Il Comitato investigativo della Federazione Russa ha incriminato, nel maggio 2023, i giudici e i procuratori della Corte penale internazionale che avevano partecipato all’istruzione dell’indagine esitata nell’emissione, il 17 marzo 2023, di un mandato di arresto nei confronti del Presidente Putin e della difensora civica dei minori, Maria Lvova-Belova, accusati della deportazione di migliaia di bambini ucraini; accusa a cui poi si sono aggiunte ulteriori contestazioni per crimini di guerra, tra le quali la deliberata distruzione di infrastrutture civili e dell’infrastruttura energetica ucraina, che è invece considerata dalla Russia, in totale spregio del diritto internazionale, un obiettivo militare legittimo.
Tra i magistrati incriminati c’erano il Procuratore presso la Corte penale internazionale, Karim Khan, e il Vicepresidente della Corte, nonché firmatario del mandato d’arresto, Rosario Aitala.
L’incriminazione è immediatamente apparsa come del tutto illegale dal punto di vista del diritto internazionale, ma il processo ai giudici è stato instaurato comunque, in contumacia, sino alla recente emissione di una condanna che ha visto, tra gli altri, il giudice Aitala condannato alla pena più pesante, di quindici anni di reclusione, riconoscendolo colpevole della surreale accusa di avere “perseguito persone innocenti e di tentata violenza contro persone che godono di protezione internazionale”.
Il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale nel 2023 è invece pienamente conforme allo Statuto della Corte che, come noto, prevede (a determinate condizioni, nella specie ritenute sussistenti) la giurisdizione della Corte sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità, e non riconosce la qualifica ufficiale di Capo di Stato o di governo quale causa di esonero dalla responsabilità penale per i crimini previsti dallo Statuto (ai sensi dell’articolo 27 dello Statuto di Roma).
La condanna dei giudici della Corte penale è stata emessa da un Tribunale di Mosca, la stessa corte che ha decretato la deportazione in un carcere di massima sicurezza in Siberia di Alexey Navalny, condannato a diciannove anni e poi deceduto in carcere il 16 febbraio 2024.
A seguito della condanna dei giudici della Corte penale internazionale, tra i quali il magistrato italiano Aitala, la Russia potrebbe persino emettere una Red Notice attraverso l’Interpol e avviare una richiesta di estradizione. Sono giunte, del resto, testimonianze secondo cui, per le strade della capitale russa e in altre città della Federazione, sono apparsi diversi manifesti con il volto di Aitala, indicandolo come “ricercato” e invitando chiunque avesse notizie a fornirle.
Ciò che più sconcerta di questa vicenda non è però l’agire violento e illegale di un regime dittatoriale, che reprime ferocemente il dissenso interno e ha aggredito militarmente un altro stato sovrano e indipendente, ma l’assordante silenzio dei rappresentanti istituzionali dello Stato italiano.
Rosario Aitala è un magistrato italiano che attualmente sta svolgendo il proprio servizio come giudice della Corte penale internazionale, in rappresentanza dello Stato italiano che lo ha nominato e che aderisce alla Corte penale internazionale, essendo perciò soggetto agli obblighi di cooperazione riconosciuti da una legge dello Stato italiano, la n. 237 del 2012, appositamente emanata e tuttora vigente.
In base a tali obblighi legali, lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni dello Statuto della Corte (art. 1 l. n. 237 del 2012) e i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte sono curati in via esclusiva dal Ministro della giustizia (art. 2 l. n. 237 del 2012).
Non solo. In base al Codice penale italiano, chiunque usa violenza o minaccia ai giudici della Corte penale internazionale per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività, oppure per ostacolare o impedire l’adozione di un provvedimento ovvero a causa dell’avvenuta adozione dello stesso, è punito con la reclusione da uno a sette anni (articoli 338 e 343-bis del Codice penale).
Si resta pertanto attoniti di fronte al silenzio dei rappresentanti delle istituzioni italiane e in particolare del Ministro della Giustizia – organo legalmente individuato come garante della collaborazione dello Stato italiano con la Corte penale – di fronte a un’aggressione di tale gravità, da parte di uno Stato estero, alla nostra sovranità nazionale e al sistema di diritto internazionale di cui l’Italia è parte. Un’aggressione che oltretutto configura un serio e grave pericolo per Rosario Aitala.
L’atmosfera che si sta delineando, del resto, nei confronti della magistratura, nel mondo e in Italia, assume caratteri sempre più allarmanti perché le minacce e interferenze provenienti da Stati esteri – basta al riguardo ricordare che l’amministrazione statunitense ha anch’essa recentemente minacciato nuove sanzioni contro la Corte penale internazionale per costringerla a modificare lo Statuto in modo da garantire che non indaghi sul presidente e i funzionari Usa – si affiancano a un clima interno di delegittimazione, di aggressione e di vero e proprio odio sociale, deliberatamente costruito da una parte della politica e della stampa (cui purtroppo si prestano talvolta anche voci dell’avvocatura associata), contro l’ordine giudiziario nel suo complesso e sempre di più anche contro singoli magistrati.
Basti al riguardo ricordare la vicenda della giudice catanese, sottoposta a una vera e propria gogna pubblica, per avere emesso, in materia di diritto dell’immigrazione, un provvedimento che ha tenuto in tutti i gradi di impugnazione. E poi il caso dei giudici della protezione internazionale del Tribunale di Roma, i cui provvedimenti, in materia di protocollo Italia-Albania, hanno parimenti trovato il conforto della Corte di Giustizia dell’Unione europea, tanto da rendere necessaria, nell’aspirazione politica a ottenere decisioni di segno diverso, una recente modifica della normativa europea, a conferma del fatto che, secondo le norme previgenti, nessuna soluzione interpretativa, differente da quella concretamente adottata dai giudici italiani, avrebbe potuto essere presa in conformità al diritto europeo.
E da ultimo il caso della Presidente del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, sottoposta ad attacchi personali e minacce in relazione a un delicato procedimento, peraltro ancora in fase istruttoria, a tutela della salute psicofisica di bambini, le cui vite sono state esposte e strumentalizzate per fomentare l’odio della piazza mediatica nei confronti della giudice e, ancora una volta, della magistratura in generale.
Siamo ormai – lo diciamo consapevoli dell’importanza delle parole – di fronte a una vera e propria guerra, che si combatte nel discorso pubblico e sui media, alla stessa funzione giudiziaria e al suo ruolo di garanzia dei diritti umani, nell’ordinamento interno e internazionale.
Per questo ci sembra necessaria e urgente l’istituzione, presso l’Associazione Nazionale Magistrati, di un osservatorio dei magistrati minacciati, che svolga un’attività di monitoraggio e di approfondimento sulle situazioni che vedono magistrati in pericolo e sotto minaccia a causa dell’esercizio delle loro funzioni, e organizzi attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di stimolo, al Consiglio superiore della magistratura e alle Autorità competenti, a intervenire a loro tutela.
Nel frattempo, sollecitiamo con forza il governo italiano, e in particolare il Ministro della Giustizia, a prendere una posizione netta a fronte dell’aggressione alla nostra sovranità nazionale e al nostro sistema legale perpetrata dalla Federazione Russa con l’emissione della condanna al giudice Aitala, e ad attivarsi in ogni modo e sede, cooperando con la Corte penale internazionale e con le Autorità competenti, per garantire la sicurezza e la necessaria protezione del magistrato.
L’Esecutivo di Magistratura democratica