Quale Magistratura democratica

Intervento al Consiglio nazionale di Md

Quale Magistratura democratica

di Ottavia Civitelli
Giudice del lavoro presso il Tribunale di Castrovillari - Componente stabile del Consiglio nazionale di Magistratura democratica

Esiste una saldatura ineliminabile tra un autogoverno legittimato, efficace, virtuoso e trasparente, l’organizzazione degli uffici e la tutela dei diritti, la capacità della giurisdizione di fare giustizia.
Questa saldatura non può essere ignorata, o sottovalutata, anzi, va tenuta ben presente per scegliere quale magistratura vogliamo essere.
Oggi, in particolare, per scegliere quale Magistratura democratica vogliamo essere.

 

Questo Consiglio Nazionale si svolge alla vigilia di una fase nuova e cruciale per la giustizia del nostro paese, legata all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Alle porte, l’implementazione del nuovo assetto dell’Ufficio del processo, con l’arrivo degli addetti, le risorse di personale previste per potenziare l’efficienza della giustizia, attraverso un cambiamento organizzativo del lavoro giudiziario e di mentalità da parte dei magistrati.

A completare il quadro, gli interventi di riforma, tanto discussi, sul processo penale e quelli sul processo civile, oltre all’attesa riforma dell’ordinamento giudiziario e del C.S.M., a partire dalla legge elettorale, tanto più impellente, in vista dell’avvicinarsi del prossimo rinnovo del Consiglio Superiore, c’è poi la prospettiva dei referendum.

Filo rosso del dibattito sulla magistratura la questione etica, la sfiducia del paese, a seguito delle note vicende, il tema, sempre attuale, della capacità, da parte dei magistrati, di assumere decisioni e, più in generale, di fare scelte, nell’esercizio della giurisdizione, che siano “comprensibili e riconoscibili”, effettivamente in grado di rendere giustizia.

Nel mondo di oggi, il problema della giustizia è grave, nel senso ancestrale del termine, ma anche nel suo senso profondamente moderno.

A fronte di un formale riconoscimento di diritti, sul piano nazionale e internazionale, mai così avanzato, le persone muoiono in mare e ai nostri confini, affamate di uguaglianza e dignità e, nel percorso della loro tragedia, subiscono trattamenti contrari a tutto ciò che è conclamato nelle nostre Costituzioni e “Carte”, nella sostanziale indifferenza generale.

Nel nostro paese, le persone sono detenute negli istituti di pena, troppo spesso, in condizioni sovraffollate e degradanti.

A fronte di una parità tra i sessi teoricamente acquisita, le donne vengono maltrattate e uccise, senza che lo Stato sia in grado di proteggerle e senza che, sul piano culturale, si sia in grado di affrontare in modo efficace le radici di questi aberranti fenomeni.

Sempre le donne, subiscono gravi sperequazioni nel mondo del lavoro, in un contesto generale in cui le garanzie dei lavoratori sembrano ormai ricordi di un’epoca gloriosa, che non è più, nonostante ampie enunciazioni formali.

L’individualismo, l’odio e l’alienazione si fanno strada nella nostra società, sempre più chiusa in sé stessa anche a causa della pandemia, e il nostro Parlamento non è in grado di legiferare sul fine vita, di offrire tutela a famiglie che hanno una composizione diversa rispetto a quella “cosiddetta” tradizionale o a due persone che, dandosi un bacio in strada, rischiano di essere picchiate o peggio, solo perché sono dello stesso sesso.

Questo è il mondo in cui viviamo, un mondo in cui le acquisizioni dell’umanesimo sembrano relegate in una teca museale e, fuori, un mondo che soffre.

Di questa sofferenza noi abbiamo una percezione immediata e quotidiana nelle aule di giustizia, quando siamo chiamati a dare una risposta, appunto, comprensibile e riconoscibile, una risposta giusta.

Giustizia, giurisdizione e società. Questioni senza tempo, con le quali siamo chiamati a misurarci in questo tempo, con un ritrovato senso della funzione dell’associazionismo giudiziario e, oggi, con particolare riguardo al punto di vista e al ruolo di Magistratura Democratica.

In questo sforzo, vorrei prendere spunto da alcune questioni concrete.

***

Scelgo di iniziare dal nuovo Ufficio del processo.

Non ci può essere dubbio sulla necessità di farsi carico dello sforzo, organizzativo e di mentalità, posto da questo strumento, nella sua nuova configurazione, e dei cambiamenti che determinerà per il nostro lavoro. 

Si tratta, a ben vedere, di una modalità di lavoro del magistrato che si è fatta strada nel tempo, attraverso l’impiego, sempre più frequente, soprattutto negli uffici di grandi dimensioni, di tirocinanti di varia provenienza che, opportunamente inseriti nello staff di un magistrato, con continuità di avvicendamento, danno un aiuto importante.

L’Ufficio del processo, come immaginato dalla riforma, in alcuni uffici è già una realtà, ed è una realtà che funziona.

Nel corso del tempo, poi, sempre più essenziale per la tenuta del sistema è diventato il ruolo dei magistrati onorari.

Adesso, con l’arrivo degli addetti, lo staff del magistrato andrà strutturato con lo specifico obiettivo dell’aumento della produttività e dell’abbattimento dell’arretrato.

In queste settimane è tangibile la fibrillazione. 

La novità che attende è l’argomento del momento, vissuta con particolare apprensione negli uffici meno strutturati, con magistrati più giovani, dove si ha a malapena il tempo per inseguire il già sovradimensionato lavoro quotidiano, figuriamoci la possibilità e l’esperienza per allestire e formare un team di specialisti nell’abbattimento dell’arretrato. Non in ogni realtà giudiziaria esistono assetti in grado di far fronte agevolmente alle richieste della riforma. Fermo restando che la sfida è tale per tutti e che anche nelle realtà più disagiate sarà necessario mettere a sistema il nuovo modello, è chiaro che ci saranno esiti diversi a seconda dello stato di partenza del singolo ufficio.

Ragione di grande e generalizzata fibrillazione è poi il richiesto aumento della produttività, connesso alle scadenze del Piano.

Quanto a questo aspetto, è necessario fare i conti con un dato ineludibile: con in mente l’obiettivo fondamentale della produttività, scopo principale del Giudice rischia di diventare la sentenza costi quel che costi, come d’altronde già spesso accade.

Per capirlo basta parlare con i colleghi e condividerne le esperienze e le inquietudini, o ascoltare le critiche che spesso provengono dai giudici di appello alle sentenze di merito, un po’ troppo frettolose.

Il problema dei tempi della giustizia è grave, incide sulla sua efficacia e sulla sfiducia dei cittadini nella magistratura e nello Stato in generale.

È, però, problema altrettanto grave quello dell’incapacità della giustizia di offrire una tutela effettiva, perché si ha l’obiettivo di far presto.

È necessario prendere atto dell’esistenza di un problema di sistema, per cui una concezione dell’efficienza collegata soltanto alle cifre, alla produttività, esaspera i magistrati, facendoli lavorare male, e si traduce, in sostanza, in un servizio inadeguato.

Nel valutare le cause dell’attuale crisi di credibilità della magistratura c’è da chiedersi quanto la nostra azione, anche a causa di queste problematiche, sia percepita come risposta di giustizia o come un intervento burocratico, asettico e distante.

Questo con riferimento tanto al lavoro della magistratura giudicante che di quella requirente.

Se la legittimazione della funzione della magistratura risiede nella consonanza della giurisdizione con la Repubblica e la tenuta delle scelte e delle decisioni giudiziarie si fonda sulla capacità di offrire giustizia, allora è necessario valorizzare la qualità del lavoro giudiziario.

Questo non significa affatto rinunciare ad una verifica anche quantitativa o sottovalutare l’importanza di tempi congrui di durata dei processi.

Però bisogna decidere su cosa va posto l’accento, sulla giustizia o sui numeri.

È necessario, sulla questione, ricordare che gli avanzamenti ermeneutici di cui si è fatta carico la magistratura, che hanno cambiato la storia del nostro paese, con un ruolo importante di Magistratura Democratica, si sono realizzati in epoche in cui il lavoro del magistrato non era così condizionato dai numeri e dalle statistiche.

***

Date queste premesse, è indispensabile farsi portatori di un’alternativa.

Promuovere un’idea di efficienza basata non sulla produttività fine a sé stessa, ma su scelte organizzative di lungo periodo del lavoro negli uffici, scelte che riguardano i singoli magistrati, ma, con un ruolo da protagonisti, i dirigenti.

I dirigenti, infatti, servono.

Non in un ruolo di rendita di posizione, ma persone competenti, che si assumano la responsabilità di decisioni di organizzazione concreta del lavoro dell’ufficio, anche difficili.

Per fare i conti con l’arretrato e strutturare una giustizia in grado di lavorare in tempo, oltre che bene, esercitata in condizioni dignitose, con un ambiente di lavoro sereno per i magistrati, i dirigenti sono fondamentali.

Ovviamente, non possono fare tutto da soli e non possono fare miracoli ecco, dunque, che il tema dell’inadeguatezza dei numeri dei magistrati togati e del personale amministrativo resta e resterà centrale, punto di caduta di qualsiasi discorso serio sui problemi della giustizia italiana.

Inoltre, è necessario promuovere una cultura organizzativa diffusa tra i magistrati, essenziale per imprimere agli uffici una progettualità condivisa, quindi destinata a funzionare meglio, nonché consonante con un assetto orizzontale della magistratura.

Esiste un modello alternativo di efficienza, che si fonda su risorse adeguate, competenze organizzative diffuse tra i magistrati e dirigenti capaci.

Tra l’altro, non può di certo essere accolta da magistrati di orientamento democratico un’idea di efficienza che si fonda sul lavoro precario di addetti, tirocinanti e magistrati onorari, dato che costituisce un’amara realtà.

Al netto delle esigenze emergenziali legate alla pandemia e al Piano di cui, come detto, è necessario farsi carico, bisogna costruire per il futuro.

Quindi, internamente alla magistratura, lavorare sull’alternativa e, contemporaneamente, esigere scelte politiche in grado di delineare assetti stabili e di lungo periodo, che affrontino i problemi in modo strutturale.

Se il lavoro del magistrato deve trasformarsi in un lavoro di staff, allora si investa, offrendo in questo modo anche opportunità di lavoro stabili.

***

L’alternativa, dunque.

Che ci chiama in causa come singoli magistrati, ma chiama in causa anche gli assetti dell’autogoverno.

Infatti, presupposto della possibilità stessa di un’alternativa è la capacità del Consiglio di scegliere dirigenti adeguati.

Per questo vanno respinte con forza le posizioni di chi vorrebbe una rotazione nella dirigenza.

Ferma l’opportunità di una temporaneità, è necessario soprattutto che il Consiglio sia in grado di selezionare dirigenti capaci di fare il proprio lavoro, sulla base di requisiti certi, procedure chiare, verificabili, immuni da condizionamenti, si spererebbe, anche con un’attenzione alla valutazione in concreto delle capacità personali.

In sostanza, attraverso un esercizio virtuoso e trasparente della discrezionalità e un’assunzione di responsabilità.

Sempre per la stessa ragione e proprio per le responsabilità che sono in gioco, è inaccettabile, oltre che incostituzionale, l’idea di un Consiglio Superiore di sorteggiati o anche con l’impiego di forme parziali di sorteggio.

Non si possono risolvere i problemi della rappresentanza attraverso la rinuncia.

Restando fedeli al dettato costituzionale, bisogna, piuttosto, spendersi per una rappresentanza adeguata e contribuire a crearne le condizioni.

In questo senso, cruciale sarà il prossimo passaggio della riforma della legge elettorale del Consiglio che, sebbene non in grado da sola di risolvere ogni problema, se non adeguatamente calibrata rispetto all’esigenza di garantire una rappresentanza ampia e plurale, potrà peggiorare la situazione, delegittimando ulteriormente l’organo, nella sostanza.

***

Esiste una saldatura ineliminabile tra un autogoverno legittimato, efficace, virtuoso e trasparente, l’organizzazione degli uffici e la tutela dei diritti, la capacità della giurisdizione di fare giustizia. Questa saldatura non può essere ignorata, o sottovalutata, anzi, va tenuta ben presente per scegliere quale magistratura vogliamo essere.

Oggi, in particolare, per scegliere quale Magistratura Democratica vogliamo essere.

È vero che i discorsi sull’organizzazione, sui carichi di lavoro, sull’efficienza e sull’autogoverno si prestano facilmente ad una torsione corporativa.

In questo rischio, però, risiede anche la nostra capacità e la nostra diversità.

Dobbiamo occuparci della magistratura e di tutto quello che la riguarda proprio per fare in modo che, tra i magistrati, non prevalgano la chiusura e l’autoreferenzialità e proprio perché in questo modo ci impegniamo fino in fondo per la tutela dei diritti.

Gli assetti non sono neutri, ma incidono profondamente sulla capacità del sistema giudiziario di rendere giustizia.

Un magistrato oberato dai carichi di lavoro, ossessionato dalla produttività e non sereno non fa una giustizia di qualità e, sentendo il bisogno di difendersi, si chiude, con ripercussioni anche sulla scelta delle rappresentanze in sede di ANM e al Consiglio.

Per questo c’è bisogno di un modello alternativo a cui i colleghi possano guardare, che proprio con l’obiettivo di mantenere aperto e vitale il canale tra la società e la magistratura e alto il livello di guardia sulla tutela dei diritti, si occupi degli assetti della giurisdizione.

Inoltre, è necessario essere consapevoli che è proprio sul terreno dell’autogoverno che deve realizzarsi il tanto auspicato riscatto della magistratura, proprio perché è nell’autogoverno che si è realizzata la caduta.

In questa prospettiva, oltre ad una chiara presa di distanza e all’ineludibilità di una ripresa etica e deontologica, non si può prescindere dal gettare luce su alcuni meccanismi che sono alla base delle distorsioni emerse.

Nonostante gli sforzi sicuramente fatti nel corso del tempo, l’ordinamento giudiziario si pone ancora come un complesso di regole spesso confuso e incerto e, sicuramente, di difficile fruizione senza una guida esperta.

Il Consiglio Superiore e i Consigli Giudiziari sono, purtroppo, ancora realtà lontane dai magistrati che lavorano negli uffici.

Al netto di qualsiasi considerazione sul carrierismo, non c’è da sorprendersi che, dato lo stato dell’arte, sia stato possibile per qualcuno, nell’autogoverno, fare dell’intermediazione un mestiere, dalle piccole alle grandi cose.

Una ripresa etica quindi, ma anche una battaglia sulle regole è necessaria.

Sta a noi costruire un contesto ordinamentale chiaro e fruibile, in cui le regole possano rappresentare un argine anche di fronte ai tentativi di manipolazione.

È difficile stabilire cosa venga prima tra i costumi e le regole. Sicuramente la magistratura deve lavorare su entrambi i fronti.

***

È evidente che quello che possiamo offrire, al momento, è un’idea di cambiamento. Ci vorrà tempo per realizzarla, ammesso che noi stessi ne saremo convinti fino in fondo e ne avremo la forza, e sarà necessario l’impegno e la fatica di molti.

Questo cambiamento, peraltro, riguarda qualsiasi magistrato senta la necessità di una svolta rispetto all’attuale contesto e, per impegnarsi in questa direzione, come è evidente, non c’è bisogno di demonizzare l’associazionismo giudiziario che, anzi, può e deve esserne motore.

Forse ha ragione chi ci critica, dicendo che ci occupiamo di cose astratte. Però quello che potremmo realizzare è, in realtà, molto concreto.

Poi, come ha scritto Livio Pepino: la ricerca dell’impossibile è un esercizio di realismo e, fuori dalla tensione verso l’utopia, non c’è futuro, neppure per la giustizia. 

Oggi la nostra sfida, come Magistratura Democratica, è quella di essere all’altezza della storia del nostro gruppo e del ruolo che ha interpretato nella magistratura e nella società.

Senza retorica dell’età dell’oro, ma facendo i conti con un’eredità importante e su cosa significa continuare una tradizione.

Magistratura Democratica è stata grande, prima di tutto, nella giurisdizione.

Con il suo contributo si è costruita una giustizia moderna e aperta al cambiamento portato dalla Costituzione e dalle istanze provenienti dalla società.

Grazie a questo cambiamento, è stata fatta una giustizia migliore.

In questo modo, Magistratura Democratica ha fatto la storia del nostro paese e si tratta di una storia ancora oggi in grado di affascinare, ispirare ed entusiasmare, perché ci richiama ad un terreno su cui ci sarà sempre bisogno di impegno: il terreno del cambiamento e della giustizia.

Tutto questo è Magistratura democratica e deve continuare ad esserlo, con un rinnovato vigore.

Con un’identità fiera e orgogliosa, rigore nei comportamenti, fermezza nelle idee e, al contempo, grande empatia, apertura e capacità di dialogo, all’interno della magistratura e all’esterno.

Questo è il nostro cimento e, a tutti noi, buona fortuna e buon lavoro.

16/12/2021

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