Attualità di un'eresia

dal Consiglio nazionale

Attualità di un'eresia


Per ragionare sull’attualità conviene ri-andare brevemente alle origini della nostra eresia, alle origini di un intervento sempre più intenso e ricco. 


1.  Le origini 


Per ragionare sull’attualità conviene ri-andare brevemente alle origini della nostra eresia, alle origini di un intervento sempre più intenso e ricco. Cosa avvenne nei primi anni Sessanta? A suo tempo, per la magistratura e per la stessa cultura politica la proiezione all’esterno di Md, il suo voler essere in immediato collegamento con gli intensi fermenti di rinnovamento della società civile costituirono una novità difficile da capire.  Il giudice non organo dello stato-apparato ma momento di raccordo fra stato e società civile, diceva qualcuno. Uno scandalo, dicevano molti.


Detto in altro modo, per usare una formula di Mario Tronti riferita ovviamente ad altro contesto, Md “dentro e fuori”. Cioè. Un forte impegno, dentro la magistratura e più in generale nelle istituzioni, nella giurisprudenza e negli uffici, per la loro democratizzazione, e contemporaneamente la presenza attiva nel dibattito pubblico, e nelle iniziative per la difesa e la promozione dei diritti, vecchi e nuovi. 


Con la sottolineatura che quando la Costituzione all’articolo 3 dice che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale …”, intende riferirsi a tutte le istituzioni, compresa la magistratura, compresa la giurisdizione. Per Md, una scelta di campo.


Riassumeva questa situazione Pietro Ingrao. Md uno strano animale, impegnato in una battaglia di trasformazione politica e sociale, e contemporaneamente nella costruzione di una specifica cultura giuridica.


Così, alla fine degli anni Sessanta, l’interferenza e le controinaugurazioni. La proposta di referendum per i reati di opinione e la riflessione sull’uso alternativo del diritto. Di qui, nella magistratura una tensione crescente.


L’ordine del giorno Tolin, 30 novembre 1969, fu l’occasione per l’esplodere di una situazione ormai non più controllabile con accomodamenti verbali. 


Le ragioni di una crescente divaricazione erano evidenti. Una generica democratizzazione  dell’istituzione giudiziaria non bastava più. Una componente non trascurabile voleva il giudice mediatore fra i conflitti, teso alla realizzazione della pace sociale. E invece proprio il conflitto veniva visto da una parte di Md come momento essenziale per il rinnovamento. La strage del 12 dicembre 1969 favorì la scissione, forse più dell’ordine del giorno Tolin. Avvenne una specie di purificazione radicale, dal mio punto di vista, com’è avvenuta oggi, con la fine, per noi, di Area. C’è un parallelismo fra quanto avvenne allora, con la configurazione di una seconda Md, e quanto è avvenuto nel 2022?  Non credo di forzare  la lettura degli avvenimenti se dico che oggi è stata la rinnovata domanda di radicalità, di capacità di critica, di essere “dentro e fuori”, ad allontanare molti aderenti, così favorendo il configurarsi di una terza Md.


2. Dalla stagione delle riforme all’illusione di Area


Quella rottura ci aprì inizialmente spazi nuovi, in un contesto favorevole. La prima metà degli anni Settanta fu per il Paese una stagione di riforme, lo statuto dei lavoratori, l’ordinamento regionale, il divorzio, l’obiezione di coscienza, la necessaria presenza del difensore all’interrogatorio. Per la linea di Md, dentro e fuori, fu una grande stagione. Era forte l’atteggiamento cooperativo/costruttivo di Md.  Ad esempio, un grande impegno per il successo del processo del lavoro, anche con le udienze in fabbrica. E però, contemporaneamente, il referendum e il contrasto alle varie leggi  speciali. Fu grande il ruolo di Quale Giustizia e quello della rivista “magistratura democratica”. Fu intensa la valorizzazione della giurisprudenza di merito, fatta di  critica e di proposta.


Poi, con l’inizio della crisi del movimento operaio, il craxismo, con le tentazioni di centralizzazione del potere, il crescere e Il permanere negli anni dell’insofferenza per i controlli e le difficoltà della magistratura, il no al governo dei pretori. Il consiglio nazionale del Psi del 1982 e una diversa configurazione del Pm. Un disegno, quello esposto da Bettino Craxi, che fallì perché riuscimmo a coinvolgere una parte dell’avvocatura. 


Quindi, dopo la stagione di “mani pulite”, Il berlusconismo. Le leggi vergogna, Md il cancro della democrazia.  2003: il patto di Lorenzago (e il 61% dei no nel 2006), l’impegno forte di Md per il no nel referendum.


Di qui la spinta alla difesa dei fondamenti della giurisdizione e all’unità dei magistrati, con l’annesso riemergere del corporativismo.


In un contesto complessivamente avviato all’indietro (a “il  prima di Cristo” e “il dopo Cristo” di Sergio Marchionne, siamo ormai nel 2010, seguivano dopo poco tempo i progetti del governo Renzi, anche di revisione della Costituzione,  e il jobs act), la spinta all’unità associativa era forte. Di qui la critica alla giurisprudenza e alla repressione del dissenso si andava attenuando.


2006-2010 la tentazione/illusione di Area   l’eresia si appanna   il congresso di Napoli, con l’esplicita indicazione dell’essenzialità dell’impegno in Anm. Un ripiegamento verso l’interno, spinto dall’illusione di poter così rafforzare la difesa della giurisdizione.


3.  Problemi per l’autonomia e impoverimento della linea politico-culturale


Ricordo una lettera di Livio Pepino, che a un certo punto mi segnalava, allarmato, un’intervista a Repubblica di Giuseppe Cascini, che rifiutava la definizione di toghe rosse che per convenzione giornalistica veniva riferita a Md, “noi siamo moderati”, mi pare che dicesse.


Ma altre vicende hanno segnalato rilevanti pericoli di arretramento, di chiusura. Ne cito una, perché mi ha visto direttamente coinvolto, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale proposta da Matteo Renzi. In tanti dibattiti non ho incontrato mai gente di Md. Perché ho temuto per Md. Da un lato Questione Giustizia, ma dall’altro l’atteggiamento di tanti aderenti, incerti, anche disponibili di fronte al disegno renziano.


Più tardi, a partire dal congresso di Bologna, fino a quello di Firenze, siamo riusciti a sfuggire alle logiche di chiusura. Un chiarimento necessario è stato la lettera di dimissioni di 25 aderenti: la radicalità, del linguaggio e delle scelte, non era accettata, così sono andati via.


Sorge quindi una domanda. Può essere attuale, e con quali nuovi caratteri,  quell’eresia? La ripresa dell’autonomia è favorita da un contesto di arretramento che appare vincente, contro il quale i silenzi, le prudenze e le compromissioni appaiono ormai inutili. L’autonomia è dunque necessaria. L’attualità ce la impone la storia o più semplicemente la cronaca. La si può evitare solo chiudendo gli occhi. Meglio affrontarla con il patrimonio collettivo di valori che Md ha a disposizione. A me pare che l’attualità con la quale oggi ci dobbiamo misurare sia data dall’esigenza di creare nel quadro politico-culturale una dialettica forte, con l’introduzione di atteggiamenti, di scelte e di proposte di segno alternativo. Non verranno accettate? Ma costringeranno al confronto. Dunque una dialettica che contempli una logica di fondo diversa. Questo è il ruolo dell’eresia di oggi.


4. Quale eresia oggi


“Dentro e fuori”, ancora oggi. Con una serie di scelte, uno dei significati della parola eresia è proprio scelta, una serie di scelte, in un contesto profondamente cambiato. Al tempo delle nostre origini all’ordine del giorno vi era anche per la magistratura  - questa era la nostra ambizione - l’attuazione di una Costituzione finalmente scongelata, la realizzazione di diritti vecchi e nuovi sempre messi accuratamente da parte.


Oggi vi è la necessità di aggrapparsi a principi costituzionali brutalmente messi in discussione, per difendere i diritti per quanto è possibile. In questa direzione c’è la necessità di una dialettica forte, che in qualche misura rompa gli schemi dell’attuale dibattito.


Due indicazioni essenziali, nell’oggi, con la capacità di attenzione e di proposta anche per interventi trascurati.  Come aggrapparsi ai principi.


L’impegno in primo luogo per la giustizia a sostegno dei fondamenti dell’ordinamento costituzionale e democratico, oggi messi esplicitamente in discussione secondo una rinnovata logica di centralizzazione, e un’attenzione critica ai vari progetti di riforma della giustizia, del Pm e del Csm, dell’attuale governo.


E poi un rilancio della cultura dell’interpretazione, da proporre con rinnovata convinzione con la rivista e nei tribunali con la diffusione di documenti, un effettivo controllo  sulla giurisprudenza e sui provvedimenti giudiziari con una critica argomentata e rigorosa (che è complemento necessario dell’indipendenza dei giudici, bisogna ricordarlo a chi si lamenta).


5. L’attuale contesto


La situazione oggi. Realisticamente. Tante lamentazioni di questi mesi e di questi giorni sono davvero inutili. Conoscevamo da tempo i soggetti - la loro ideologia, i loro obiettivi - che ora sono al governo. 


E poi, i loro intellettuali! Qui Carlo Nordio ha sempre avuto, in molti ambienti, la fama di garantista, soprattutto per la sua ostilità ai pubblici ministeri che si impegnavano. Come se l’è costruita? Sappiamo come ha esordito, con un nuovo grave reato, l’anti-rave, in vigore dall’inizio dell’anno. Un quotidiano locale, il Mattino di Padova, ha commentato dicendo: Carlo Nordio non ha esitato un attimo ad accantonare i suoi convincimenti passati, in nome del pragmatismo


E i discorsi sulla necessità di un'ampia depenalizzazione? Ecco il pragmatismo. Intanto, da un lato, il nuovo reato di inizio d’anno, per generale giudizio applicabile bel al di là di raduni incasinati di giovani, introdotto per decreto senza che sussistano le ragioni di necessità e urgenza. 


In realtà, una risposta politica a chi non vuole chiasso, disordini, manifestazioni radicali. E pene rilevanti e un nuovo reato, da ridere se non ci fosse da piangere, per l’immigrazione. In reazione alla tragedia di Cutro, e al fine di porre rimedio a una ritenuta inadeguatezza delle sanzioni previste per le diverse ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, il legislatore interviene aumentando le pene per tali reati, ed introducendo una nuova fattispecie di «morte come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina». 


Inoltre, il pragmatismo a proposito dell'ergastolo ostativo. Chiedere a un detenuto che da venticinque anni è al carcere duro di collaborare e di dimostrare di non aver più rapporti con le sue antiche associazioni non è solo una clausola impossibile, è una risposta politica a quella parte dell'elettorato che non vuole sconti di pena, benefici, eccetera. 


E il 41-bis? Già, anche qui il pragmatismo, magari dimenticando cose dette o scritte qualche tempo fa, quando il ministro Nordio -  come ha impietosamente ricordato Massimo Cacciari su La Stampa del 31 marzo - parlava di isolamento mortuario e di un sistema che non brilla per civiltà.


Dall’altro lato il garantismo pragmatico del ministro Nordio si concentra nel frattempo nello studio delle limitazioni che si possono apportare al reato di tortura.


Il fatto è che l’elettorato di riferimento è sempre lo stesso, quello della pena certa. Qui lo spazio della critica mi pare ampio. 


Penso che su questi temi, sul fronte della critica, e sulle azioni disciplinari che Carlo Nordio va promuovendo contro magistrati che semplicemente fanno il loro lavoro, Md possa trovare un buon rapporto con gli avvocati.  Per gli avvocati, è necessario uno sforzo per realizzare un rapporto produttivo. In Md le perplessità sono state e sono molte, ma è indispensabile superarle. Un organismo come Md soprattutto oggi deve curare una politica delle alleanze, le associazioni degli avvocati sono per questo importanti. 


Dunque, la politica della maggioranza di governo è per molti aspetti criticabile, ma non ci si può fermare qui.


Meglio perciò andare oltre. Non è necessario affannarsi troppo su altri aspetti della politica governativa. Lasciamo dunque perdere Predappio e le commemorazioni di lutti antichi, La Russa, le sue collezioni e le sue vigliacche letture della storia, il vicepresidente della camera Fontana e i suoi interventi televisivi, i saluti romani e i ministri o viceministri che una volta ogni tanto vestono divise naziste, le lettere copiate dai discorsi di Mussolini di qualche manager di Giorgia Meloni, gli sfoghi di Lollobrigida.  A tanti soggetti si può chiedere di affermare la loro lontananza dal fascismo, non l'antifascismo. Prestiamo invece attenzione alle loro iniziative legislative e alle intenzioni di modifica dell’ordinamento. Ma poi, per creare quella dialettica forte che può se non scompaginare ma almeno mettere in crisi i disegni di centralizzazione, è necessario portare nel dibattito scelte radicali, alternative.


6. Punti di intervento concreto


La rottura dei limiti del dibattito di oggi sarà data novità delle proposte concrete che Md saprà offrire, entrando davvero nel confronto politico, liberandosi da atteggiamenti fin qui adottati spesso in nome di un’unità della magistratura che del resto grandi parti della magistratura stessa dimostra ripetutamente di non volere. Vi è la necessità, anche al di là delle critiche ai vari interventi governativi, di proposte alternative su fatti rilevanti, delle quali nel quadro politico sia necessario discutere.


Spetterà ovviamente alla direzione di Md, al suo consiglio nazionale, definire un programma di interventi. Io mi limito a esprimere alcune considerazioni personali, che in parte ho già proposte. La rottura dovrebbe a mio giudizio articolarsi essenzialmente in un programma di pochi punti concreti sui due versanti essenziali che ho prima ricordato, l’impegno per la giustizia e la cultura dell’interpretazione, senza timidezze, ma sapendo che non di rado l’utopia trascina la realtà.


Un punto da affermare con forza è quello della legittimità, e della necessità, della critica alla giurisprudenza, anche di quella che si deve misurare con dibattute scelte legislative, e della critica proprio a queste scelte. L’esperienza in Area ci ha rallentato non poco sotto questo aspetto. Si discute di alcune scelte di questi giorni della Procura di Padova, che ha contestato l’associazione per delinquere ad alcuni eco- attivisti di Ultima Generazione. E’ percepibile la nostra critica? Inoltre, cosa dice Md del 41-bis? E dell’ergastolo ostativo? E’ possibile che oggi ci siano 1259 detenuti all’ergastolo ostativo, cioè il 70% di tutti gli ergastolani? E che i detenuti sottoposti al 41-bis siano più di 700?


Più in generale, un punto, provocatorio, a proposito del carcere, è quello del tema dell’amnistia e indulto. Non ne parla nessuno. Un anno fa il tema è stato ripreso da Questione Giustizia. Ovviamente l’approccio al tema carcere è ampio e ha molte forme, ma Md può entrare nel dibattito con una proposta-choc.  Al netto di un indulto del 2006, sono ormai trent’anni che non si adottano provvedimenti di clemenza collettiva, e in carcere ci sono 54.000 persone, i cui 2.200 donne. Sono tanti. Ci sbatteranno la porta in faccia, noi  parleremo dovunque della loro ipocrisia, e li costringeremo a misurarsi sulla condizione del carcere e sulla pena, e sull’utilità e la civiltà di un provvedimento di clemenza.


Anche per il grande tema dell’immigrazione, l’attenzione di Md deve essere grande. Si annuncia una legislazione sempre coerente con la filosofia dell’Europa fortezza, fatta di restrizioni, non si vogliono “sostituzioni etniche”! C’è poi un punto defilato, a margine, ma significativo, che investe i diritti, quello dei respingimenti alla frontiera orientale. E’ il fenomeno, denunciato più volte dalle organizzazioni per i diritti umani, dei respingimenti illegittimi, portati avanti in particolare dalla polizia croata con il silenzio complice dell’Unione Europea. Prassi in aperta violazione dei diritti umani di cui anche l’Italia si è macchiata: nel 2020, l’attuale ministro dell’Interno Piantedosi con una circolare sollecitava quelle che venivano definite “riammissioni informali” verso la Slovenia, considerandole attuabili sulla base di un accordo con la Slovenia del 1996, mai ratificato dal Parlamento. Riammissioni di fatto. L’illegittimità di tali prassi non è stata evidenziata solo da organizzazioni internazionali e associazioni, ma anche dal Tribunale di Roma, che con un’ordinanza del gennaio 2021 sottolineava come di fatto tali “riammissioni” impedivano l’esercizio del diritto alla protezione internazionale e andavano sospese. E’ in atto, come alcuni denunciano, una pratica di “riammissioni informali”? 


Altre questioni, oltre quelle dei diritti, quelle dell’ordinamento. Qui stanno maturando interventi pericolosi, rispetto ai quali bisognerà prospettare scelte alternative. 


Si discute oggi, si discuterà del Csm e del modo della sua formazione. Sono noti gli interventi vecchi e nuovi che mirano a snaturarne la natura voluta dal Costituente, fino alla proposta invereconda del sorteggio. Sono però stati molti gli interenti di persone democratiche, sicuramente mosse dall’intento di dare una soluzione a un problema che verrà riproposto all’ordine del giorno, da Guido Neppi Modona a Glauco Giostra e Paolo Borgna. 


Alcune delle loro proposte mi sembrano convincenti, come quella di una composizione del Consiglio per metà di “togati” eletti dai magistrati, e per il resto per un terzo di laici nominati dal presidente della Repubblica, per un terzo eletti dal parlamento, e per un terzo dalla corte costituzionale. Le “deviazioni correntizie” diventerebbero molto difficili, come gli accordi impropri fra settori politici e settori della magistratura. E il Csm tornerebbe a essere autorevole. Oltre all’idea del sorteggio c’è da sventare quella dei due Csm. Si dovrà parlare in ogni caso di modifiche della Costituzione. 


Altro punto di proposta alternativa. Per i consigli giudiziari è necessaria la presenza degli avvocati, a pieno titolo. Md lo chiedeva già negli anni Settanta. Il rilievo fatto da alcuni secondo cui attualmente la presenza degli avvocati con poteri parziali si risolve spesso nel semplice appoggio al parere dei capi degli uffici potrà essere superato appunto con l’attribuzione di un ruolo pieno, di una capacità di intervento uguale a quella del magistrato. Le attribuzioni piene potranno cioè determinare una normale dialettica e contributi significativi. L’idea che i magistrati debbano temere le “ripicche” degli avvocati in consiglio giudiziario mi sembra il frutto di una concezione “paesana”, impropria del ruolo che magistrati e avvocati hanno per la realizzazione della giustizia. 


E per finire,  la separazione delle carriere. Si possono contemperare diverse istanze, cominciando a riconoscere, e a fare conoscere, un dato di realtà. Le statistiche relative ai tramutamenti da una funzione all’altra evidenziano l’assenza di ragioni di tanti timori pubblicamente esposti. Però, nei fatti, a partire dalla stagione del terrorismo e attraverso la pratica del nuovo processo penale, il pubblico ministero è andato acquisendo, nel fare giustizia, un ruolo autonomo sempre crescente.  D’altro lato è essenziale per la democrazia ribadire la necessità dell’ indipendenza del pubblico ministero. 


Ebbene, dovremo misurarci con proposte di rottura. Md potrebbe proporre uno schema che preveda l’unicità del Csm (con le sue opportune articolazioni interne) e l’unità della votazione da parte dei magistrati per la sua elezione, il concorso unico per l’ingresso in magistratura e il comune tirocinio, la scelta definitiva fra ruolo giudicante e ruolo requirente all’esaurirsi delle prime funzioni conferite dopo il tirocinio. 


In conclusione. Vedranno i competenti organismi di Md cosa fare di tutte queste cose. Complessivamente il senso di queste proposte, di queste scelte alternative, è che bisognerebbe essere capaci di dar vita a una dialettica forte. Con il radicalismo non solo del linguaggio ma soprattutto dei contenuti. Solo questo tipo di dialettica può contrastare il tentativo di ridurre progressivamente, di fatto, nelle istituzioni e nell’opinione pubblica, la legittimazione propria delle forme dello stato di diritto


Un tentativo che è ormai in atto da qualche tempo. Ciò è apparso evidente proprio per quel che concerne il rapporto fra potere politico e giurisdizione. L’alleanza fra forze che con la Costituzione non hanno avuto nulla a che vedere, e che anzi non hanno esitato a definirla a volte con toni sprezzanti, si è misurata spesso proprio con la complessità di questo rapporto, mettendo a punto progetti complessivi di riforma dell’ordinamento, come nel 2005, e riproponendo ancora oggi la questione. Un avvenimento significativo si è avuto nel marzo 2013, quando a fronte dello svolgimento innanzi al tribunale di Milano di un processo a carico di Silvio Berlusconi per gravi reati, un rilevante numero di parlamentari ed  esponenti politici di Forza Italia si è riunito sugli scalini del palazzo di giustizia per una manifestazione di protesta. L’incontro ha plasticamente evidenziato l’intenzione della destra italiana di creare un argine insuperabile a difesa del potere politico di governo, da considerarsi intoccabile da parte degli altri soggetti istituzionali. Compresa la magistratura.


Con la vittoria delle destre oggi al governo la giurisdizione è dunque sotto attacco. L’eresia di oggi di Md consiste nell’imporre, alla magistratura e alla politica, una dialettica forte capace di scompaginare i disegni di restaurazione in atto.

 

 

03/05/2023

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