Il Pubblico Ministero, il giudice e la comunicazione

Il "caso Calabria"

Il Pubblico Ministero, il giudice e la comunicazione

Crediamo nel ruolo del Pubblico Ministero che, quale primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali, agisce nella consapevolezza della necessaria relatività delle ricostruzioni accusatorie e della necessità di verificarle nel contraddittorio, e non in quello di parte interessata soltanto al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo. E crediamo nell’impegno dei magistrati che, anche nei contesti territoriali più difficili, continuano a svolgere con questa consapevolezza le loro funzioni, incarnando una giurisdizione terza e imparziale, vera precondizione per un esercizio corretto del difficile compito di giudicare.

Sul Corriere della Sera del 22 gennaio 2021, il Procuratore Gratteri, nel rispondere alla specifica domanda sul perché le indagini della Procura di Catanzaro vengano spesso ridimensionate dal tribunale del riesame o nei diversi gradi di giudizio, afferma: “Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. Così è avvenuto anche in questo caso. Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni”. Affermazione oscura e il giornalista incalza: “Che significa? Ci sono indagini in corso? Qualche pentito che parla anche di giudici?”. Replica: “Su questo ovviamente non posso rispondere”.

Siamo ben consapevoli di quanto sia importante la libertà di parola dei magistrati, anche quale prezioso strumento di difesa della giurisdizione.

Le parole del Procuratore Gratteri, tuttavia, si trasformano nell’esatto contrario e in un rischio per il libero dispiegamento della giurisdizione.

Non crediamo che la comunicazione dei Procuratori della Repubblica possa spingersi fino al punto di lasciare intendere che essi siano gli unici depositari della verità, e di evocare l’immagine del giudice che si discosti dalle ipotesi accusatorie come nemico o colluso.

Con un tale agire, il Pubblico Ministero dismette il suo ruolo di primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali – a partire dal principio di non colpevolezza – e assume quello di parte interessata solo al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo.

Occorre ricordare che l’allarme che una tale modalità di perseguire l’informazione pubblica desta è stato raccolto anche dal legislatore europeo. La Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016, all’art. 4, prescrive infatti agli Stati membri di “adottare le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole”.

Crediamo nel ruolo del Pubblico Ministero che agisce nella consapevolezza della necessaria relatività delle ricostruzioni accusatorie, della necessità di verificarle nel contraddittorio, e del ruolo del giudice terzo e indipendente.

E crediamo nell’impegno dei magistrati che, anche nelle Procure e nei Tribunali dei contesti territoriali più difficili, svolgono con questa consapevolezza le loro funzioni.

E tra questi, in particolare, i molti giovani che, pur gravati da scadenze assillanti e ruoli gravosissimi, continuano a svolgere con entusiasmo il loro lavoro e a rappresentare una giurisdizione terza e imparziale, vera precondizione per un esercizio corretto del difficile compito di giudicare, al riparo dal rischio delle semplificazioni correnti, che offrono scorciatoie di corto respiro.

24/01/2021

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