Comunicati
La straordinaria necessità e urgenza di impedire ai magistrati di partecipare alle riflessioni giuridiche
Scriveva Piero Calamandrei: «sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria».
La proposta di modifica degli illeciti disciplinari alla quale il governo intende dare corso con urgenza e che prevederebbe, quale ulteriore ipotesi di illecito, la consapevole inosservanza del dovere di astensione, non solo nei casi in cui l’astensione sia prevista come obbligo dalla legge, ma anche “quando sussistono gravi ragioni di convenienza” può rappresentare, per l’assetto democratico della giurisdizione, un pericolo forse anche maggiore delle annunciate riforme costituzionali.
Si legge nel preambolo che la “straordinaria necessità e urgenza” di introdurre questo illecito disciplinare è legata all’abrogazione del delitto di abuso di ufficio, per cui, se ne dovrebbe dedurre, la novella non dovrebbe essere letta come iniziativa punitiva verso la magistratura. E’ un argomento non convincente: se si può condividere l’idea per cui l’abrogazione dell’abuso di ufficio determina problemi per l’agire pubblico nei casi di mancata astensione, è difficile comprendere la ragione per cui si avverte l’esigenza di supplire al vuoto normativo solo con la leva disciplinare e solo nei confronti della magistratura.
La reale intenzione sembra un’altra. Da fonti istituzionali è stato infatti rappresentato senza equivoci alla stampa come la norma miri a impedire ai magistrati di trattare affari che implichino l’interpretazione (nella quale rientrano il vaglio di costituzionalità e di conformità europea) di norme sulle quali essi, nel partecipare al dibattito su temi giuridici insieme all’accademia e all’avvocatura, abbiano espresso opinioni e indicato possibili soluzioni interpretative.
L’effetto sarebbe quindi che se un magistrato scrive un articolo su una rivista giuridica o partecipa a un convegno, sostenendo una determinata tesi, dovrà poi astenersi dal trattare le relative controversie, pena la minaccia di procedimento disciplinare.
Deve essere chiaro - soprattutto all’opinione pubblica - che se la finalità della norma fosse quella rappresentata, si risolverebbe in un attacco di proporzioni inedite e inaccettabili all’indipendenza della magistratura, recando in sé l’immagine plastica del magistrato che questo governo mostra di voler ottenere: un silente burocrate, che lascia ad accademici e avvocati lo studio e il ragionamento giuridico e si limita a “eseguire” a seconda dell’aria che tira.
Occorre nuovamente ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza 224 del 2009, ha espressamente sancito che “deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo” e che “nel bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall'art. 49 Cost., e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, l'art. 98, terzo comma, Cost. ha demandato al legislatore ordinario la facoltà di stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati".
Il perimetro costituzionale è chiaro: Il legislatore ordinario può stabilire per i magistrati limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici ma in nessun caso è abilitato a stabilire, utilizzando il sistema delle sanzioni disciplinari, limiti all’incomprimibile libertà di chiunque di manifestare le proprie opinioni, soprattutto nel settore professionale di appartenenza.
E però, paradossalmente, nessuno è mai sembrato interessato a stabilire, per i magistrati, limiti all’iscrizione ai partiti politici, essendovi del resto noti esempi di magistrati tuttora nei ranghi della magistratura che hanno continuamente fatto la spola tra magistratura, partiti politici e incarichi di governo.
Per contro i danni di questa modifica sarebbero grandissimi. Non solo alla magistratura verrebbe impedito di partecipare al dibattito accademico e forense, di fatto relegandola a luogo di mera esecuzione in cui non sarebbe più possibile esprimere ragionamenti giuridici; ma, applicata alla lettera, questa norma renderebbe impossibile anche l’intera attività di formazione della Scuola superiore della magistratura, non essendovi corso di formazione in cui i relatori non siano chiamati a esprimersi sui profili, positivi ma anche critici, delle leggi e non prefigurino possibili scenari interpretativi.
Si vuole togliere alla magistratura anche la formazione? D’ora in poi i relatori della Scuola superiore della magistratura saranno solo avvocati o professori universitari?
Ma è più probabile che, a fronte della previsione di un illecito in alcun modo tipizzato, avverrà in fatto che essa sarà utilizzata per colpire chi adotti decisioni sgradite alle maggioranze politiche.
Ogni volta che questo accadrà, assisteremo a quello che abbiamo già più volte visto: alcuni media inizieranno l’ormai consueta attività di dossieraggio (che può essere attività lecita ove si limiti alla consultazione di fonti aperte, mentre diviene penalmente rilevante se si accede illegalmente a fonti protette, ma resta dossieraggio in entrambi i casi) andando a scavare nei suoi profili social e invadendo senza remore la sua sfera e privata e familiare, alla caccia di una fotografia, un video, un post o addirittura (è accaduto anche questo) un vecchio stato di WhatsApp, magari risalente a molti anni prima, che dovrebbe certificare che quel magistrato avrebbe avuto il dovere di astenersi. E a questo punto arriverà l’azione disciplinare nei confronti del magistrato per omessa astensione.
Non è difficile allora capire quale sia il vero obiettivo di una norma, che si intende introdurre con l’urgenza propria del decreto legge: un via libera al disciplinare per ogni provvedimento sgradito al governo (cosa che il ministro della Giustizia ha già provato a fare nel caso Artem Uss).
Il fine del disciplinare non è colpire la politicizzazione dei magistrati ma la giurisdizione per come delineata dalla nostra Costituzione: indipendente e sottratta al potere politico.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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