Congresso Area DG- Genova, 11 ottobre 2025
Questi giudici devono andarsene.
Così l’uomo più ricco del mondo commentava lo scorso novembre con un tweet sulla sua piattaforma X la decisione dei giudici di Roma di non convalidare la detenzione dei migranti in base al Protocollo Italia-Albania.These judges need to go.
I giudici che oggi devono andarsene sono i giudici dei migranti, sono tutti i giudici che applicano le nostre Carte fondamentali, le nostre Convenzioni e Costituzioni, il diritto dell’Unione.
I giudici che oggi devono andarsene sono i giudici delle Corti europee.
Quella di Strasburgo, che ha elevato gli standard di tutela dei diritti umani, con la giurisprudenza incentrata sulla persona, sul pluralismo, sulla tutela delle minoranze, tutti valori incompatibili oggi con il verbo populista.
E’ la Corte alla quale nel maggio scorso 9 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno inviato una lettera di invito a un nuovo dialogo aperto sul modo in cui la Corte interpreta la Convenzione “ a favore” degli immigrati irregolari (“wrong people”, così definiti nella lettera): come ha osservato il Commissario per i diritti umani del CoE, c’è molto da contestare rispetto a questa dichiarazione incentrata sull’incidenza della criminalità all’interno delle comunità di migranti, e con un solo riferimento ai rifugiati in fuga dalle persecuzioni; che ignora come gli Stati possano perseguire obiettivi legittimi, come la sicurezza, senza sacrificare il rispetto dei diritti umani e propone l’istituzione di una sorta di gerarchia di titolari di diritti, con i cittadini rispettosi della legge in una posizione superiore rispetto ad altri (le “persone sbagliate”).
I giudici che oggi devono andarsene sono i giudici che per le loro decisioni sui diritti e le libertà delle persone sono considerati un ostacolo al governo di un paese che – dopo una preoccupante metamorfosi di quelli che erano i tratti della sua democrazia- meglio incarna oggi l’idea del nuovo ordine mondiale fondato sulla legge del più forte, e non più su quella del diritto: il paese che oggi ostenta il volto più feroce delle nuove “politiche migratorie” con la “caccia” agli immigrati e gli uomini deportati in catene.
I giudici che devono andarsene sono i giudici della Corte Penale Internazionale: sanzionati da chi guida oggi quello stesso paeseper aver svolto il loro mandato, rispetto alle atrocità delle guerre, ai gravissimi crimini contro la persona, agli orrori che mai avremmo pensato di rivedere.
Dall’osservatorio di MEDEL abbiamo visto in questi anni avanzare l’erosione democratica e, in paesi come la Polonia e l’Ungheria, riforme per smantellare sistemi giudiziari indipendenti procedere di pari passo con politiche regressive per i diritti, le donne, le minoranze, la società civile, la libera stampa, la libertà di dissentire.
Dall’osservatorio di MEDEL oggi guardiamo con preoccupazione al nuovo impeto che questa erosione democratica riceve dall’attacco globale allo stato di diritto e dall’ondata anch’essa globale di autocratizzazione: per la prima volta – dicono gli osservatori- da oltre vent’anni, nel mondo si contano meno democrazie che autocrazie, e le democrazie liberali sono diventate il tipo di regime meno diffuso al mondo.
Dall’osservatorio di MEDEL oggi guardiamo con preoccupazione al percorso imboccato dalla nostra democrazia con politiche di sicurezza e di repressione, e -ormai -la concreta prospettiva di cambiamenti radicali che, “in nome” della cd. separazione delle carriere, andranno a scardinare l’intero assetto costituzionale posto a presidio di una giurisdizione indipendente.
Dall’osservatorio di MEDEL oggi guardiamo quasi increduli a un dibattito politico e pubblico che- a fronte di riforme per la prima volta così demolitorie del patto fondativo della nostra democrazia- sorprendentemente procede senza attenzione e volontà di confrontarsi, anche alla luce di quello che oggi alla democrazia accade in Europa e nel mondo, sulle conseguenze effetti che tutto ciò avrà per la nostra democrazia. Altrove questa attenzione e volontà hanno suggerito ai governi -di diversi orientamenti -di provare a rafforzare i presidi costituzionali. Perché altrove si è compreso che la notte per la democrazia sarà lunga.
Di queste esperienze europee, che poco o nulla interessano ai fautori delle riforme di casa nostra, fa parte il “destino” del pubblico ministero: la regressione democratica di questi anni ci ha dimostrato che il suo statuto è un punto di attacco strategico per chi voglia modificare gli equilibri istituzionali a vantaggio del potere esecutivo e per chi voglia assicurarsi una presa salda sulla giurisdizione.
L’unica finestra che si è aperta sull’Europa riguarda il modello portoghese, e non già per analizzarne struttura e funzionamento ma solo per assumere l’infondatezza degli argomenti portati soprattutto dalla magistratura associata contro la riforma: e cioè che un pubblico ministero “separato” una volta uscito dalla sfera della giurisdizione, e voltato l’angolo della riforma costituzionale, entrerà inevitabilmente nell’area di controllo della politica (come in realtà alcuni esponenti politici hanno in realtà sinceramente annunciato).
Pochi dicono che il modello portoghese, strutturato secondo un principio di gerarchia interna e funzionale dal Procuratore generale, ha invece il momento di raccordo con la sfera politica: il Procuratore generale potrebbe essere un non magistrato; la sua nomina è un atto politico, fatta dal Presidente della Repubblica su proposta del Governo; in assenza di garanzie costituzionali, la possibilità di designazione di un “esterno” è statasemprecontrobilanciata unicamente dalla solida tradizione democratica di quel Paese, che ha garantito sino ad ora la nomina di un magistrato. Ma le tradizioni e i contesti, si sa, possono cambiare. E le più recenti cronache ci dicono che anche in quel Paese il tema di “cambiamenti” con la nomina di un non magistrato come Procuratore Generale è entrato nell’agenda del dibattito politico e mediatico.
Dall’osservatorio di MEDEL guardiamo con preoccupazione alla demolizione del nostro sistema di autogoverno che – insieme allo statuto costituzionale del PM – è sempre apparso alle magistrature europee come un baluardo per l’indipedenza della giurisdizione.
E guardiamo con sorpresa alla accettazione di fatto- anche da parte dell’avvocatura- del sorteggio- della prospettiva cioè di avere nel nostro futuro ordinamento costituzionale una istituzione scelta dal CASO. E con sorpresa registriamo il silenzio rispetto all’attacco sferrato all’ associazionismo ( esercizio di un diritto, manifestazione di democrazia e di libertà democratiche) per sostenere la riforma: è la mala pianta da estirpare con il pallottoliere.
L’avvocatura è, e oggi più che mai ovunque rappresenta, il baluardo dei diritti, delle libertà e dello stato di diritto. Oggi più che mai l’avvocatura per questo è sotto attacco: insieme ai giudici, in questo nuovo ordine mondiale, anche gli avvocati devono andarsene.
Nei mesi che ci separano dal referendum sarà allora necessario ritrovare attenzione e volontà di confronto anche con l’avvocatura su questi temi: questa riforma non sarà neutra rispetto agli equilibri essenziali alla democrazia.
E dobbiamo chiedere che nel dibattito si chiarisca all’opinione pubblica che qui si scrive separazione delle carriere ma si deve leggere anche Consiglio Superiore, ineliminabile organo di garanzia per la indipendenza della giustizia: il Consiglio non sarà solo diviso e rimpicciolito, ma privato di tutte le potenzialità democratiche legate alla sua attuale collocazione, composizione e rappresentatività.
Dall’osservatorio di Medel guardiamo ancora una volta con sorpresa alla disattenzione del nostro dibattito a quello che ci dice la recente esperienza europea( andiamo a vedere cosa è successo ai Consigli ungherese e polacco), e agli standard europei che – non a caso- richiedono non solo la maggioranza dei membri togati ma che questi siano “eletti” dai loro pari, che sia così garantita la più ampia rappresentatività e una forte legittimazione, interna ed esterna: non parliamo di orpelli ma di requisiti necessari perché il Consiglio sia al riparo da interferenze esterne, e perché possa effettivamente agire da garante dell’indipendenza del sistema giudiziario.
Dall’osservatorio di MEDEL guardiamo con preoccupazione alla nuova stagione di attacchi alla giurisdizione. E’ cambiato radicalmente il linguaggio del nostro dibattito istituzionale, politico e mediatico: oggi questo linguaggio e di non più celata intolleranza verso la magistratura che prende la parola per ricordare la necessità di rispettare il ruolo della giurisdizione; verso l’Associazione Nazionale Magistrati che “pretende” di dire la sua sui rischi della riforma. Tutto questo mentre la Corte di Strasburgo, nella ricca giurisprudenza di questi anni sui casi polacchi e non solo, come molti documenti europei e internazionali, afferma non solo il diritto dei magistrati e delle loro associazioni -come diritto garantito dall’art. 10 della Convenzione- ma il dovere di prendere la parola quando lo stato di diritto è a rischio e a fronte di riforme che possono avere un impatto sull’indipendenza dei sistemi giudiziaru.
E guardiamo con preoccupazione a come il fronte di attacco si sia ormai spostato verso la giurisdizione, con l’accusa ai giudici di ostacolare con le loro decisioni le scelte di governo del Paese e nell’interesse del Paese, fatte da chi ha l’unica legittimazione democratica a farsi interprete della volontà che si è espressa nelle urne.
I giudici nemici del popolo.
Dinamiche che certo fanno parte della nostra storia ma che oggi vedono un cambio di paradigma per l’intensità e il livello degli attacchi e per gli effetti di grave delegittimazione.
L’intolleranzaverso il ruolo della giurisdizione si esprime oggi nell’accusa esplicita ai giudici e ai pubblici ministeri, senza più mediazioni di toni e linguaggio, di svolgere un ruolo di opposizione politica. Si vuole colpire al cuore l’“imparzialità” della giurisdizione: chi entra in un’aula di giustizia non deve aspettarsi che il “suo” giudice cercherà la risposta alla sua domanda di giustizia interpretando le norme e i principi, ma un giudice che cerca nella decisione la “rivincita” per i suoi pregiudizi ideologici e politici.
È una direzione molto pericolosa quella che si intraprende quando si fa terra bruciata intorno a un’istituzione della democrazia accusandola di agire contro la democrazia, quando si arriva a delegittimare la funzione stessa assegnata alla magistratura in ogni Stato di diritto.
E quando si fa terra bruciata intorno ai giudici e alle corti che svolgono questa funzione riaffermando il primato delle fonti sovranazionali, la posta in gioco diventa l’intero sistema di tutela che abbiamo costruito con le nostre Carte e le nostre Corti in reazione ai totalitarismi per mettere i diritti e le libertà al riparo dalle regressioni nei contesti nazionali.
Conquiste che tutti dovremmo difendere perché, in questa Europa di nuovo battuta dai venti distruttivi dei nazionalismi e della guerra, e nel difficile presente in cui l’umanità sembra avere smarito se stessa, il rischio che queste conquiste siano spazzate via per sempre non ci è mai apparso così concreto.