e la connota, dentro l’agone delle diverse idee, del contrapporsi di pensiero politico e proposta politica, della visione “del mondo”. Ecco, direi che per i tratti che molti hanno colto la relazione ha il respiro e il taglio di un congresso “politico”, nel senso più alto del termine; ed in ciò, a mio avviso, la sua grandezza ma anche il suo limite. Perché lo sguardo al “mondo di fuori” occupa una parte preponderante della relazione, e, certamente non per distrazione, quello al mondo della giurisdizione, della magistratura, ai loro problemi – persino come riflesso e ricaduta di quella “storia interrotta” che pure si descrive con tinte drammatiche – sembra singolarmente meno attento, e meno profondo.

Non certo per distrazione, dicevo. È una scelta, l’impostazione essenziale della relazione – e, per quanto visto sinora – dello stesso Congresso, la cifra politica.

Provo a individuarne qui le ragioni, perché in esse – o almeno in quelle che credo di individuare come tali – vedo l’intreccio di alcune questioni, che hanno connotato la storia più recente di Md, le sue scelte politiche di fondo – in primis, il tormentato rapporto con Area – e l’azione nei luoghi in cui di più, storicamente, Magistratura democratica ha espresso la forza delle proprie idee, ben oltre la forza dei propri “numeri”.

 

3. Partirò da un assunto un po’ brutale, per indicare l’essenza della mia riflessione, su cui argomenterò. Parlare del e al “mondo di fuori” – e così poco della e alla magistratura – non è solo perché la situazione è drammatica nei termini esatti in cui la si è descritta: piuttosto, perché l’essenza, gli strumenti stessi di quel dialogo, Md li ha affidati da anni – per scelta deliberata, e, confido, consapevole – ad altri, ad un gruppo che non è altro, ma più grande e dunque necessariamente diverso da sé, ad “AreaDG”, che infatti rappresenta anche Md nei luoghi che sono il cuore pulsante della vita della magistratura, il Governo autonomo della magistratura e l’Associazionismo giudiziario; luoghi nei quali Md ha avuto storicamente un ruolo essenziale, di stimolo incessante e poi di guida, esercitando storicamente un’egemonia culturale di cui secondo me oggi è orfana. Tale opzione – icasticamente descritta fin dal suo affacciarsi come “cessione di sovranità” di Md verso AreaDG – ha avuto un impatto formidabile nella stessa identità del gruppo, perché ha a che fare con l’essenza di un gruppo di magistrati associati, con la sua stessa ragione di esistere. Ciò che, infatti, era stato notato acutamente da Nello Rossi nel dibattito che precedette il congresso di Bologna.

Qui secondo me sta il cuore del problema; e questo spiega i tormenti più recenti, e la cifra politica della relazione, del congresso, e naturalmente dell’idea del gruppo.

Parlare “alla società civile” e (pressoché soltanto) “di società civile” – pur con la condivisibile premessa dell’enormità degli accadimenti sociali e politici – sembra dunque una scelta necessitata, ben oltre la tradizionale vocazione di Md; e ciò, a mio avviso, ha condizionato e condiziona naturalmente il senso delle stesse scelte degli argomenti trattati, degli interlocutori, delle “alleanze”; con il rischio evidente di dover cercare una strada per la propria azione politica pressoché fuori dall’ambito naturale, la giurisdizione.

 

4. Così, la centralità che ha assunto negli ultimi mesi nell’azione politica di Md e, oggi, nella relazione della Segretaria generale il tema del garantismo nel processo penale mi sembra spiegabile proprio nella logica di una sorta di rincorsa a temi “identitari”,  ben oltre la storica sensibilità che il gruppo ha avuto per tale tema, e persino ben oltre le indubbie criticità che non poche riforme – realizzate o annunciate – pongono, come peraltro alcuni ottimi interventi in questo congresso hanno benissimo indicato.

Il tema delle riforme del processo penale, e dei nodi che esse devono affrontare, mi sembra sia stato oggetto di un lungo e articolato dibattito, che, per limitarci all’ultimo decennio, ha visto la magistratura associata avanzare molte e – credevo – condivise proposte di riforma, incentrate su un giusto equilibrio tra efficienza e garanzie. Per questo, riesce difficile comprendere questo passaggio della relazione: «Nel dibattito sulle riforme per la prescrizione e il processo penale, la magistratura associata ha inizialmente perso un’occasione importante per esprimere da subito e con chiarezza una posizione di “principio” e di “metodo” condivisa: non possono esservi spazi di mediazione sui principi in cambio di maggiore efficienza né cedimenti alle semplificazioni del dibattito pubblico e politico che, facendo leva sulla crisi del processo penale, preparano il terreno a scelte regressive per i diritti e per le garanzie.».

L’affermazione non è condivisibile in nulla: non nel metodo, perché sembra ignorare che l’Anm in ogni occasione (e dunque tanto nel dibattito in seno al Cdc, quanto nella presentazione formale delle famose schede con le proposte di riforma in materia penale) ha sollecitato a gran voce la necessità di un tavolo con avvocatura ed accademia, facendosi con tale iniziativa promotrice dell’apertura di una sessione di riforme; non nel merito, perché sembra non considerare che nessuna delle riforme proposte dall’Anm è ispirata ad un’idea di processo penale “efficiente”, in contrasto con garanzie fondamentali, e meno che meno esse possono dirsi “anticipatrici” di scelte “regressive” per diritti e garanzie.

Il tema è, piuttosto, quello della sostanza delle garanzie, che riguarda la fisionomia e l’identità stessa del processo penale, e la sua crisi, denunciata dai più – Magistratura democratica in primis - da anni.

Sembra oggi almeno sorprendente relegare a proposte regressive alcune, tra esse,  reclamate a gran voce pressoché all’unanimità, e ciò sia da Md, che dall’Anm: è agevole ricordare, infatti, che l’ultima posizione ufficiale del gruppo sulla necessità dell’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado - prima della recente discussione in sede associativa - è quella espressa nella relazione del Segretario di Md al congresso di Reggio Calabria, congresso nel quale la stessa richiesta fu avanzata dal presidente Sabelli, e dunque dall’Anm, con il nostro sostegno. Mi permetto di evidenziare che quella Giunta nacque con la Segreteria Morosini, proseguì con la Segreteria Canepa, e il gruppo Area in Cdc includeva esponenti di spicco di Md, quali, tra gli altri, Ezia Maccora, Valerio Savio, Fabrizio Vanorio; deduco – non ricordando da loro, e, per vero, da nessun altro, voci dissenzienti – che tale proposta – invero una sorta di mantra ripetuto per decenni dalla magistratura associata - fosse del tutto condivisa, del resto coerentemente con una lunga elaborazione sul punto, proprio incentrata sull’idea che il processo penale si regge su un complesso equilibrio, ove si incrociano ed intrecciano esigenze e finalità diverse, e talvolta conflittuali. Del resto, il garantismo è tema complesso: se è vero che esso è al centro del pensiero di Md da sempre, ed anzi è uno dei temi qualificanti della sua storia, è anche vero che la sua declinazione concreta è apparsa storicamente non priva di contraddizioni e di qualche “sbandamento”, per così dire, se è vero, come è vero, che una larga parte del gruppo ha per anni non solo condiviso, ma indicato come “modello” alcune interpretazioni del ruolo del pubblico ministero di dubbia collocazione nella visione “garantista” del processo penale, pubblici ministeri che non hanno esitato a ritagliare per sé l’ambizioso compito di “scrivere la Storia”, o di guidare il Paese; visione un po’ sostanzialistica, verrebbe da dire, e, proprio perché oggi è ancora con noi l’autore di mai troppo lodate «nove massime di deontologia giudiziaria», doveroso ricordare che una di esse costituisce una severa censura di un tale modello, pur da anni sostenuto con entusiasmo e convinzione in congressi e scritti ….

Per tornare, invece, al processo, e alle proposte: sbaglio, o abbiamo anche detto – in questi 30 anni di vigenza del “nuovo” codice di procedura penale, in cui sistematicamente si è parlato della sua crisi – che il modello di processo che delinea presenta non pochi profili di criticità, sotto plurimi profili? Che consente un uso distorto dei suoi tempi, e si presta ad essere utilizzato come un formidabile strumento di difesa dal processo? Che accanto a garanzie fondamentali, conosce formalismi assurdi, barocchi, che consentono usi strumentali di essi, di fatto autorizzando pratiche dilatorie, con l’obiettivo di consumare il tempo del processo, con l’obiettivo della sua consumazione per prescrizione?

Ricordo, tra le tante interessanti ed articolate riflessioni, una sessione di convegno organizzato a Milano da Md, con la rivista Diritto penale contemporaneo e la Camera penale di Milano, «Processo penale e garanzie a 20 anni da Mani Pulite»; ove si discusse, tra l’altro, anche dell’“abuso del diritto”, una discussione franca incentrata proprio sul tema spinoso del rapporto tra garanzie formali e sostanziali, tra efficienza del processo e formalismi, che delle garanzie rappresentato la caricatura, svilendone il senso e la funzione.

Mi sembra dunque proprio nel solco della migliore tradizione di Md – e, per quanto a me noto, dell’elaborazione almeno degli ultimi dieci anni – una riflessione e una proposta, quale quella condotta all’interno dell’Anm, che proprio da questo muove: dall’idea di una crisi del processo penale, e dall’idea ad esso correlata che ne vada ridisegnata la stessa fisionomia, al fine di impedire che il tempo del processo diventi l’obiettivo ultimo.

In ciò, l’idea dell’interruzione della prescrizione al momento della sentenza di condanna di primo grado (opzione decisamente diversa da quella accolta dal legislatore, che la ancora alla sentenza di primo grado tout court), come punto essenziale di equilibrio tra la pretesa punitiva e le garanzie: perché non è affatto vero che in tal modo si determina una “condanna” ad un processo senza fine per l’imputato; all’opposto, si induce – insieme agli altri istituti pensati in relazione all’appello, oggi grado di giudizio congegnato in modo tale da consentirne un uso palesemente improprio – un meccanismo complessivamente virtuoso, poiché, non potendosi coltivare le impugnazioni al solo fine di far decorrere il tempo che consuma il processo, se ne determinerà la drastica riduzione, restituendo ad esse il loro stesso significato,  con evidente recupero delle garanzie in senso sostanziale.

Di questo, e non di altro, abbiamo discusso in Anm; e lo abbiamo fatto sollecitando – come AreaDG – l’apertura del confronto il più ampio (questa, peraltro, la cifra politica più evidente e qualificante della presidenza di Eugenio Albamonte). Non c’è un solo momento del dibattito associativo stimolato da Area, o che abbia avuto Area come protagonista, in cui il metodo indicato oggi dalla relazione della Segretaria generale sia stato ignorato, o si sia concorso a formulare proposte meno che storicamente proprie dell’elaborazione della magistratura progressista. Peraltro, sottolineo che la dirigenza di Md è stata informata costantemente del dibattito nel gruppo Cdc di AreaDG, attesa la presenza della Segretaria generale nelle comunicazioni interne al gruppo; e non solo non abbiamo ricevuto indicazioni o sollecitazioni diverse, ma nessuno di noi – eletti in AreaDG, di “provenienza” di Md – è mai stato invitato a discuterne in momenti e luoghi pur statutariamente previsti, come in sede di Comitato esecutivo di Md, che pure mi risulta che in questi mesi abbia registrato la presenza assidua di non pochi esterni ad esso…

Certo, non si ignora che esistano questioni ulteriori e i più complesse, che riguardano passaggi discutibili della vita associativa recente, il tono del linguaggio di suoi esponenti di spicco, opzioni “politico-culturali” che sembrano delineare un modello associativo davvero distante non soltanto dal nostro, ma da quello che si era faticosamente conquistato nei lunghi e faticosi anni di vita associativa unitaria; tratti marcatamente corporativi, frutto di una stagione nuova della magistratura, dove si intravedono i primi, preoccupanti riflessi di un mutamento radicale del quadro complessivo.

Nondimeno, AreaDG si è fatta carico fin dall’insediamento di questo Cdc di farsi portatrice di istanze e di iniziative politiche ritenute irrinunciabili e qualificanti; e, pur nella consapevolezza di dover necessariamente trovare un punto di equilibrio con le idee e la stessa forza numerica della rappresentanza degli altri gruppi, lo ha fatto senza mai rinunciare a pretendere la discussione su questioni di principio essenziali, condizione della nostra stessa partecipazione ad un’esperienza di Giunta unitaria, che, come noto, è stata da tutti ritenuta opzione politica necessaria dopo le non facili elezioni del 2016, e dopo la stagione delle Giunte maggioritarie precedenti.

Tra le tante iniziative che il gruppo AreaDG al Cdc può con fermezza rivendicare, appare qui opportuno – e necessario, attese le valutazioni espresse nella relazione - ricordare:

  • la discussione sul diritto a partecipare al dibattito sul referendum costituzionale dei singoli e dei singoli gruppi associati, che AreaDG ha rivendicato con forza e compattamente, in uno dei primi Cdc del 2016, in risposta alle prime polemiche e agli attacchi di vasti settori della politica, dell’informazione dello stesso Csm; la ferma rivendicazione della libertà dei magistrati, come singoli e come gruppi, di partecipare al dibattito pubblico, ribadita da me personalmente in un non facile incontro con l’allora presidente del Consiglio Renzi;
  • la ferma opposizione alla proroga dei “vertici” delle supreme magistrature, con una iniziativa di protesta simbolicamente fortissima (la mancata partecipazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di cassazione, del gennaio 2017);
  • la sistematica richiesta di intervento dell’Anm a difesa della giurisdizione, dei suoi spazi e delle sue prerogative, con la costante e ferma “denuncia” di ogni intervento normativo - e non sono stati pochi in questi tre anni – che limiti il senso stesso della giurisdizione, tendenza drammaticamente presente in non poche delle iniziative normative in discussione, e purtroppo non colta – nel suo essere antitetica all’idea della giurisdizione come costituzionalmente delineata;
  • le radicali critiche espresse nel dibattito (da noi richiesto) e nei conseguenti pareri relativi alle numerose iniziative legislative di questi anni, in primis il cd. Decreto sicurezza e ddl Pillon, “norme manifesto” di cui si sono indicati principi irricevibili, e – con la stessa radicalità che oggi traspare…. – denunciate intollerabili torsioni dell’intervento penale, esplicitamente indicando nel populismo penale che esse ed altri progetti normativi sembrano manifestare un pericolo insidioso, ed una evidente violazione del diritto penale secondo i principi costituzionali; per vero, si era visto l’annuncio di questa nuova stagione del diritto penale già con l’introduzione della fattispecie di omicidio stradale, di matrice renziana, con tweet del premier dedicato alle vittime della strada, e ne avevamo criticato l’introduzione, e l’assurda disciplina, nel primo incontro con il ministro Orlando…

 

Si potrebbe continuare per molto ancora, a conferma del senso, della direzione e del metodo proprio del lavoro del gruppo in AreaDG in Cdc; senza ignorare che, accanto all’iniziativa politica in senso stretto, è stato fatto un lavoro prezioso e infaticabile nell’Ufficio Sindacale, grazie a Marcello Basilico, che ci ha visti presenti in un settore certo non appassionante, ma essenziale per la vita dei magistrati, di tutti, corporativi e non …. ; e che ci ha consentito di raggiungere tutti i magistrati, giovani e meno giovani, mostrando come l’iniziativa politico-associativa di AreaDG è completa, responsabile, capace di coniugare la più alta consapevolezza dei principi e – perché no - quella dei bisogni.

 

5. Il dialogo con l’Avvocatura è certamente essenziale, e nessuno lo può mettere in discussione come metodo irrinunciabile soprattutto se e quando si intraprenda una strada riformatrice; e, ancora di più, quando – come purtroppo in questi mesi, e, temo, nei prossimi anni – sia in discussione l’assetto dell’ordinamento, e la stessa tenuta dei principi costituzionali; e, del resto, nessuno del gruppo di AreaDG lo ha mai posto in discussione, e, come già detto, la presidenza di Albamonte ha fatto del dialogo con l’avvocatura un punto centrale della propria linea politica, e della stessa comunicazione, anche per superare posizioni inaccettabili e semplificazioni anch’esse populiste della presidenza Davigo, verso cui non vi è stata arrendevolezza, ma responsabilità.

Nondimeno, la linea politica di Md sul punto è apparsa a me, negli ultimi mesi in particolare, non del tutto equilibrata: altro è la giusta attenzione ad un interlocutore necessario, e la ricerca di un terreno comune dal quale far levare una voce ferma in difesa di princìpi essenziali, altro è “sembrare alleati” con una parte non istituzionale dell’avvocatura, quelle Camere penali che – pur capaci di cogliere insieme alla magistratura strappi intollerabili ai princìpi fondamentali dell’ordinamento – negli anni hanno mostrato incomprensibili “distrazioni” quando non meno gravi strappi venivano compiuti, mostrato amnesie preoccupanti verso loro silenzi incomprensibili, ingaggiato battaglie a colpi di scioperi con ragioni non sempre plausibili, e, soprattutto, proposto riforme persino eversive, come l’ultima, sulla separazione delle carriere, vera ossessione ricorrente negli anni, per realizzare la quale non hanno esitato a cercare e trovare alleanze le più stravaganti, rispetto al “manifesto ideale” declinato in questi mesi, “separazione delle carriere” il cui progetto di legge di iniziativa popolare giunge proprio in questi giorni al Parlamento… Né scegliere sistematicamente “la loro voce” – il Dubbio – come luogo dell’intervento e del confronto mi sembra politicamente convincente, perché non mi pare equilibrata e sempre disinteressata la visione “garantistica” del processo,  non riducibile a formule astratte e a contrapposizioni non di rado di comodo.

 

6. La non breve analisi che ho condotto (che tuttavia avrebbe potuto essere assai più lunga, ed analitica, ed arricchirsi di molti altri riferimenti a quanto fatto in questi tre anni) ha, nel mio ragionamento, un’utilità evidente in relazione ad uno dei punti cruciali del dibattito interno a Md: il rapporto con AreaDG, e, in relazione ad esso, l’identità stessa di Md.

La domanda essenziale -secondo me ineludibile, ma sistematicamente elusa - pur a fronte della strisciante e tuttavia evidente insoddisfazione per l’azione di AreaDG, è la seguente: perché AreaDG esiste? Quale la sua funzione, oltre i gruppi che hanno concorso a fondarla? E, visto che Md e i Movimenti per la giustizia- Articolo 3, già esistevano, quale il senso di un gruppo (che, tale, oggi è), che, ormai strutturato e articolato con organismi politicamente rappresentativi - e dunque superata la liquidità che ne aveva caratterizzato l’originaria, teorizzata originalità – ha per Statuto il compito di fare politica nei luoghi essenziali per un’’azione di un’associazione di magistrati? E quale la ragione dell’insoddisfazione per l’azione di AreaDG?

Credo che la relazione di questo congresso dia, senza esplicitarla, una risposta: l’insoddisfazione sta nel fatto che AreaDG non ha, in sé, nei suoi stessi connotati genetici, il radicalismo che ha (avrebbe?) Md.

Anche ammesso che ciò sia un limite, la domanda più utile, e necessaria, dovrebbe allora essere: ma tale radicalismo ha senso, ed utilità, nel tentativo di risolvere, o almeno di affrontare, i problemi, o persino le tragedie, che si denunciano? È una base per un’azione politica che - muovendo dal necessario, perché realistico, presupposto, che il mondo (e, in esso, il mondo dei giudici) è quello che è, e non quello che si vorrebbe fosse – sappia parlare, e convincere, chi non la pensa come noi, e sono tanti, anche tra coloro che non sono, per questo solo, conservatori e corporativi?