Sezione Catanzaro-Cosenza - La voce di Md unita alle altre in tempi che lo richiedono

Documento approvato il 15 febbraio 2019 dall’Assemblea della Sezione Catanzaro-Cosenza

Stefano Rodotà, nel prologo di quello che può essere considerato il proprio testamento ideale, afferma che «...i diritti parlano, sono lo specchio e la misura dell’ingiustizia e uno strumento per combatterla. Registrarne minutamente le violazioni non autorizza conclusioni liquidatorie. Solo perché sappiamo che c’è un diritto violato possiamo denunciarne la violazione, svelare l’ipocrisia di chi lo proclama sulla carta e lo nega nei fatti, far coincidere la negazione con l’oppressione, agire perché alle parole corrispondano le realizzazioni. Lo storico appello alla “lotta per il diritto” si declina oggi come lotta per “i diritti”» (Il diritto di avere diritti, Laterza, pag.4)

Muovere dallo sguardo ampio e profondo di quel nostro indimenticato conterraneo e amato compagno di strada di Magistratura democratica è il modo migliore per accostarsi alla riflessione collettiva che ci accingiamo a ripetere a Roma, nel nostro congresso nazionale.

Da un piccolo gruppo di “magistrati democratici”, che vive ed opera in uno dei distretti più marginali e difficili d’Italia, in quella che è forse la più marginale e difficile delle sue Regioni, il pensiero non può che andare, in primo luogo, proprio a questo territorio, nel quale, lavorando gomito a gomito con tanti altri colleghi, spesso molto giovani, ci confrontiamo ogni giorno con la sensazione, dolorosa e frustrante, che ogni passo avanti in quella “lotta” sia seguito da dieci all’indietro.

In uno dei distretti con l’età anagrafica media più giovane e caratterizzato da un’estensione e morfologia che rendono ardui gli scambi e contatti fra i diversi circondari, oltre che dalla presenza di 5 piccoli o piccolissimi tribunali su 7 complessivi (con tutte le conseguenti e consuete “sofferenze” che assillano i piccoli uffici), è ormai radicata la consapevolezza che, ad una tradizionale “distrazione” dell’amministrazione centrale dello Stato, faccia da contraltare una presenza dell’autogoverno che è troppo spesso circoscritta temporalmente allo spazio di una campagna elettorale. Circostanza che certo non aiuta l’azione politica di un gruppo come il nostro, che predica e vorrebbe praticare una politica della giurisdizione non orientata dalle sole istanze della corporazione, ma, soprattutto ed in primo luogo, da quelle dei cittadini, che attendono dai nostri uffici una risposta di giustizia che non arriva o arriva troppo tardi. Tanto più ove si consideri la presa ferrea che da sempre hanno sul distretto gruppi che, invece, fanno della politica porta a porta e della “attenzione” alle esigenze ed aspettative del singolo magistrato la sola cifra culturale percepibile del loro impegno e la chiave del loro successo.

Ecco, noi vorremmo che Magistratura democratica, nella sua dirigenza, nei suoi rappresentanti in Anm e nell’organo di autogoverno, mostrasse finalmente una consapevolezza “attiva” e non solo enunciata del fatto che è proprio in territori come questi che si colloca la prima linea di quella «lotta per i diritti» che Rodotà evocava. Che ne fosse attivamente consapevole, ad esempio, quando si tratterà di individuare i criteri con cui distribuire i nuovi 600 posti conseguenti al già deliberato aumento di organico della magistratura; che ne fosse consapevole rilanciando con il dovuto vigore la battaglia per un’ulteriore e decisa revisione delle circoscrizioni, ché Tribunali come gran parte di quelli ubicati in questo distretto non avranno mai la possibilità di rendere un servizio accettabile, qualsiasi soluzione di corto respiro si voglia escogitare; che faccia il possibile perché si intervenga su situazioni strutturali e vicende scandalose, come quella che riguarda il Tribunale di Vibo Valentia – in un passato non lontano travolto da vicende drammatiche per la credibilità della giurisdizione - che si sarebbe dovuto insediare in un nuovo edificio, rivelatosi fatiscente ed inagibile prima ancora della sua inaugurazione e dove si trova ad operare un solo giovanissimo collega in condizioni che violano tutte le normative di igiene e sicurezza sul lavoro; che faccia il possibile per accertare come possa accadere che giovani colleghi, addirittura Mot, si trovino a dover svolgere funzioni dirigenziali in uffici di prima linea e scongiurare il ripetersi di simili evenienze.

E se un territorio come il nostro può essere ritenuto una delle linee più avanzate di quell’impegno cui ci chiamava Rodotà, è solo alzando lo sguardo verso l’intero panorama nazionale e transnazionale che si possono scorgere le molte linee di frattura che percorrono istituzioni, norme, garanzie e valori attorno ai quali si è cementata la convivenza nelle nostre comunità dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.

La relazione della segretaria generale ha descritto con efficacia il «progetto di mutazione genetica che vuole disfarsi dei vecchi arnesi della democrazia rappresentativa e sostituirli con le illusioni della democrazia diretta e del “governo del popolo”» all’opera nelle democrazie di mezzo mondo (non solo in Europa: basti pensare agli Stati Uniti di Trump ed al Brasile di Bolsonaro) e davvero poco si potrebbe aggiungere alla lucidità di quell’analisi.

Tuttavia, la “resilienza”, alla quale dovrebbero sentirsi chiamati, nell’esortazione di Mariarosaria Guglielmi, quanti abbiano a cuore la difesa di quei valori fondamentali oggi minacciati, trova un riscontro a macchia di leopardo nell’operato della magistratura. Come può essere riscontrato, ad esempio, nei campi, particolarmente significativi, della giustizia del lavoro e del processo penale.

Nel primo campo, a pronunce caratterizzate dall’ampiezza dello sforzo cognitivo diretto all’apprensione della reale portata dei fatti in giudizio e dalla profondità dell’elaborazione sistematica in funzione di più avanzata tutela dei diritti sociali e del lavoro fa da riscontro una maggioritaria giurisprudenza difensiva, che fronteggia i numeri soverchianti dei ruoli, le scoperture d’organico e le richieste di performance numeriche che provengono dai dirigenti degli uffici giudiziari e dallo stesso autogoverno rifugiandosi nella moltiplicazione delle nullità, preclusioni e decadenze e nell’ossequio al precedente di legittimità. Una giurisprudenza che abbandona la strada impervia della ricerca della “verità materiale” per sostituirla col comodo viale della questione di diritto, lastricato da massime della Cassazione.

Analoghi chiaroscuri chiazzano il processo penale, il settore della giurisdizione da sempre più esposto alle avances ed alle reazioni del potere politico, come si è avuta prova in questi mesi nelle vicende connesse al salvataggio di migranti in mare da parte delle navi delle Ong. Abbiamo assistito ad un processo di progressiva criminalizzazione delle attività di queste organizzazioni, che pure, secondo dati dell’Unhcr, hanno salvato fino ad oggi la vita a 46.796 naufraghi nel Mediterraneo centrale. Processo di criminalizzazione inaugurato dal precedente Governo e portato all’estremo dall’attuale. Rispetto al quale sono apparse singolarmente consonanti le dichiarazioni di un procuratore della Repubblica che accompagnava la prospettazione di gravi reati con l’ammissione di non averne le prove e con la richiesta di strumenti tecnici per poterle attingere. Candidamente esibendo la tipica distorsione inquisitoria che vede l’enunciazione del reato precedere la ricerca dei mezzi di prova anziché seguirla. Abbiamo ancora assistito ad un succedersi di sequestri di navi e dissequestri, castelli accusatori progressivamente smantellati unitamente alla ritenuta competenza territoriale e ad un singolare, progressivo, rimodularsi delle accuse, virato dal canonico favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accompagnato da associazione a delinquere, man mano, all’illecito smaltimento di rifiuti ed alla violenza privata ai danni delle autorità italiane. Chiaroscuri, come si diceva, ché a tali prospettazioni hanno fatto da contrappunto articolate e motivate pronunce, che hanno ricordato il contesto di obblighi internazionali e relative norme sovraordinate che presiedono le attività di soccorso in mare e l’esistenza di norme cardine del diritto penale come la scriminante dello stato di necessità.

Fino alla vicenda della richiesta di archiviazione nei confronti del Ministro dell’Interno per possibili reati ministeriali connessi al fermo della nave Diciotti, motivata con quelle superiori finalità politiche la cui valutazione sarebbe, invero, rimessa esclusivamente alla Camera competente (art.9, co.3°, legge costituzionale n. 1/89). Proveniente dalla Procura e non recepita dal Tribunale dei ministri, che, con articolata motivazione, ha invece optato per la richiesta di autorizzazione a procedere. Immediatamente seguita da virulente accuse di colpo di Stato nei confronti dei giudici, che ci riportano indietro, all’epoca amara, per gli equilibri costituzionali ed il principio d’eguaglianza, del berlusconismo imperante. Ed anche oggi come allora il nemico additato ai propri militanti ed elettori è sempre lo stesso: Magistratura democratica. Con il grottesco dell’attribuzione di appartenenza al gruppo a colleghi che non vi hanno mai avuto nulla a che fare, quando non addirittura alla stragrande maggioranza di essi (è circolato un elenco di aderenti ad Md di oltre 6 mila nomi!).

Vi è certo, in questo, un vero e proprio riflesso condizionato radicato, in uno Stato uscito da una dittatura feroce ed ultraventennale e sempre attraversato da forti venature di autoritarismo, sin dai tempi del pretore rosso descritto da Calamandrei, ma vi è anche dell’altro.

Lo dice la storia più recente di questo Paese, sin dalle accuse di Cossiga e poi di Craxi e poi di Berlusconi e, buon ultimo, dell’attuale Ministro degli Interni. Lo dice l’attualità, con gli assalti squadristici on line alla pagina Facebook del gruppo, con gli inviti delle formazioni di estrema destra a prenderci a sassate quando converremo a Roma per il congresso. Md è attaccata dal potere, specie quando si fa più pervasivo ed opprimente, perché è un gruppo di donne ed uomini che esercitano la giurisdizione elaborando, da oltre quarant’anni, un pensiero collettivo che ha sempre inteso fare i conti con la realtà prima che con le norme e saputo dare una lettura della società, della sua stratificazione, degli interessi che convivono o si scontrano in essa e decidere, in trasparenza, di stare dalla parte di coloro ai quali si rivolge la promessa riequilibratrice dell’art. 3, 2° comma.

Ma non saremmo onesti con noi stessi se negassimo che questa tensione ideale ha subito non brevi periodi di appannamento. Tanto nell’operare collettivo che in quello dei singoli e ciò ha compromesso la nostra credibilità. Anche da qui è iniziata la riflessione che ci ha condotti, oltre quindici anni fa, ad intraprendere, insieme ai nostri compagni di strada dei Movimenti-Art.3, il percorso di Area. Un percorso che ci ha consentito di tornare ad interloquire con i magistrati più giovani, di confrontarci con istanze diverse da quelle cui eravamo abituati, di approfondire tematiche che non erano nel nostro Dna, come quelle connesse all’organizzazione e miglior funzionamento degli uffici, un percorso che sembrava aver raggiunto un approdo sufficientemente stabile con la nascita di AreaDG ed il suo consolidamento organizzativo ed operativo. Sino a quando la proposta dell’esecutivo dei Movimenti di cancellare la possibilità dell’iscrizione doppia ed automatica non è intervenuta a segnare una netta cesura con l’assetto che pareva essersi finalmente conseguito. Poi fortunatamente non recepita, ma sostituita dalla richiesta a Md di un previo coordinamento con Area di ogni intervento pubblico del gruppo.

A noi pare, invece, che le risposte alle domande poste nell’assemblea nazionale di AreaDG debbano essere ricercate nella storia di questi quindici anni di impegno politico e culturale comune. È una storia, riteniamo, che ha visto sempre l’impegno leale e profondo di Magistratura democratica, della sua dirigenza, dei suoi aderenti. Abbiamo percorso questa strada con convinzione anche quando talune modalità organizzative adottate non ci convincevano e ancora continuano a non convincerci del tutto. Come è il caso delle primarie, che non hanno condotto a quell’incremento elettorale cui si sperava ed hanno, per contro, rafforzato, forse in modo irrimediabile, centri decisionali estranei ai circuiti statutari e radicati nei distretti di maggiori dimensioni. Così ponendo un oggettivo problema di eguali diritti e possibilità per distretti come il nostro o ancor più piccoli oltre che di trasparenza delle decisioni.

Nonostante queste ed altre perplessità che hanno attraversato il gruppo, nessuno può mettere in discussione la forza e la lealtà dell’impegno speso lungo il percorso comune prescelto. Esplicatesi con le peculiarità proprie di Md, che non è una fondazione culturale, ma un’associazione che fa politica, politica della giurisdizione e lo fa (lo ha sempre fatto) oltrepassando i limiti angusti della categoria e cercando di raccogliere sempre il punto di vista dei dimenticati dalle dinamiche di progresso sociale, dei travolti dalla storia, anche dei rei e dei devianti, di cui ha sempre cercato di salvaguardare i diritti.

Per poter continuare ad essere tutto questo, Md deve poter continuare ad operare e parlare con la sua dirigenza nazionale ed i suoi segretari sezionali e certamente lo farà trasmettendo tempestive comunicazioni ad AreaDG, ma non può esserle chiesto un obbligo di previo coordinamento, che equivarrebbe – tanto più in tempi in cui la tempestività della comunicazione e dell’azione è tutto – a confinarla nell’angusto ruolo di colto pensatoio. Che è esattamente ciò che Md ha sempre rifiutato di ridursi ad essere.

Pensiamo che sia autolesionista ingaggiare uno scontro su questo. Uno scontro che è destinato a non avere vincitori e che ci lascerebbe una Md lacerata e più debole, qualunque ne fosse l’esito ed un’AreaDG più debole e probabilmente lacerata anch’essa. Proprio oggi, con torve ombre nere che si allungano sul Continente europeo e sul nostro Paese, con il risorgere e dilagare di un odio razziale che pensavamo di esserci lasciati per sempre alle spalle, con venti di guerra che tornano a soffiare forte dal medio oriente al Sud America, con la prossima reinstallazione di armamenti nucleari sul nostro territorio, proprio oggi vogliamo spaccarci su questo?

Facciamo appello a tutti affinché nessuna mozione con un simile ordine del giorno sia messa ai voti ed il congresso possa svolgersi confrontandoci sulle molte, formidabili questioni su cui verte il suo programma dei lavori.