Sotto l'albero di Giovanni, con una bambina

Trent'anni dopo Capaci

Sotto l'albero di Giovanni, con una bambina


«Papà manca molto?»
«Cinque minuti, amore mio»

Percorro sotto un’imprevista pioggia palermitana vie a me sconosciute, mano nella mano con mia figlia.


Devo sciogliere una sorta di promessa fatta quando mi affannavo all’università: andare a salutare, nei loro luoghi, Falcone e Borsellino; e farlo solo dopo essere diventato magistrato, quasi ad assumere l’impegno di provare ad essere come loro. Pensieri ingenui di un ventenne idealista. Sono magistrato da 19 anni e quella promessa non l’ho ancora mantenuta.


Lo faccio in questa giornata di pioggia, mano nella mano con mia figlia. Che mi chiede cos’è la mafia.


Gliel’ho già spiegato tante volte. Ma l’innocenza dei suoi nove anni le impedisce di capire questa enorme volontà di potenza e questa cieca violenza che ha devastato la vita di tante persone…


«Papà, perché un albero? e perché lo chiamano l’albero di Falcone? e chi era Falcone?»

Anche qui, domande già fatte molte volte … le mie risposte non bastano mai. O forse sono cose troppo difficili da capire e accettare. E, quindi, nuove domande, fatte con voce innocente e occhio attento.


«Papà! Guarda! I fazzolettoni scout!»


La memoria corre indietro. Seppi dell’attentato al ritorno da un’uscita scout. Ce lo disse il Parroco, in lacrime. E vedere piangere un uomo che ti sta insegnando la speranza fa effetto. È una cosa che ti resta dentro. E poi le marce, gli striscioni (“le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe”), l’educazione alla legalità… Mille pensieri si affollano.


«Papà guarda! Una poesia scritta da un bambino della mia età!».


La leggo. Un’ingenua rima baciata su quanto Giovanni ha lasciato ai bambini siciliani.


Ingenua, ma meravigliosa, perché ingenua. E leggo che quelle parole arrivano da un paesino rurale per lungo tempo dominato da logiche mafiose… non ancora scomparse del tutto. Tanto di cappello al coraggio della maestra…


«Papà! Perché hanno ucciso Giovanni?»


«Perché era bravo, onesto e coraggioso e voleva fermare i mafiosi», le dico.


E ci stava riuscendo. Penso, tra me e me, con la mia solita presunzione illuminista e “anti-emotiva”, che la mafia non si sconfigge con questi fiumi di retorica, ma con la competenza e l’organizzazione del lavoro…


«Papà! Guarda! Un libro come il tuo!»


Un codice penale. Ne apro le pagine già ferite dalla pioggia.


«Lascio qui, in questo luogo, il mio primo codice penale, nella speranza che, se il futuro mi riserverà l’onore e il fardello di poter seguire il tuo esempio, io possa sempre indossare la toga con dignità, onore e disciplina (…) sempre e solo al servizio della gente (…). Nella certezza che la tua vita e la tua testimonianza vivranno in eterno».


Piango. Penso a quante volte sono stato degno di questa toga; a quante volte non sono stato grato dei giorni che mi sono regalati da vivere. Penso a cosa – di questo tempo e di questi giorni – ne avrebbero fatto, con il loro coraggio Giovanni e Paolo e tutti quelli partiti con loro. Piango. Sperando di non buttarlo via, questo tempo. E capisco che questa battaglia si vince anche con la retorica e con le emozioni. Perché queste muovono le nostre volontà.


«Papà! Perché piangi?»


Potrei dirle che è la pioggia, che papà non piange. E invece mi sorprendo a risponderle: «Per gratitudine».


Gratitudine è una risposta che mia figlia capisce. E mi abbraccia.

Andrea Natale

23/05/2022

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