
Magistratura onoraria
Dignità e tutele
Introdurre forme di tutela previdenziale ed assistenziale e prevedere un nuovo regime indennitario, che sia all’altezza di un compito così delicato, qual è quello di amministrare la giustizia. Sono questi alcuni nodi critici della riforma della magistratura onoraria, disvelati dall’attuale emergenza pandemica.
L’emergenza pandemica ha portato alla luce tutte le debolezze strutturali dell’organizzazione giudiziaria, tra cui la mancanza di un regime indennitario e previdenziale adeguato per la magistratura onoraria.
Alla magistratura onoraria sono stati progressivamente affidati, a partire dagli anni ’90, compiti di sempre maggiore pregnanza e complessità tecnica. In questo modo, si è contribuito a consolidare (e a “precarizzare”) una componente magistratuale semiprofessionale, che con il pieno decollo della riforma Orlando – originariamente previsto nell’agosto 2021 – vedrà, peraltro, ulteriormente ampliate le sue competenze.
Si tratta di un processo che, per certi versi, è difficilmente evitabile.
Un aumento degli organici della magistratura togata, volto a coprire tutti i settori e le funzioni attualmente gestiti da magistrati onorari, avrebbe costi insostenibili e tempi di attuazione molto lunghi. D’altra parte, proprio la disponibilità di una platea di magistrati onorari pari a circa la metà dei togati ha consentito di approdare, progressivamente, a tempi accettabili nella giurisdizione di primo grado, conseguendo un significativo recupero di efficienza sia presso gli uffici del giudice di pace che nei tribunali, ove i giudici onorari hanno spesso gestito, in via quasi esclusiva, buona parte degli affari penali di competenza monocratica e larga parte delle controversie civili di minore complessità.
Per questo, dentro e fuori i tribunali, della magistratura onoraria non si può fare a meno.
Ciò non significa, tuttavia, che si debba arrivare a forme di reclutamento parallelo, stravolgendo l’impianto costituzionale disegnato dall’art. 106, fondato sulla disciplina del concorso unico nazionale per l’accesso alla magistratura.
Per confermare la piena rispondenza del nostro assetto ordinamentale alla Costituzione, la riforma Orlando del 2017 ha ancorato l’incarico onorario alla temporaneità delle funzioni e alla sua natura non esclusiva. Si è così tentato di superare la sistematica proroga degli incarichi onorari, che si è protratta per un arco di tempo troppo lungo, creando l’anomalia di un “precariato” senza tutele, difficilmente compatibile con i principi dell’ordinamento nazionale ed europeo.
Nello schema riformatore del 2017, vi sono altri due profili significativi che esprimono un condivisibile indirizzo politico: la dirigenza togata degli uffici del giudice di pace e il tirocinio formativo dei nuovi magistrati onorari, con la previsione di un biennio obbligatorio presso l’ufficio per il processo.
Magistratura democratica auspica che si possa ripartire al più presto dalla disciplina positiva, confermando la dimensione temporanea e non esclusiva dell’attività dei magistrati onorari e provvedendo altresì al rapido reclutamento di nuovo personale (cosa che non si è affatto vista, nell’ultimo biennio), in modo da coprire tutti gli 8000 posti previsti, come dotazione organica, dal decreto ministeriale del 22 febbraio 2018.
Allo stesso tempo, è necessario intervenire con celerità su alcuni nodi critici della riforma Orlando, a partire dal nuovo regime economico, che pur avendo finalmente superato il sistema del cottimo ha tuttavia previsto, una volta a regime, indennità di valore quasi offensivo, se si considera che in esse è ricompresa anche la quota da destinare alla previdenza da parte dei singoli.
Occorre prevedere, infine, forme di tutela non soltanto previdenziale ma anche assistenziale: non è pensabile, infatti, che professionisti chiamati ad esercitare un compito così delicato, qual è quello di amministrare la giustizia, siano sprovvisti di copertura assicurativa nel caso di eventi che ne colpiscano la salute o la capacità di lavoro, come quello che stiamo vivendo.
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