Senza respiro è il titolo che Antigone ha dato al XXI rapporto sulle condizioni della detenzione in Italia presentato il 29 maggio 2025.
Le due parole utilizzate evocano, allo stesso tempo, un sistema carcerario ormai strutturalmente e diffusamente al disotto del rispetto dei diritti umani e la “visione” della pena, più volte proclamata da chi, della gestione di quel sistema, è politicamente e giuridicamente responsabile.
La cornice costituzionale dell’esecuzione delle pene vieta trattamenti contrari al senso di umanità e stabilisce che il tempo della pena non sia mera segregazione, ma sia progettato dallo Stato perché il detenuto maturi le competenze e le capacità per una futura vita da libero che non sia una rinnovata separazione.
All’esito di cento visite all’interno degli istituti di pena, l’instancabile e analitico lavoro di Antigone (che qui è possibile leggere) mostra come il rispetto del trattamento previsto dalla Carta sia impedito da un sovraffollamento carcerario ormai giunto ad un tasso medio effettivo del 133% con punte che arrivano oltre il 150%, dalla carenza di operatori e di personale di polizia penitenziaria destinato alle sezioni (in alcuni casi impegnato in turni superiori a 24 ore), dalle carenze nella formazione del nuovo personale assunto ridotta a soli venti giorni quando si richiederebbero nuove competenze, dalla insalubrità e dall’angustia degli spazi nelle camere detentive, dalla chiusura di spazi comuni e sezioni fatiscenti, dall’esiguità delle possibilità di svolgere lavoro interno ed esterno, dal ricorso alla prescrizione farmacologica di sedativi e ipnotici per il 45% dei detenuti e di antipsicotici e antidepressivi per il 20%, dal ricorso anomalo e diffuso delle sezioni per l’isolamento disciplinare per le criticità psichiatriche, dalla inadeguatezza di molte delle aree trattamentali per la salute mentale e da molto altro ancora.
Eppure, non è più possibile definire questo quadro drammatico un’emergenza, non solo perché le carenze e le distorsioni sono ormai strutturali ma anche perché le risposte dell’amministrazione non sono indirizzate ad invertire la tendenza.
Di fronte a un diffuso degrado di condizioni al di sotto del rispetto della dignità della persona, il focus dell’amministrazione rimane l’effettività della detenzione, il rispetto della legalità intesa come disciplina dei detenuti, il pericolo che le agitazioni e le reazioni (anche passive, anche minori) alla quotidiana precarietà sia governato da infiltrazioni della criminalità, l’ostinato rifiuto di allargare l’istituto della concessione della libertà anticipata o di adottare provvedimenti di clemenza pensandoli come un cedimento dello Stato di fronte al crimine, anziché una deflazione dei numeri destinata ad avere un effetto benefico sull’intero sistema, oltre che un necessario atto di recupero alla società di quanti attendono di scontare un tempo breve di pena già passata per il resto nel degrado senza titolo e verosimilmente senza utilità alcuna.
Di qui trovano origine le norme sul reato di rivolta carceraria e sulla detenzione delle donne con prole minore di tre anni introdotte dal decreto sicurezza, l’ipotesi di aumentare i posti delle REMS, un concetto di riabilitazione ottocentesco fondato prevalentemente sull’attività sportiva, le ipotesi di privatizzazione della detenzione o i progetti con le associazioni imprenditoriali che prevedono l’abbinamento tra detenzione domiciliare e lavoro in fabbrica.
Di fronte a questa lontananza Antigone ci ricorda che la questione carceraria è diventata una questione di democrazia e chiede a tutte le realtà che si occupano di carcere (associazioni, sindacati, garanti, giuristi, medici) di stringere un’alleanza per coltivare la rispondenza alla Costituzione delle pene.
Noi di Magistratura democratica ci siamo e ci saremo, continueremo a far sì che diventi un tema dell’Anm e allo stesso tempo cercheremo di far “vedere” il carcere ai magistrati e al mondo di “fuori”.