Documento del Gruppo Europa

L’Europa di tutti

Mai come in questo biennio dal precedente congresso di magistratura democratica il distacco dei cittadini dall’Unione europea è sembrato così marcato e mai governi precedenti a quello in carica hanno rivendicato così platealmente politiche di dissenso, conflitto ed anche irrisione delle istituzioni europee.

Le politiche di austerità sociale, la mancata gestione europea del fenomeno migratorio, la retorica del sovranismo hanno contribuito a tutto questo.

E davvero il "salto federale" dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, evocato nel documento del gruppo Europa per il XIX congresso, appare lontano, perché la stagnazione delle iniziative per una unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa e il più vicino possibile ai cittadini, come indica l'art. 1 del Trattato, equivale ad una regressione.

Eppure l'Unione permea la nostra vita quotidiana e sarebbe inconcepibile agire e muoverci al suo interno con passaporti, monete nazionali, senza finanziamenti e progetti europei, senza Erasmus, e così via.

E permea profondamente il nostro lavoro dei magistrati ed il lavoro di tutti giuristi nel quotidiano esame delle fonti multilivello e della giurisprudenza delle Corti europee.

Sicché il processo di normazione europeo, basato sul co-legislatore Consiglio-Parlamento, riporta ancora la volontà politica di avanzare nell'integrazione alla responsabilità dei governi nazionali, sempre restii a cedere quote di sovranità pur in un contesto globale che richiede in modo pressante un soggetto politico, economico e diplomatico europeo forte come interlocutore efficace e portatore di pace.

Lo Stato di diritto

Ad un certo immobilismo dell’attuale Commissione nello sviluppo degli strumenti di legislazione comuni nel settore della giustizia, con l'eccezione del difficile parto della Procura europea per perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, si è invece contrapposta una notevole attenzione della stesa Commissione nella definizione e difesa dello Stato di diritto, corrispondente ad una sempre più attenta e precisa giurisprudenza della Corte di giustizia nel delinearne i principi e le caratteristiche democratiche.

La Commissione ha rivendicato ed esercitato le proprie competenze che le derivano dall'art. 7 TUE (in realtà uno strumento politico debole, perché richiede l'unanimità nella sua fase finale), con la consapevolezza della crucialità dei valori protetti dall'art. 2, ossia il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze, valori comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

Il contesto di questa azione è davvero delicato: due importanti Stati membri dell'Unione dopo l'allargamento, Polonia e Ungheria, sono governati pro-tempore da maggioranze parlamentari dichiaratamente ostili all'integrazione ed ai valori comuni della UE ed hanno approvato leggi di riforma restrittive del principio di separazione dei poteri e delle libertà di stampa e di espressione, con una diretta ricaduta sull'indipendenza dei rispettivi poteri giudiziari.

Le procedure di infrazione sono state avviate, il Parlamento europeo ne è protagonista, e la Corte di Giustizia è intervenuta con chiarezza proprio con riferimento alle garanzie di indipendenza del potere giudiziario come presidio dello Stato di diritto e caratteristica immanente delle democrazie costituzionali.

Basandosi sulla propria precedente giurisprudenza (in particolare la sentenza del febbraio 2018 nel procedimento promosso dall'associazione sindacale dei giudici portoghesi), la Corte ha sottolineato l’importanza del principio di tutela giurisdizionale effettiva in quanto principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è affermato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e che impone agli Stati membri sistemi giuridici in grado di garantire un controllo giurisdizionale effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, intrinseco ad uno Stato di diritto.

Ha spiegato, nella sentenza del luglio 2018 relativa all'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie polacche, l'incidenza che nella circolazione degli atti giudiziari all'interno dell'Unione hanno la reciproca fiducia nei requisiti di indipendenza, esterna ed interna, ed imparzialità dei giudici, fiducia che può essere condizionata e minata da riforme che limitino tali indipendenza ed imparzialità.

Ha stabilito, nelle ordinanze cautelari rese nei mesi scorsi nella procedura di infrazione promossa dalla Commissione per violazione dei principi dello Stato di diritto, a seguito delle riforme del sistema giudiziario che alterano a favore dell'esecutivo il bilanciamento con il potere giudiziario in Polonia, che il requisito dell’indipendenza dei giudici è parte del contenuto essenziale del diritto fondamentale ad un equo processo, la cui violazione è di per sé atta a provocare un danno grave e irreparabile; le ordinanze  della Corte di giustizia, che sono state ottemperate dalle Autorità  polacche sembrano -  almeno per ora - aver portato al blocco delle riforme liberticide in Polonia con un evidente successo della protezione giudiziaria europea che ha tempestivamente sostituito le troppo complesse procedure previste dai Trattati a garanzia della rule of the law anche nei paesi membri attraverso un riferimento sempre più forte e pregnante alle diposizioni del Billf of rights dell’Unione.  

 La sentenza del febbraio del 2018, una volta rilanciato il Testo di Nizza come parametro costituzionale invalidabile nel suo insieme per tutte le politiche dei paesi membri, sembra avere concluso una prima fase nell’applicazione della Carta dei diritti. Da quel momento una serie di sentenze hanno precisato l’applicabilità diretta ed anche orizzontale di talune disposizioni della Carta; dalla sentenza Egemberger dell’aprile del 2018 (licenziamento discriminatorio in organizzazioni di tendenza)  che l’ha attribuita agli artt. 21 e 47 sino al “trittico” sul diritto alle ferie ed ai riposi (art. 31 cpv.) per finire a quelle sugli artt. 49 (sentenza Garland)  e 50 della Carta (determinante quest’ultima per risolvere - con la Taricco-bis - lo spigoloso “caso Taricco” che è stato in realtà archiviato proprio con riferimento al principio di legalità stabilito nel Bill of  rights dei cittadini dell’Unione). Conseguenza di quest’insieme di decisioni è l’indubbio rafforzamento della tutela giudiziaria che invoca le disposizioni di natura costituzionale del diritto dell’Unione perché molte di queste consentono, sotto la guida della Corte di giustizia, anche la disapplicazione (sia pure come extrema ratio dopo avere tentato la prioritaria strada dell’interpretazione conforme) del diritto interno. Purtroppo la nostra Corte ha inteso, con il molto discusso obiter della sentenza n. 269/2017 (orientamento che sembrerebbe confermato dalla n. 20 del 2019)  rendere questo dialogo diretto tra Giudice nazionale e Corte di giustizia nel segno dei valori e dei principi costituzionali europei, più difficile ed ingessato richiedendo al giudice, in caso di violazione di una norma interna sia delle disposizioni della Carta del ’48 che di quella di Nizza, di promuovere per primo l’incidente di costituzionalità. Numerose sono state le reazioni critiche dottrinarie ed anche giurisprudenziali nei confronti di questo indebolimento dei poteri del giudice ordinario, anche nella libera valutazione delle scelte da operare in caso di cosiddetta “doppia pregiudizialità”, che hanno sottolineato come il sistema voluto dalla sentenza n.269 alimenti una preoccupante  ed inopportuna tensione con la Corte di giustizia ed incrini il potenziale garantistico che finalmente promana dall’applicabilità diretta e diffusa della Carta dei diritti.

Sembra tuttavia, proprio alla luce delle critiche nette all’obiter della Corte costituzionale che è parso voler assestare un duro colpo alla dottrina Simmenthal sulla disapplicazione della norma interna contrastante con quella dell’Unione, ed alla luce dei recenti progressi della Corte di giustizia in tema di diritti fondamentali, che sia ormai chiara e diffusa l’opinione secondo cui una tutela “esterna” (quella sovranazionale, che, come diceva lo stesso giudice estensore della 269 è costituita anche dal giudice nazionale quando opera come giudice dell’Unione) che si affianchi a quella più propriamente “interna”, garantisca molto di più l’effettiva difesa dei diritti fondamentali dell’individuo.          

Brexit

Un modello di relazione che si riduce fondamentalmente all'antagonismo e alla competizione, non alla collaborazione” è la spiegazione psicoanalitica che una protagonista del romanzo Middle England di Jonathan Coe si dà dell'incredibile, per lei e per molti di noi, risultato del referendum del 2016 sull'uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Una ferita lacerante e ancora aperta, le cui conseguenze sono in larga parte assai oscure, e che senz'altro ha segnato un momento altamente divisivo ed un indebolimento dell'Unione.

Molto è stato scritto sull’inedita procedura di separazione e divorzio (tecnicamente di recesso) prevista dall'art. 50 del TUE, e moltissimi profili sono ancora da esplorare.

Nella consapevolezza della dolorosità dell'amputazione, per la cultura giuridica europea si pone la sfida, come indicato dalla dottrina, di ricavare ex malo bonum e di individuare le opportunità di integrazione che un'Europa più ristretta e coesa potrà offrire.

Le politiche sull'immigrazione e le politiche sociali

La Commissione europea con la Comunicazione del giugno del 2017 poi trasfusa nella Joint Declaration del Novembre del 2017 sull’european social pillar ha varato un elenco di (venti) diritti e principi irrinunciabili nell’ambito dell’Unione (che in parte coprono aspetti già disciplinati dalla Carta dei diritti). Il documento (con valore anche di Raccomandazione) ha rilanciato senza dubbio un dibattito continentale sulla dimensione sociale dell’Europa (soprattutto sotto il profilo dell’accesso alle garanzie dello stato sociale per tutti e sulle garanzie dei lavoratori della digital economy), anche se le sue ambiguità (non è in sostanza chiaro se si punti sugli stati - sia pure in un quadro di coordinamento sovranazionale - oppure su una migliore e più decisa  attivazione delle competenze previste dai Trattati a favore degli organi sovranazionali) hanno determinato una certa inerzia nelle iniziative pur previste per dare implementazione in tempi brevi  al progetto di “pilastro sociale”. La questione appare peraltro strettamente connessa ad una riforma della governance economica della zona euro con l’archiviazione delle politiche di austerity e con il riassorbimento dei Trattati (internazionali) sul fiscal compact e sul Meccanismo europeo di stabilità nel quadro giuridico dell’Unione, come previsto negli stessi Trattati. La proposta della Francia di accompagnare queste riforme con la previsione di misure comuni per fronteggiare il disagio sociale (ad esempio per un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione) non sembra allo stato trovare il consenso necessario, anche se alcune di queste (ad esempio il finanziamento dell’Unione attraverso risorse proprie almeno in parte di un reddito minimo europeo erogato ai cittadini in situazione di grave difficoltà o il piano di investimenti in infrastrutture di base proposto da Prodi) paiono imprescindibili per assorbire il malcontento che si  esprime oggi nel voto nazionalista.       

Sul tema epocale dell’immigrazione, l’Unione vive la crisi profonda delle proprie politiche e sperimenta la grande frattura tra blocchi di Stati in contrapposizione tra loro, in una dinamica che accentua egoismi nazionali e che frustra ogni pur timido tentativo di un’iniziativa comune (l’esempio più clamoroso è rappresentato dal rigetto della riforma del Regolamento di Dublino che individua la giurisdizione dello Stato che deve decidere sula richiesta di asilo). Le recenti vicende del blocco dei porti italiani delle navi in soccorso dei migranti Diciotti e Sea Watch invece di muovere l’Unione ad uno sforzo capace di opporsi alla protervia del Ministro degli Interni italiano, hanno segnato l’immobilismo e l’incapacità politica di comprendere la necessità di una risposta forte nel segno della condivisione e della collaborazione. In questi ultimi anni si è segnato un clamoroso arretramento all’interno dell’Unione europea: se nel 2015 l’Ue aveva decretato il ricollocamento di 160mila migranti tra gli Stati membri, nei due anni successivi ci si è fermati ad appena 30mila. Nelle vicende appena richiamate, ci sono volute settimane per poche decine di persone, lasciate in mare in attesa di una decisione.

L’Unione europea deve riscoprire la centralità del principio di solidarietà e il rispetto dei diritti umani su cui è fondata,  che rappresentano il più potente collante ed il motore di ogni politica di integrazione.

Le elezioni del parlamento europeo

Lo scenario domestico porterà ad una forte polarizzazione e drammatizzazione delle elezioni del Parlamento europeo di maggio prossimo, che rappresentano un passaggio imprescindibile della democrazia europea in cui forze politiche espressamente ostili ad una maggiore integrazione cercheranno una legittimazione continentale contro i consolidati gruppi democratici afflitti, specialmente a sinistra, da una certa crisi propositiva.

I magistrati italiani ed europei, quale organo di base dello spazio giudiziario europeo, non possono e non devono sottrarsi al diritto e dovere di ragionare e decidere in un quadro di regole europee, presidiate dalle comuni tradizioni costituzionali e dalla Carta dei diritti fondamentali.

In questo senso giocano un ruolo determinante la formazione e l'associazionismo, strumenti di circolazione di informazioni e di idee, di apprendimento e di confronto.

Il dialogo tra le Corti ed il dialogo dei giudici nazionali con la Corte di giustizia, che ha dimostrato con la sua giurisprudenza che l’indipendenza del potere giudiziario è un principio cardine dello Stato di diritto, continuano e continueranno ad essere un veicolo essenziale di garanzia del giusto processo e dei diritti delle persone che il servizio giustizia è chiamato a garantire.

Un impegno in cui ci riconosciamo e che raccogliamo con convinzione, con la consapevolezza delle responsabilità delle funzioni giudiziarie nello spazio di libertà sicurezza e giustizia a protezione dei valori di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà scolpiti nella Carta dei diritti fondamentali.