La chiusura dell’anno solare imporrebbe il tentativo di cogliere le tracce principali delle prospettive future nel campo della giustizia, ma queste sono interamente dipendenti dall’esito del referendum sulla magistratura che assume, per ciò, un ruolo assorbente delle riflessioni possibili.
Tuttavia, all’elevato spessore qualità tecnica del quesito referendario, alla rilevanza decisiva dei suoi esiti per l’effettività dello stato di diritto nel nostro Paese, non corrisponde un adeguato dibattito pubblico sul tema.
Concludendo la festa di Atreju, la Presidente del Consiglio ha invitato i cittadini a votare sì, pensando al caso Garlasco. Non è chiaro come la riforma possa incidere su quella come su altre analoghe vicende, ma le parole della Presidente del Consiglio non esprimono affatto un errore percettivo, piuttosto costituiscono uno dei tasselli che tende a spostare il confronto dalla razionalità all’emozione, dalla logica consapevole alla suggestione superficiale.
Una proposta di riforma costituzionale dovrebbe avere al fondo un’idea solida, chiara e comprensibile della materia su cui pretende di intervenire. Se si guarda al composito insieme di gruppi che sostengono la riforma della Costituzione, ci si avvede, invece, di come stiano insieme i libertari di “Nessuno tocchi” Caino e i manettari di “buttiamo la chiave” delle celle in cui sono reclusi i detenuti.
Raschiando al fondo delle differenze abissali tra questi due modi di intendere la giustizia, si intuisce un tratto che accomuna i due opposti: l’indebolimento dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. In un caso, per attenuarne la capacità repressiva; nell’altro caso, per attenuarne il ruolo di garanzia. In una sorta di avventurismo costituzionale, ognuno dei due opposti è convinto che sarà la sua idea di giustizia a prevalere; in realtà, una volta abbattuto l’argine costituzionale il futuro dipenderà da una serie di variabili non seriamente pronosticabili.
Voce dal sen fuggita, sono ancora le parole dei rappresentanti del Governo a dire in modo eloquente quali siano le prospettive coltivate. A pochi giorni di distanza l’uno dall’altra, dapprima è stato il ministro della Giustizia a invocare la riforma della magistratura come strumento per ripristinare la supremazia della politica; e dopo la decisione della Corte dei Conti sul Ponte dello Stretto, è stata la Presidente del Consiglio a evocare l’approvazione della riforma della magistratura come grimaldello per liberare la politica dal sistema costituzionale di check & balance.
Utilizzare la “separazione delle carriere”, oggetto possibile di legge ordinaria, come foglia di fico per squalificare il ruolo costituzionale del CSM, è stato il metodo perseguito per conseguire quello scopo. Un organo di sorteggiati, infatti, per definizione, non può esprimere una politica giudiziaria, ma solo operare una burocratica gestione amministrativa della magistratura. Tuttavia, le circolari del CSM sulle tabelle e quelle sui progetti organizzativi delle Procure disegnano l’architrave portante dei Tribunali e delle Procure sul territorio, impattando sul modo in cui la giurisdizione viene esercitata; mentre le circolari sulle valutazioni di professionalità, insieme alle decisioni sul disciplinare, costituiscono due potenti leve conformanti la percezione di sé del magistrato e, quindi, ancora una volta, il prodotto giurisdizionale che i magistrati esprimono.
Se a ciò aggiungiamo i quotidiani attacchi mediatici alle decisioni sgradite, che degradano subito in attacchi alle persone fisiche dei magistrati che le adottano, ci si rende conto come la squalificazione costituzionale del CSM abbia immediati effetti anche sulla sua funzione di tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura rispetto alle pretese urlate nel rancore irrazionale della piazza politico-mediatica.
In questo scenario, non basterà continuare a illustrare con raziocinio e capacità di ascolto le buone ragioni del No alla riforma, ma dovremo anche essere capaci di raccontare storie che coinvolgano i cittadini. Si tratta di sintetizzare, in modo semplice e diretto, le plurime dinamiche giurisdizionali in cui la magistratura ha tutelato i diritti dei cittadini a fronte della loro negazione da parte del governo di turno ovvero alle pretese di grandi e influenti soggetti economici.
Uscire dagli uffici giudiziari per raccontare una magistratura fatta di lavoratrici e lavoratori impegnati a tutelare i diritti dei cittadini è la sfida comunicativa dei prossimi mesi, abbiamo le risorse per riuscirci!