Magistratura democratica aderisce alla manifestazione nazionale del 21 giugno 2025
“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi” è una delle massime più note del celebre trattato del generale Carl von Clausewitz, che esprimeva, dopo le guerre napoleoniche, una indiscutibile verità umana sulla guerra.
La guerra non è un’esplosione emotiva o un’avventura eroica ma si serve delle esplosioni emotive e di narrazioni eroiche, necessarie per assuefare i popoli all’idea della guerra e al suo portato di distruzione, morte e negazione dei diritti; si cerca così di convincerli che sono sacrifici necessari per qualcosa di “più grande” quando invece non c’è mai, dietro la guerra, niente di “più grande” della politica.
Dopo avere sfiorato, con i regimi e le guerre globali del secolo scorso, la possibilità dell’autoestinzione e dopo aver guardato nell’abisso del male assoluto, la politica ha scelto di porsi un limite sulla guerra, esprimendolo nelle principali Carte internazionali che dal 1947 a oggi hanno implementato il diritto internazionale multilaterale, e anche in alcune delle più ispirate Costituzioni postbelliche, come quella italiana che, all’articolo 11, rovescia il principio di Clausewitz e ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e quindi la guerra come “continuazione della politica” e come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.
Non solo, proprio perché la Costituente aveva fin troppo chiaro il nesso tra le politiche nazionaliste, esaltatrici della sovranità nazionale, e la guerra, si è previsto che l’Italia consenta, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.
Oggi i popoli del mondo assistono impotenti alla restaurazione del vecchio ordine mondiale, fondato sulla guerra come principale strumento della politica; una logica imposta da una élite affermatasi, anche in Europa, soffiando di nuovo sul fuoco dei nazionalismi e della xenofobia, e che procede a gamba tesa verso un altro conflitto globale, da un lato decostruendo, passo dopo passo, le relazioni multilaterali costruite negli ultimi settant’anni e screditando gli organismi internazionali[1] e dall’altro attuando una sempre meno larvata repressione del dissenso con metodi polizieschi e militari.
La potenza di questa narrazione sembra oggi inarrestabile perché si avvantaggia, per la prima volta nella storia umana, anche di intelligenze non umane. Il primo esperimento è stato l’uso dei social per fomentare le violenze contro i rohingya, in Myanmar, nel 2016/2017. È stato accertato, in quella occasione, che l’impostazione di algoritmi con un obiettivo prefissato dall’intelligenza umana, in quel caso la diffusione di contenuti di incitamento all’odio e alla violenza nei confronti di una determinata popolazione, consentiva di raggiungere quell’obiettivo, tramite i social, in una misura esponenziale e impensabile con i mezzi tradizionali di propaganda[2].
Sulla scia di questa esperienza i partiti nazionalisti si sono mossi in fretta tessendo un’alleanza politica, su base economico-finanziaria, con i monopolisti dei giganti dei social (che non a caso vengono oggi soprannominati “i signori del mondo”), creando così un’inedita élite politica, finanziaria e informativa che davvero non sembra lasciare scampo al libero dissenso né alcuna speranza a una contronarrazione che difende e protegge i valori e i principi di umanità e di civiltà, acquisiti in settant’anni di storia del multilateralismo, del diritto internazionale e internazionale penale e dei diritti umani.
Sono così finiti sotto la potenza di fuoco dei social, con obiettivi algoritmici dettati da partiti (che grazie a questo viatico si fanno sempre di più anche governi) nazionalisti, le Nazioni Unite e gli organismi internazionali che operano sotto la loro egida per il mantenimento della pace e per la protezione dei popoli più vulnerabili, le corti internazionali e, a cascata, anche le magistrature indipendenti degli Stati (ancora formalmente) democratici, che vengono additate dai social filogovernativi come nemici da abbattere perché, applicando il diritto e garantendo il rispetto della democrazia costituzionale e dei diritti umani fondamentali, ostacolano il perseguimento degli obiettivi politici, sempre più apertamente schiacciati su logiche di guerra, di xenofobia e di sterminio, e del tutto incuranti di andare ancora una volta incontro al rischio dell’autoestinzione.
Un risultato eclatante di questa campagna politico-informativa dalle potenzialità inedite è stata l’assoluta indifferenza della comunità internazionale di fronte all’ordinanza con la quale la Corte internazionale di giustizia ha adottato, il 26 gennaio 2024, misure cautelari nei confronti dello Stato di Israele, ravvisando un rischio concreto di violazione della Convenzione contro il crimine di genocidio.
Il governo Netanyahu ha deliberatamente ignorato l’ordinanza senza alcuna conseguenza nelle relazioni internazionali, continuando (come la Corte ha accertato nella misura ad interim) a uccidere deliberatamente la popolazione civile palestinese della Striscia di Gaza, minori compresi, e a infliggere alla popolazione civile condizioni di vita disumane, impedendo l’arrivo di cibo e di aiuti sanitari. La reazione di alcuni paesi della comunità internazionale, Stati Uniti in testa, è stata anzi quella di attuare una repressione militare del dissenso, dando corso ad arresti di massa e deportazioni delle persone sospettate di aderire ai movimenti di protesta per la popolazione palestinese.
Sotto la potenza della narrazione social-nazionalista nemmeno il rischio, non solo concreto ma anche esibito, di un genocidio consumato sotto i nostri occhi ha mosso i popoli al risveglio.
In questa situazione riteniamo che le magistrature autonome, indipendenti e democratiche debbano prendere la parola, perché è un dovere dei giudici, legalmente riconosciuto dal diritto internazionale, prendere la parola quando la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali sono a rischio, ed è conseguentemente un diritto democraticamente inalienabile delle associazioni e dei sindacati della magistratura, quello di esprimersi in questo senso, agendo a tutti gli effetti come attori della società civile[3].
Per questo motivo, agendo nella società civile e rivolgendosi alla società civile, Magistratura democratica aderisce alla manifestazione nazionale che si terrà il prossimo 21 giugno 2025 per dire no alla logica della guerra, del riarmo, del genocidio e dell’autoritarismo e per testimoniare, insieme alla popolazione e alle associazioni impegnate nella difesa della democrazia, della legalità e dei diritti umani, che è ancora possibile e doveroso cercare di contrastare, con la libertà di espressione e con l’applicazione del diritto, la narrazione a senso unico che ci sta portando verso un nuovo conflitto mondiale, il genocidio, l’apartheid e nuovi autoritarismi.
Per dire ai nostri padri, utilizzando le parole di Salvatore Quasimodo in “Uomo del mio tempo”, che No, non vogliamo essere più “quelli della pietra e della fionda, con la scienza esatta persuasa allo sterminio”; e per dire ai nostri figli di dimenticare quel sangue che “odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi»“
L’Esecutivo di Magistratura democratica
[1] Molteplici sono gli esempi in questo senso. Tra i più noti e recenti, l’esibita ostilità degli Stati, compresi i firmatari dello Statuto di Roma del 1998, nei confronti della Corte penale internazionale che, in particolare con i mandati d’arresto spiccati contro il presidente russo, Vladimir Putin, il 17 marzo 2023, e contro il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, il 21 novembre 2024, ha tentato di imporre agli Stati, anche nei conflitti in corso, il limite dei crimini di guerra e contro l’umanità. Un altro esempio è il crescente pressing, recentemente avallato anche dal commissario Ue per gli affari interni, per ottenere una revisione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in senso restrittivo sui diritti fondamentali dei migranti, mettendo in discussione diritti acquisiti di civiltà, come gli obblighi di soccorso e salvataggio in mare, il principio del non-refoulement, la protezione umanitaria e il diritto a un accesso effettivo a una giustizia indipendente per contestare i respingimenti e le espulsioni.
[2] Sul punto, v. Yuval Noah Harari, Nexus: a brief history of information networks from the Stone Age to AI, Stati Uniti, 2024; edizione italiana, Bompiani, 2024, pp. 265 segg.
[3] In questo senso, la Rete dei Consigli di giustizia nella dichiarazione di Atene del giugno 2022; il Consiglio consultivo dei giudici europei nel parere del dicembre 2022 sulla libertà di espressione dei giudici; la Corte europea dei diritti umani nella sentenza pronunciata il 6 giugno 2023, affaire Sarisu Pehlivan c. Turchia.
Per una trattazione ampia e analitica dell’argomento, compreso il commento ai provvedimenti citati, v. Mariarosaria Guglielmi, Una nuova idea di imparzialità si aggira per l’Europa: i tanti volti dell’attacco alla libertà di parola e di associazione dei magistrati, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/una-nuova-idea-di-imparzialita-si-aggira-per-l-europa-i-tanti-volti-dell-attacco-alla-liberta-di-parola-e-di-associazione-dei-magistrati