Intervento di David Ermini, Vicepresidente CSM

 

Un saluto a tutti i presenti. Ringrazio la segretaria generale per l’invito, che mi permette di condividere con voi brevi riflessioni su un tema cardine – magistrati e cittadini – al centro di questo vostro congresso. Non intendo girarci intorno, dico subito che la questione morale nella e della magistratura – per l’impatto e le ricadute sull’opinione pubblica – più che questione democratica è ormai una vera emergenza democratica. Perché il crollo di fiducia che ha colpito l’ordine giudiziario e il suo organo di governo autonomo mina alle fondamenta la legittimazione democratica della stessa giurisdizione.

Tutti sappiamo che lo tsunami che si è abbattuto in questi mesi è in realtà l’onda lunga di degenerazioni e miserie etiche risalenti negli anni, e sappiamo anche che la gran parte dei magistrati è del tutto estranea all’indegnità disvelata dai ben noti scandali e ne è profondamente turbata; ma altrettanto bene sappiamo che l’attuale crisi della magistratura, per intensità e qualità, è di portata questa volta diversa dal passato e segna il punto di non ritorno. Non esiste un piano B, non ci sono opzioni o vie di fuga, non è data un’altra chance.

Siamo ormai prossimi alla ripartenza e alla ricostruzione del Paese dalle macerie economico-sociali della pandemia, prossimi a una fase irripetibile e ricca di prospettiva ma al tempo complessa e assai delicata, che esige il ruolo centrale del corpo giudiziario a tutela dei diritti e presidio di legalità. Non è pensabile che una fase storica come quella che si prospetta dinnanzi a noi possa permettersi una magistratura, per così dire, dimezzata. O adesso si cambia radicalmente risiglando e rinsaldando il patto fiduciario con i cittadini o il vulnus di credibilità rischierà di essere letale per lo stesso assetto democratico. Attorno alla giurisdizione e al rinnovato prestigio della magistratura si giocherà buona parte del futuro del Paese.

Ci attendono dunque mesi decisivi, mesi che dovranno essere connotati da sincero spirito riformatore, che certo non può essere vendicativo o rancoroso. Perché se è vero che una riforma incisiva e coraggiosa della giustizia nel suo insieme è vitale, urgente e improcrastinabile, è anche vero che nessuna riforma può essere di per sé risolutiva se non si accompagna al cambiamento morale e culturale.

Io ho piena fiducia nella ministra Cartabia, di cui – consentitemi l’inciso – ho particolarmente apprezzato le dure parole di condanna e la ferma reazione dinnanzi alle inqualificabili violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ho piena fiducia, dicevo, nella sensibilità istituzionale della ministra Cartabia, nella sua competenza, nelle sue capacità di dialogo e sintesi. Confido che le forze politiche, tutte le forze politiche in Parlamento, abbiano la consapevolezza che la strada delle riforme è strada a questo punto obbligata – e non solo per l’accesso ai fondi del Recovery ma per gli equilibri delle stesse istituzioni – e responsabilmente convergano su soluzioni condivise e nel solo interesse generale di un sistema giudiziario efficace e giusto. La giustizia, lo voglio ripetere anche qui, non può piegarsi a rivalità di natura elettorale né a impuntature pregiudiziali né a rivalse dal tratto punitivo.

L’interesse generale esige che i cittadini possano confidare in una magistratura che sappia rendere efficace, tempestiva e di qualità la risposta di giustizia. L’interesse generale, specie in un contesto europeo che segnala gravi arretramenti di alcuni Paesi sul piano dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura e dell’avvocatura (un tema all’attenzione del Consiglio superiore che ha in programma un apposito seminario per il prossimo martedì), va nella direzione della piena tutela e del rafforzamento dell’autonomia della giurisdizione in quanto idea fondativa del costituzionalismo liberal-democratico che è alla base del progetto europeo.

Separazione dei poteri, autonomia e indipendenza della magistratura sono valori e principi miliari e irrinunciabili, che vanno sottratti alle tensioni politiche e mediatiche. In questo senso sono convinto che la sede naturale per riforme condivise sia il Parlamento anziché un percorso referendario che, in ragione della sua natura necessariamente abrogativa, potrebbe condurre esclusivamente a esiti parziali e, come tali, asistematici. Ciò presuppone, insisto, apertura al confronto e rinuncia a posizione divisive e preconcette. Vale per tutti gli attori in campo – politici, magistrati, avvocati, accademici, e aggiungerei anche i giornalisti – perché il solo obiettivo è e deve essere una giurisdizione autorevole e imparziale quale luogo di tutela dei diritti e delle garanzie. 

Alla magistratura si chiede però di più. A iniziare dalla rigenerazione ideale e culturale dei gruppi associativi se davvero non si vuole che il legittimo e fertile pluralismo giudiziario sia definitivamente percepito e respinto dalla società civile come mero contesto di potere, clientelismo e tornaconto personale. Già in altre occasioni ho avuto modo di notare il destino parallelo – penso al crescere del leaderismo, alla formazione di oligarchie e allo svilimento delle dinamiche democratiche interne – tra le correnti e i partiti politici tradizionali fino a condividerne il declino in vuote macchine autoreferenziali. 

Sussiste dunque, da parte della magistratura associata, la necessità di una seria riflessione. Mai mi permetterei di entrare nel dibattito interno dei singoli gruppi associati, solo a loro spetta confrontarsi in modo maturo sui percorsi da intraprendere. Ma mi rivolgo a ciascun magistrato perché si interroghi in coscienza innanzitutto sui danni del carrierismo fine a sé stesso, virus letale e motore di scambi immorali che hanno inquinato la vita consiliare. Faccio mio quanto da tempo sostiene Luigi Ferrajoli: il carrierismo va rifiutato. Non solo perché in contrasto con il dettato costituzionale che distingue fra loro i magistrati “soltanto per diversità di funzione”, ma perché lede l’indipendenza interna ed esterna dei magistrati e la credibilità dell’istituzione giudiziaria tutta.

E poi mi sento di invitare ciascun magistrato al riserbo, alla sobrietà, all’estrema prudenza nell’uso dei social media, al rigetto di protagonismi e lusinghe televisive. La credibilità e il prestigio dell’istituzione giudiziaria hanno il loro punto di forza nella continenza e nell’umiltà di ogni singolo magistrato: in tal modo si consolida l’autonomia e l’indipendenza e ci si preserva da critiche denigratorie e delegittimanti.

E’ un bene che il Consiglio superiore rifletta il pluralismo culturale delle rappresentanze, ma ciò non può e non deve significare che nell’esercizio di autogoverno pesino condizionamenti e ingerenze correntizie. Chi è eletto al Consiglio risponde solo alla sua coscienza, non a rapporti fiduciari, non a logiche di appartenenza. Ciò detto, aggiungo però che la discrezionalità è e rimane una prerogativa irrinunciabile dell’autogoverno, è necessaria perché le scelte che il Consiglio assume possano costituire fino in fondo concreta attuazione dei principi costituzionali. E’ una responsabilità, questa, che rivendico e alla quale il Consiglio non può e non deve rinunciare. A questo proposito, non posso non evidenziare la complessità degli attuali rapporti tra l’esercizio delle prerogative consiliari e la giurisdizione amministrativa che talvolta anziché operare un controllo, sul piano della legittimità, sulle scelte adottate in sede di autogoverno finisce per esercitare, in luogo del Consiglio e senza disporre di un adeguato patrimonio informativo, le attribuzioni che la Carta costituzionale riserva a quest’ultimo. 

In questi due anni il Consiglio superiore, anche al di là delle sue colpe e talora anche a prescindere da un suo diretto coinvolgimento, è stato purtroppo il palcoscenico mediatico della decadenza etica della magistratura. Il Consiglio ha rischiato di essere travolto subendo insistenti e ripetuti richiami allo scioglimento (mi chiedo: per ripartire da dove?). E tuttavia – lo dico con convinzione e ringraziando ancora una volta il presidente Sergio Mattarella per la sua guida saggia e illuminata e il sostegno che mai è mancato – abbiamo e stiamo dimostrando di saper continuare ad assolvere la funzione di governo autonomo della magistratura attribuita dalla Costituzione. Possiamo aver commesso errori, però rivendico la trasparenza delle nostre decisioni e il quotidiano impegno per scelte al di fuori delle dinamiche correntizie. Abbiamo votato nomine importanti seguendo criteri nuovi e stiamo celebrando procedimenti disciplinari e di incompatibilità ambientale in numero decisamente maggiore rispetto al passato. 

Ci attende ora il compito oneroso, alla luce delle riforme che verranno, di predisporre nuovi regolamenti interni affinché il prossimo Consiglio, eletto sulla base di una rinnovata legge elettorale, sia posto da subito nelle migliori condizioni funzionali e possa completare il percorso da noi avviato per restituire il prestigio, l’autorevolezza e il rispetto che spettano a un organo di rilievo costituzionale qual è il Csm.

Sappiamo che in quest’ultimo anno si misurerà la nostra credibilità – insieme a quella di tutti i magistrati, dell’Associazione nazionale magistrati e dei gruppi associativi – nel ricostruire quel rapporto di fiducia tra magistratura e cittadini che è indispensabile al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica. E’ un risultato che non possiamo non conseguire.